Non sono poche le perplessità che nascono a seguito della lettura dello schema di decreto legislativo sulle norme di attuazione dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante modifiche e integrazioni al D.Lgs. 82/2005 (CAD), approvato pochi giorni fa in Consiglio dei Ministri[1].
In particolare, una modifica dagli effetti non immediatamente evidenti sta portando un po’ di scompiglio nel mondo dei conservatori accreditati e degli altri gestori di servizi d’identità digitale, di firme qualificate e di posta elettronica certificata.
Il nuovo art. 27 del D.Lgs. 82/2005 (CAD), infatti, come modificato dall’art. 25 dello schema di Decreto in questione, potrebbe stabilire (se non verranno effettuate le necessarie correzioni alla bozza) che i prestatori di servizi fiduciari qualificati, i gestori di posta elettronica certificata, i gestori dell’identità digitale di cui all’articolo 64 e i soggetti di cui all’articolo 44-bis (i conservatori accreditati) debbano possedere i requisiti di cui all’articolo 29, comma 3 del CAD.
Il comma 3 dell’art. 29 (che non è stato modificato) stabilisce, già oggi, che tali soggetti debbano avere forma giuridica di società di capitali e un capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fini dell’autorizzazione all’attività bancaria. Tale capitale, come oggi previsto dalle disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche emanate da Banca d’Italia, è di 10 milioni di euro.
Il problema sorge per il fatto che se tale cospicuo capitale sociale era già richiesto solo per i certificatori di firma digitale, con le modifiche apportate dallo schema di Decreto in commento, sarà richiesto anche per i gestori di servizi d’identità digitale, di posta elettronica certificata e per i conservatori accreditati i quali dovranno, quindi, essere costituiti in società di capitali con capitale minimo di 10 milioni di euro se vorranno mantenere il già sudato accreditamento (o ottenerlo ex novo): una barriera probabilmente insormontabile per buona parte degli attuali fornitori e che rischia di minare alle radici l’attuale mercato.
Il problema è ancor più sentito considerato che il capitale sociale minimo richiesto per i conservatori che intendano ottenere l’accreditamento ai sensi dell’art. 44 bis del CAD è attualmente di “soli” 200mila euro.
A ben vedere, una lettura sistematica delle norme porterebbe a ritenere che, quantomeno per i conservatori accreditati, si continui ad applicare quanto previsto dai commi 2 e 3 dell’art. 44 bis del CAD, in base ai quali da un lato le norme dell’art. 29 del CAD (compreso il suo comma 3 richiamato) sono applicabili solo ove compatibili e dall’altro è previsto espressamente un capitale sociale minimo di 200mila euro. Ci troveremmo, quindi, all’interno dello stesso Codice, di fronte a una norma speciale che derogherebbe alla norma generale di cui all’art. 29 del CAD. Questa situazione, che appare abbastanza caotica, è il frutto di un approccio disomogeneo e privo di sistematicità al contenuto del testo normativo.
Se, a nostro avviso, i conservatori accreditati dovrebbero stare tranquilli (ammesso che la situazione non cambi e rimanga quella appena approvata dal Governo[2]), altrettanto non si può dire per i gestori di servizi di posta elettronica certificata, che vedrebbero passare il capitale sociale minimo richiesto per l’accreditamento da 1 milione a 10 milioni di euro: una modifica non da poco.
Su questi dubbi appena sollevati ci auguriamo venga fatta chiarezza il prima possibile, visto le ricadute dirette e pesanti che un cambiamento come quello prospettato dallo schema di decreto potrebbe avere sull’attività di numerosi soggetti del mercato.
[1] Lo scorso 20 gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di Decreto di modifica al D.Lgs. 82/2005 già oggetto di un primo rapido commento: http://www.agendadigitale.eu/identita-digitale/nuovo-cad-le-poche-e-confuse-novita-all-orizzonte_1947.htm
[2] A parte un comunicato stampa e un paio di slide presenti sul sito istituzionale, poco si sa dei dettagli dei decreti appena approvati dal Governo. Circolano invece tra gli addetti ai lavori dei testi più o meno affidabili di ciò che era sui tavoli di Palazzo Vidoni. Curioso che ai tempi della tanto sbandierata trasparenza e in fase di approvazione del FOIA si debbano seguire questi intricati iter per avere visione di documenti così importanti che meriterebbero massima condivisione.