Non c’è alcun dubbio: nella PA la figura attualmente più di moda, evocata ed invocata è il Responsabile della Transizione Digitale (RTD). Da quando il Ministro Giulia Bongiorno ha inviato la famosa circolare in cui intimava alle amministrazioni inadempienti di procedere con sollecitudine alla sua nomina, il Responsabile per la Transizione Digitale ha monopolizzato l’attenzione, oscurando tutti gli altri temi legati alla digitalizzazione, nuovo Piano Triennale compreso. E oscurando anche (o sarebbe meglio dire relegando a comprimario) una figura che molti non conoscono ma che ha anticipato di molti anni quella del RTD: il Responsabile dei Sistemi Informativi (RSI).
Vediamo come il Responsabile dei Sistemi Informativi sarebbe il candidato ideale a ricoprire la carica di RTD, ma perché di fatto, questo non può accadere.
Responsabile per la Transizione Digitale, nuovo taumaturgo della PA digitale
Il RTD, ricordiamo, a meno di non pensare che la transizione alla modalità operativa digitale (per usare lo stesso bizantinismo dell’art. 17) sia un processo a durata infinita, è una figura a termine e quindi di natura “straordinaria”. Si inserisce nel solco della convinzione tutta italiana che i problemi possano essere risolti da singole figure, dotate quasi di poteri sovrannaturali e taumaturgici la cui semplice nomina è in grado di porre rimedio ad ogni cosa.
Ecco così il proliferare di Commissari straordinari e figure/autorità affini a cui affidare le sorti di ogni ambito che rivesta una qualche importanza strategica e che magari sia afflitto da qualche carenza. Un mix micidiale fra cultura dell’emergenza e culto della personalità. Ma si sa, l’agire in modo sistematico e sistemico non è nelle nostre corde.
Il RTD, che è a sua volta una figura a termine e quindi straordinaria, ben si inserisce in questo solco.
Ma questa è un’altra storia.
Il Responsabile dei Sistemi Informativi, questo sconosciuto
Ritornando al tema del ruolo accentratore che il RTD ha avuto in questo periodo, c’è da notare come forse la figura che maggiormente ha subito l’influsso di questa figura sia il Responsabile dei Sistemi Informativi. Un ruolo altrettanto chiave, già da prima l’avvento del RTD purtroppo misconosciuto, ma di cui oggi non si parla più e che anzi sempre più sembra essere relegato a comprimario, in un ruolo tecnico, nell’accezione tutta italiana e riduttiva del termine.
Eppure, è grazie a questa figura, non transitoria o straordinaria, che l’informatizzazione della PA italiana, nel bene e nel male, ha avuto luogo.
Ruolo del RSI e rapporto col RTD
Il RSI è una figura che si potrebbe ormai definire “antica”. La sua istituzione risale al lontano 1993 ed è prevista all’art. 10 del Dlgs. nr. 39/1993, oggi noto principalmente per quella “firma autografa sostituita a mezzo stampa” che tutt’ora ci viene in aiuto per semplificare la produzione delle copie cartacee di documenti originali digitali così come definito all’art. 3-bis, comma 4-quater del CAD.
Riporto l’articolo perché penso sia interessante notare la notevole somiglianza con l’art. 17 del CAD. E magari apprezzare pure la semplicità di linguaggio con cui all’epoca le norme venivano scritte.
Art. 10
1. […], ogni amministrazione, nell’ambito delle proprie dotazioni organiche, individua, sulla base di specifiche competenze ed esperienze professionali, un dirigente generale o equiparato, ovvero, se tale qualifica non sia prevista, un dirigente di qualifica immediatamente inferiore, quale responsabile per i sistemi informativi automatizzati.
2. Il dirigente responsabile di cui al comma I cura i rapporti dell’amministrazione di appartenenza con l’Autorità e assume la responsabilità per i risultati conseguiti nella medesima amministrazione con l’impiego delle tecnologie informatiche, verificati ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera d). […].
3. In relazione all’amministrazione di appartenenza, il dirigente responsabile per i sistemi informativi automatizzati, oltre a contribuire alla definizione della bozza del piano triennale, trasmette all’Autorità entro il mese di febbraio di ogni anno una relazione sullo stato dell’automazione a consuntivo dell’anno precedente, con l’indicazione delle tecnologie impiegate, delle spese sostenute, delle risorse umane utilizzate e dei benefici conseguiti.
RSI, un unicum nella PA italiana
Da notare come la norma prevedesse che questa figura fosse ricoperta da un dirigente “generale o equiparato”, quindi ai massimi livelli gerarchici, così come per altro previsto per il RTD. Dotata di specifiche competenze ed esperienze professionali.
Erano altri tempi, l’informatica era da non molto uscita dalla sua era pionieristica, non esistevano nemmeno titoli professionali caratterizzanti la professione, eppure il legislatore aveva colto la strategicità di questo ambito e previsto una figura specifica collocata ai massimi livelli.
È sulla base di questa norma che la quasi totalità delle amministrazioni di una certa dimensione, non solo quelle dello Stato, si sono dotate di specifiche strutture dirigenziali per la gestione del Sistema Informativo interno. È stato forse l’unico/ultimo momento in cui nella P.A. italiana sono state reclutate, spesso attingendo dall’esterno, vista la quasi cronica incapacità di far emergere internamente professionalità adeguate, figure con spiccate competenze tecnologiche, ma anche manageriali, con reale esperienza di mercato.
Un ruolo ed una struttura davvero forti, perché, al contrario di ciò che avviene oggi, la legge prevedeva che la progettazione e lo sviluppo del sistema informativo dell’amministrazione dovesse avvenire internamente. Agli occhi di un contemporaneo risulta quasi inconcepibile trovare in una norma italiana una disposizione di questo tenore:
Art. 2
1. Le amministrazioni provvedono di norma con proprio personale alla progettazione, allo sviluppo ed alla gestione dei propri sistemi informativi automatizzati.
L’effetto fu quello di creare strutture spesso altamente professionalizzate, come forse mai si videro in una PA Le cui macerie, qui e là, ancora emergono nel deserto generale.
L’arrivo del RTD, in sovrapposizione con RSI
Altri tempi; di lì a poco la “furia esternalizzatrice” prese il sopravvento e portò gradualmente, in nome dell’ottimizzazione delle risorse e della spesa (non vi ricorda nulla?) e alla conseguente “logica” privatizzazione ed esternalizzazione, allo smantellamento delle strutture e, cosa ancora più grave, al depauperamento di quelle risorse professionali di cui oggi si sente tanto la mancanza.
Non solo, molto spesso saltarono anche le strutture dirigenziali e i dirigenti, lasciando il ruolo di RSI spesso scoperto o in mano a responsabili non dirigenti (nei comuni sono spesso posizioni organizzative) o a dirigenti di seconda fascia.
Le strutture che sopravvissero, specialmente nelle PA locale, salvo rare eccezioni, si occuparono solo dell’infrastruttura, lasciando spesso totalmente scoperta l’area applicativa, che crebbe così in modo incontrollato. Con i risultati che tutti noi conosciamo.
Credo che sia plausibile che l’introduzione del RTD nel CAD, dapprima per le amministrazioni dello Stato e a partire dal 2016 con le modifiche introdotte dalla cosiddetta legge “Madia” anche alla PAL, sia una semplice presa d’atto dell’evoluzione sopra descritta.
Altrimenti non si spiega la creazione di una figura che di fatto va in quasi totale sovrapposizione con il RSI.
Anche se per molto tempo molti, compreso il relatore delle modifiche al CAD introdotte dalla succitata legge “Madia”, Paolo Coppola, sostennero la tesi, per altro logica e condivisibile, che il RTD fosse da intendersi come, cito testualmente, “la naturale evoluzione” del RSI.
L’abolizione della norma che istituisce il RSI
Salvo poi, e questo è sfuggito a molti, abrogare la norma che il RSI istituisce. Infatti, assieme alle modifiche introdotte all’art. 17, il Dlgs 179/2016, procede alla totale abrogazione del Dlgs. 39/1993, lasciando in vigore solo l’art.3, nella parte che riguarda la firma autografa sostituita a mezzo stampa.
Tesi comunque implicitamente presente anche nella norma. Infatti se nel CAD l’equiparazione fra RTD e RSI non è presente, lo è curiosamente, e doppiamente curiosamente, declinata in modo diverso in due distinte norme, nelle Regole Tecniche.
Infatti nel DPCM 3 dicembre 2013 sul protocollo informatico, all’art. 4 si dice :
“[…] e con il responsabile dei sistemi informativi che, nel caso delle pubbliche amministrazioni centrali, coincide con il responsabile dell’ufficio di cui all’art. 17 del Codice”
Insomma, qui il legislatore non ha dubbi, le due figure, se esistono entrambe, coincidono. La distinzione riguardo alle pubbliche amministrazioni centrali è presente perché nel 2013 il CAD prevedeva il RTD solo per queste.
La cosa davvero curiosa e degna di nota è che nello stesso DPCM ma nella parte riguardante la conservazione, all’art. 7 si afferma :
“[…] il responsabile dei sistemi informativi o, nel caso delle pubbliche amministrazioni centrali, il responsabile dell’ufficio di cui all’art. 17 del Codice […]”
In questo caso invece il legislatore (lo stesso?) afferma che il RTD, nel caso sia nominato e non coincida con il RSI, lo sostituisce.
Che le due figure si accavallino e generino confusione è evidente, tanto che nel 2017 pure Agid commise questo errore. Nella Circolare 1/2017 relativa alle misure minime di sicurezza, Agid attribuì l’onere dell’adempimento al RSI. Cosa non vera in quanto l’art. 17 pone in capo le questioni della sicurezza informatica al RTD. Su segnalazione del sottoscritto Agid corresse la cosa emanando la Circolare 2/2017 in sostituzione della precedente.
RSI e RTD, il paradosso
Concludendo, ci troviamo nella situazione abbastanza imbarazzante in cui il naturale (quanto ovvio, visto le attribuzioni dei due sono praticamente sovrapponibili e che è in possesso di default delle competenze richieste e della corretta posizione gerarchica – almeno in origine) candidato per rivestire il ruolo di RTD, il RSI, dal punto di vista della norma non esiste più.
Inoltre, vista l’attuale formulazione dell’art. 17, che nulla dice riguardo al rapporto fra le due figure, ma che attribuisce al RTD la totalità delle funzioni più qualificanti svolte tradizionalmente dal RSI senza per altro richiedere un background tecnologico (le “adeguate competenze tecnologiche” previste dalla norma a quanto si è potuto vedere sono colmabili con dei c.d. “master brevi di 3 giornate) , si corre il rischio di eliminare di fatto, invece che rafforzarla, una figura di fatto chiave e imprescindibile come il RSI.
Pensate cosa succederebbe in un’amministrazione in cui RSI e RTD non coincidessero: il primo si vedrebbe di fatto ritirate tutte le deleghe fondanti e qualificanti del suo ruolo e fungerebbe da sottoposto “prestatore d’opera” del secondo. Un vero e proprio assurdo.
E’ evidente che se, come afferma Paolo Coppola, scopo dell’istituzione della figura del RTD era far “evolvere” la figura del RSI verso quella del CDO -Chief Digital Officer, l’effetto generato sia stato in molti casi l’opposto. Provocando di fatto il depotenziamento della figura del RSI, sostituendolo spesso con una figura di fatto priva delle necessarie competenze e background tecnologico e culturale.
Il problema è stato quello di scollegare il tema digitalizzazione dall’ambito informatico, andandolo a collocare nell’ambito organizzativo o addirittura giuridico. Pensando che la revisione e ridefinizione dei processi sia un’attività organizzativa invece che ingegneristica o che le conoscenze di informatica giuridica non siano ad appannaggio dei RSI, ma appunto dei giuristi.
Credo che sia necessaria una correzione di rotta perché la strada intrapresa è fallace e la figura del RSI debba essere riscoperta ed opportunamente valorizzata. D’altronde, come dice Simone Piunno del Team Digitale :
“Nel mondo del privato è normale che ci sia un IT manager in posizione dirigenziale, a diretto riporto dell’amministratore delegato e membro del CDA. A me sembra che il CAD art 17 dica in pratica che lo stesso dovrebbe succedere nella PA”
Direi che siamo davvero lontani da questo auspicio.