CITTADINANZA DIGITALE

Responsabile transizione al digitale, perché è una figura scomoda nella PA

Stenta ad affermarsi nella PA il ruolo del RTD, specialista chiave nella reingegnerizzazione dei processi burocratici. Una “resistenza” provocata da un lato dalla riluttanza delle amministrazioni al cambio di passo digitale. Dall’altro dalla complessità di competenze richieste. Lo scenario, nei dettagli

Pubblicato il 12 Nov 2019

Antonio Cisternino

Università di Pisa

humandigital

Il Responsabile per la Transizione al Digitale, RTD per gli amici, è una figura introdotta dall’Articolo 17 del Codice dell’Amministrazione Digitale, o CAD, al fine di dare impulso e coordinare il percorso di semplificazione e digitalizzazione dei servizi della Pubblica amministrazione. Figura centrale, ma spesso sottovalutata dalle PA. Persino scomoda. Vediamo perché e analizziamo le competenze richieste a questo specialista.

Responsabile transizione digitale: PA in ritardo

Per prima cosa, va notato che il Responsabile per la transizione al digitale è gerarchicamente superiore a ogni altro dirigente in materia di digitalizzazione: riferisce all’organo politico al fine di favorire una rapida attuazione delle azioni promosse dal piano triennale previsto dal CAD e formulato da AgID. Sono ancora molte però le PA che non hanno ancora provveduto alla nomina di una figura così importante: il sito avanzamentodigitale.italia.it indica che ad oggi sono stati indicati 5.112 Responsabili per la transizione al digitale, mostrando un netto incremento ma rimanendo comunque a meno del 25% delle quasi 23.000 amministrazioni pubbliche censite sull’indice PA. Questo dato è particolarmente rilevante ad un anno dalla circolare n. 3/2018 del ministro per la Pubblica Amministrazione che sollecitava l’individuazione del RTD a tutte le PA che non avessero già provveduto. L’impulso dato dalla circolare ha sortito un certo effetto, con una crescita del 70% come indicato da una recente nota AgID.

I freni a mano delle pubbliche amministrazioni

Non si può non rilevare come in materia di digitalizzazione vi sia un evidente ritrosia da parte delle pubbliche amministrazioni nonostante ripetuti indirizzi, spesso energici, dei governi che si sono succeduti negli anni. È lecito quindi chiedersi quali siano le ragioni per questo atteggiamento che rallenta le azioni di digitalizzazione che sono evidentemente necessarie per far progredire il funzionamento della complessa macchina della pubblica amministrazione.

Durante la prima conferenza dei RTD dell’amministrazione centrale promossa da AgID nel febbraio di quest’anno, è emerso come, anche laddove la figura è stata individuata, sia difficile promuovere quel cambiamento culturale e organizzativo che il ruolo imporrebbe. Il tema della formazione è naturalmente sentito come un bisogno primario, sia per comprendere la trasformazione organizzativa che per sostenere la crescita tecnica del personale che dovrà partecipare attivamente nel processo di trasformazione.

In questo quadro normativo complesso, è lecito chiedersi quali debbano essere le competenze di un RTD sia al fine di una selezione che di un’attività di formazione continua necessaria per assicurare scelte coerenti con il panorama giuridico tecnico esistente.

Le competenze richieste a un RTD

Uno dei primi problemi da affrontare nella nomina è la necessità di definire un ufficio dirigenziale, quindi non solo un individuo, ma anche risorse umane in grado di coadiuvare il responsabile nella sua azione. In grandi amministrazioni la scelta è naturalmente ricaduta sull’unità che segue i sistemi informatici, dato che la presenza del termine “digitale” evidenzia una chiara necessità di competenze informatiche. Ma in amministrazioni più piccole è difficile trovare un ufficio dirigenziale che per competenza sia un naturale candidato.

Ma quali devono essere le inclinazioni della figura scelta? È più opportuno individuare una figura dal profilo giuridico, per sua natura più attenta all’evoluzione della norma, o qualcuno che comprenda la parte più tecnologica del problema, con più strumenti di indirizzo tecnologico? In entrambi i casi il ruolo impone una forma mentis aperta e la voglia di costruire un profilo professionale capace di ampliare le proprie conoscenze nel settore affine e più lontano dalla propria formazione personale.

Il team di supporto al RTD è sicuramente una risorsa importante per svolgere le proprie funzioni di impulso e indirizzo, ma è importante che in qualità di responsabile un dirigente abbia competenze sufficienti per capire se le informazioni che riceve dai collaboratori sono adeguate e nell’interesse dell’istituzione.

RTD: skill giuridiche o informatiche?

Nel caso di un RTD dal profilo giuridico, ad esempio, il rischio è di faticare a tenere sotto controllo la spesa non riuscendo a determinare se le necessità indicate dalla parte tecnica siano adeguate o meno. La parte tecnica può fare quindi leva su paure naturali dovute alla necessità di tenere sotto controllo i processi. Viceversa, un tecnico corre il rischio di sottovalutare vincoli giuridici o, peggio ancora, cedere alla tentazione di applicare la norma come se fosse un programma senza le necessarie interpretazioni richieste per la sua applicazione in un dato contesto.

Il quadro normativo richiede che il RTD si coordini con altre figure chiave quali il responsabile per la protezione dati (DPO) e il responsabile per la conservazione. Queste relazioni possono aiutare a costruire tavoli di confronto in cui competenze differenti possono creare la dovuta sinergia che da una parte acceleri il percorso della trasformazione digitale pur tutelando l’organizzazione.

Il ruolo della formazione per il RTD

È naturale che quando viene definita una nuova figura istituzionale si formi un mercato di formazione. Non appena sono stato nominato RTD, e quindi pubblicato su indicepa.gov.it, ho cominciato a ricevere un flusso significativo di offerte di corsi di formazione. Questi corsi tendono a focalizzarsi sugli aspetti normativi e organizzativi, spesso fornendo indicazioni sul piano triennale del documento che dovrebbe guidare l’impulso del RTD in un’azione concertata con l’azione di governo.

Questo tipo di formazione, sebbene utile per avere un quadro in modo rapido, è di scarsa utilità nella definizione della figura del RTD in un senso più profondo. Il sistema universitario nazionale sta promuovendo percorsi ibridi tra giurisprudenza e informatica, sia nella forma di master universitari che di laurea magistrale. Ci vorrà però tempo perché queste figure si formino ed entrino nel sistema in modo da poter supportare quantomeno l’ufficio.

Recentemente, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane ha siglato un protocollo di intesa con AgID un’attività specifica per la formazione e le competenze manageriali per gli RTD già nominati. Questa azione è volta a coprire percorsi formativi specifici per le figure già nominate attraverso percorsi di natura universitaria.

Ma quali sono le competenze da sviluppare nel momento in cui si comincia a svolgere questo ruolo? Se uno volesse stilare un elenco sicuramente questo dovrebbe contenere:

  • tecnologie digitali relative al trattamento dei documenti (es. firma digitale)
  • infrastrutture tecnologiche per l’erogazione di servizi (es. Cloud services, e datacenter management)
  • quadro normativo tecnico (es. specifiche presenti su docs.italia.it) per la realizzazione di servizi
  • quadro normativo (es. CAD, piano triennale, misure minime di sicurezza, circolari)
  • gestione di progetto, per coordinare le azioni insieme agli altri dirigenti dell’organizzazione

RTD, i primi passi da fare

Quando si comincia a svolgere il ruolo dell’RTD è facile provare un senso di inadeguatezza e soprattutto all’inizio sembra difficile poter tenere sotto controllo tutti i processi di un’organizzazione. È facile farsi prendere da un impulso a voler regolarizzare tutti i sistemi, rischiando di bloccare l’organizzazione stessa.

È importante aver presente che il processo di trasformazione digitale è in prima istanza un processo di cambiamento culturale, e non si può fare da soli, è quindi necessario individuare processi che possono innescare trasformazioni culturali e quelli che possono mettere in difficoltà l’organizzazione a causa di potenziali rischi.

Un esempio di processo che possa innescare un cambiamento profondo è la dematerializzazione del ciclo di spesa: la gestione dei processi di spesa può coinvolgere più aree dirigenziali, e coinvolge numerose tipologie documentali. Affrontare un percorso simile, soprattutto se quello in essere è ancora largamente analogico, può richiedere molto tempo, ma può coinvolgere i molti utenti che devono imparare a produrre e fruire documentazione in solo formato digitale, apprendere come archiviarla e, se necessario, stamparla solo per uso temporaneo e non di conservazione.

Il coraggio di ridisegnare i processi della PA

È errato dire che le Pubbliche Amministrazioni non siano digitali, nel corso di più di trent’anni la PA italiana ha fatto molti investimenti in tecnologie digitali. Quello che spesso si intende con questa affermazione è che la digitalizzazione, spesso cresciuta in modo non organico, non ha saputo ridisegnare i processi che coinvolgono gli utenti, impedendo quella semplificazione dei processi rivolti al cittadino che tutti noi auspichiamo.

È noto che trasporre un processo analogico in digitale è una ricetta per un probabile insuccesso, purtuttavia è la strada seguita per decenni da molte amministrazioni contribuendo a generare un numero enorme di sistemi che oggi vanno mantenuti mentre si procede ad una sostituzione graduale, spesso in continuità di servizio.

Questa è una delle sfide più ardue del RTD: riuscire a reingegnerizzare i processi disegnandoli nativamente digitali, semplificando realmente la loro fruizione, in un quadro omogeneo di sistematizzazione dei dati, della loro analisi, e della loro raccolta e gestione. Il dispositivo normativo è dalla parte del RTD, forzando l’adozione di un’identità digitale, e promuovendo con forza piani di migrazione verso lo sviluppo di applicazioni SaaS first e Cloud first. Infatti, la richiesta di muovere i servizi dai numerosi datacenter della PA verso i Poli Strategici Nazionali (quando ci saranno) e verso i Cloud Service Provider certificati da AgID è anche l’occasione per mettere in discussione decenni di processi di digitalizzazione nati in modo inorganico con metodi di progettazione relativi al singolo processo incuranti dei servizi già esistenti.

RTD, cosa riserva il futuro

L’attuale governo ha nominato un ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, che sta rivedendo l’organizzazione delle due entità centrali per il processo di digitalizzazione: AgID e il Team digitale. È lecito aspettarsi dei cambiamenti, anche al quadro normativo, ma ritengo che la strada segnata finora sarà perseguita, e il Responsabile per la Transizione al Digitale resterà una figura importante per questo processo di trasformazione della pubblica amministrazione italiana

Se si opera in una pubblica amministrazione che non ha ancora provveduto alla nomina è importante assicurarsi di procedere, e in ogni caso la revisione dei processi di funzionamento è un’unica opportunità di cambiamento di cui tutti abbiamo bisogno. Anche perché, se non lo facciamo come nazione, continueremo a lasciare il monopolio della transizione digitale alle corporate, senza la possibilità di influenzarne le logiche e le scelte.

In ogni caso ricoprire questo ruolo rappresenta un’importante occasione di contribuire a ridisegnare il funzionamento della PA italiana e soprattutto fare veramente la differenza nella qualità dei servizi erogati alla cittadinanza.

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Martedì 10 Marzo, 2020 | ore 12:00-13:00
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