A breve, con le prossime elezioni verrà definito il nuovo assetto politico del Parlamento e la nuova compagine di Governo del nostro Paese. Ci auguriamo tutti che vi sia un periodo duraturo di stabilità e che si possano mettere in campo azioni di medio lungo periodo tali da garantire un trend positivo di crescita. Nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, le proposte delle varie forze politiche non sembrano essere particolarmente incisive, forse perché il settore è delicato e muove un ingente bacino di voti e su cui si ha il timore di passi falsi che portino ad una perdita di consenso. Ancor meno sul digitale. E invece entrambi i temi sono di un’importanza vitale in questo momento e necessiterebbero di veri e propri interventi “shock”, per i quali è fondamentale definire policy mirate per il prossimo quinquennio. Non parlerei comunque tanto di “trasformazione digitale”. Dobbiamo invece porre più enfasi sul “ridisegno della PA e colorarla di digitale”.
Occorre in particolare pensare ad una rivisitazione globale delle funzioni, a partire dalle nuove aspettative dei cittadini e dai relativi servizi, con particolare attenzione alla qualità e definendo quali siano gli ambiti di intervento da “cedere” al settore privato, garantendo comunque un presidio di regolazione e di controllo orientato al continuo miglioramento della performance rivolta ai cittadini.
In sostanza il pubblico e il privato devono insieme contribuire a migliorare il Sistema Paese attraverso nuovi meccanismi operativi di “partnership” forte, su azioni verticali per i diversi settori d’interesse per i cittadini (salute, istruzione, ricerca, welfare, giustizia, fisco, turismo, etc.).
Ciò appunto necessita di un nuovo assetto organizzativo e conseguentemente di effettuare un assessment sulle competenze attualmente presenti nelle pubbliche amministrazioni e sui relativi bisogni futuri, andando ben al di là di semplici logiche numeriche e favorendo l’ingresso di personale con professionalità adeguate alle sfide attuali e del prossimo futuro.
In questo contesto è indispensabile avere il coraggio e la forza anche politica di immaginare e definire un nuovo sistema per il pubblico impiego in cui gli standard professionali, la carriera e sviluppo continuo del capitale culturale e umano costituiscano i pilastri fondamentali.
Competenze digitali nella PA: i vantaggi
In particolare per la trasformazione delle pubbliche amministrazioni è ineludibile la necessità, a tutti i livelli, di avere a disposizione personale con competenze digitali qualificate, di base ed avanzate. Ciò è valido sia per le qualifiche dirigenziali sia per i funzionari coinvolti, all’interno delle PA nell’attuale e nella futura fase di cambiamento.
Infatti la dotazione di dirigenti qualificati sui temi del digitale comporta almeno i seguenti vantaggi:
- Realizzazione di corrette stime economiche su prodotti/servizi di carattere informatico (in modo da ridurre l’attuale asimmetria informativa spesso presente tra fornitore e PA).
- Adeguatezza nell’adottare la corretta soluzione tecnologico organizzativa per migliorare i processi interni ed esterni. Infatti avendo conoscenze in materia, le decisioni possono essere adottate nel rispetto del proprio ambito di responsabilità, sulla base di una conoscenza oggettiva dei dati e delle informazioni, invece di affidarsi, come spesso avviene, alle soluzioni proposte direttamente da fornitori o da consulenti).
- Capacità di valutare la produttività del proprio personale, a tutto vantaggio della valutazione del merito e degli effettivi obiettivi raggiunti.
Quindi, una forte competenza dirigenziale ICT in ogni pubblica amministrazione di medie grandi dimensioni è altamente auspicabile poiché contribuirebbe a negoziare i servizi ed i contratti ICT con il fornitore, a spingerlo verso mete ed obiettivi sfidanti in un contesto diverso, di “partnership forte tra pubblico e privato, in cui, seppur nella diversità dei propri ruoli, ciascuno sostiene il miglioramento del sistema digitale del nostro Paese.
Dovrà quindi necessariamente aumentare anche l’offerta di “formazione qualificata” nel settore ICT e stimolarne anche la domanda da parte dei giovani. Infatti ciò che spesso accade è che anche molte aziende ricercano competenze digitali certificate che il mercato del lavoro non è in grado di soddisfare.
Il digitale rappresenta sicuramente uno dei driver fondamentali per la trasformazione delle pubbliche amministrazioni e la sua pervasività è sempre più rilevante in tutte le fasce di età del Paese.
Purtroppo il dato rilevante è che l’Italia si trova al 25 esimo posto rispetto ai 28 Paesi dell’Unione Europea, rispetto all’indicatore DESI (Digital Economy and Society Index). In pratica per connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali, siamo il fanalino di coda del vecchio continente.
La frammentazione delle funzioni PA
In questo, molte delle criticità sono rappresentate dalla frammentazione e sovrapposizione di funzioni che da sempre interessa la governance dell’ICT nella PA e la conseguente mancanza di visione comune e di condivisione di obiettivi strategici tra tutti i livelli di governo (centrale, regionale e locale).
Infatti da un lato, a livello centrale, abbiamo diverse strutture che nel corso degli anni hanno avuto competenze affini (AGID, Commissario per la trasformazione digitale, Dipartimento della Funzione pubblica, etc.), dall’altro l’assetto Costituzionale a seguito della riforma del titolo V, non ha mai favorito un’attuazione omogenea e razionale delle strategie previste, sia per il CAD sia per gli obiettivi dell’agenda digitale italiana ed europea).
A complicare il contesto entra in gioco anche la distribuzione dei centri di budget ICT per ogni pubblica amministrazione (con appositi capitoli di spesa nei bilanci delle PA) la cui conseguenza, in termini di “scelte ed azioni” sul digitale, si ripercuote in spese per investimenti, spesso non in linea con le priorità dettate dalle politiche nazionali. Per garantire l’attuazione delle politiche nazionali del digitale, o si centralizza il budget IT (come spesso accade nelle multinazionali per uniformare e razionalizzare), oppure, deve essere rafforzato opportunamente il sistema dei pareri preventivi per i progetti digitali (oggi confinato ad un ruolo apparentemente marginale), anche attraverso una sua estensione a livello territoriale (trovando un modo per non burocratizzare eccessivamente questa attività).
In questo scenario, diventa importante progettare “ex novo” le funzioni delle pubbliche amministrazioni, considerando, in modo congiunto, tre componenti fondamentali: le regole, i processi e le tecnologie.
Occorre realizzare, interventi di “capacity building” nelle PA con l’obiettivo di accompagnare le amministrazioni nel realizzare servizi on-line “semplici” ed efficienti, sempre più centrati sui bisogni dei cittadini attraverso una effettiva reingegnerizzazione e una, mai veramente attuata, interoperabilità e cooperazione applicativa. È indispensabile dunque utilizzare modalità innovative, definendo metodologie standardizzate, sia per la tempestiva realizzazione sia per la efficiente gestione dei servizi, utilizzando e mettendo a sistema le già diffuse e consolidate tecnologie ma guardando anche a quelle emergenti.
Ad esempio, l’implementazione di blockchain private o miste private e pubbliche potrebbero migliorare l’erogazione dei servizi e facilitare la condivisione delle informazioni e il coordinamento dei processi tra pubbliche amministrazioni (concessioni di autorizzazioni, le licenze, cambi di residenza, rilascio di titoli di studio, etc.). Tuttavia, esistono considerazioni complesse sulla privacy e sulla riservatezza che devono necessariamente essere approfondite nelle catene di transazioni che verrebbero attivate.
L’obiettivo fondamentale deve essere comunque quello di migliorare il benessere e la qualità della vita dei cittadini attraverso l’effettiva attuazione di politiche pubbliche mirate alla coesione sociale e orientate alla realizzazione di servizi digitali, semplici, efficaci ed utilizzati dalla maggior parte della popolazione.
Sei priorità per cambiare la PA
Senza smontare quanto realizzato e la strada percorsa in questi ultimi anni è importante concentrare gli sforzi ed agire a partire da sei priorità, che possano sostenere la trasformazione delle pubbliche amministrazioni:
- Governance: adottare un nuovo modello di governance che riduca la frammentazione e sovrapposizione di funzioni
- Risorse umane: costruire un modello rinnovato per la gestione e lo sviluppo professionale e culturale continuo dei dipendenti pubblici (carriera, standard professionali e formazione continua)
- Leggi e norme: la produzione normativa deve prevedere e sostenere la trasformazione digitale
- Capacità amministrativa e di implementazione dei servizi: Innalzare il livello di collaborazione tra le amministrazioni, sviluppare metodologie condivise di gestione dei processi comuni a tutte le PA, utilizzare il codesign e sistemi di sviluppo agile per l’implementazione di servizi
- Tecnologie: Istituire un osservatorio permanente per l’analisi, anche nei contesti internazionali, delle tecnologie emergenti (IoT, Big Data, Intelligenza Artificiale, BlockChain, etc.). In questo modo sarà possibile trasferire alle PA possibili scenari d’impiego e modelli di realizzazione di sistemi digitali e di servizi innovativi nei settori verticali (salute, istruzione, ricerca, welfare, giustizia, fisco, turismo, etc.).
- Competenze di base ed avanzate: Diffondere la cultura digitale alla popolazione e favorire l’acquisizione di competenze digitali avanzate in linea con quanto previsto dalle attuali norme UNI.
Si tratta ovviamente di sei priorità strategiche alle quali dovrebbero essere affiancate azioni verticali nei vari settori: salute, istruzione, ricerca, welfare, giustizia, fisco, turismo, etc. Soprattutto è di fondamentale importanza l’allineamento delle anagrafi presenti nelle diverse pubbliche amministrazioni.
A questo proposito diventa importante anche sviluppare degli HUB d’innovazione in ogni PA, attraverso l’istituzione di gruppi di lavoro di dirigenti che facciano da traino ai necessari cambiamenti culturali e organizzativi che è opportuno mettere in campo per una “nuova PA”.
Ciò potrebbe avvenire anche con la partecipazione attiva di imprese e tramite la realizzazione di “laboratori permanenti”, in grado di sostenere e diffondere lo sviluppo di nuove metodologie di lavoro, orientate anche ad una standardizzazione di servizi di staff, comuni a diverse amministrazioni: gestione del personale, acquisizione di beni e servizi, etc. L’auspicio è che comunque vadano le cose, dopo il 4 di marzo vi sia una forte spinta sul rinnovare effettivamente il settore pubblico sulla base di un disegno che superi le attuali logiche, purtroppo sempre più consolidate, di informatizzare l’esistente.