L’immenso tendone in glastress respirava il vento e lo annullava. Trasparente da dentro. Colorava i riflessi sulla piattaforma di prexo che copriva l’infinito prato. La piattaforma sosteneva il circo e tutti i veicoli da trasporto e da ologramma. Le cinquemila biciclette parcheggiate. Allineate. Si riempivano del profumo del bosco a ridosso della città. E lo mischiavano con l’odore delle crocchette del Circo del Sole, offerte agli spettatori avidi di piroette. Sinusoidavano in cento. Nell’aria. A venti metri dal suolo. Gli spettatori respiravano silenziati dagli scambi aerei. Dalle figure che si componevano nel vuoto davanti a loro. Assemblati in un elefante rosa. Distribuiti in un coccodrillo celeste. Ora un baobab viola che si ricompone in una torre Eifell gialla. Ora un’antica automobile rossa che si arrotonda in una gigantesca torta verde. Il vento fischiava neve. Le crocchette fumavano nelle dita dei più piccoli spettatori. Le madri e i padri sorridevano. La pace dei miracoli altrui è contagiosa.
Seduta con la figlioletta. Xina Shaiira rimbalzava le pupille verso il cielo. Le agganciava alle mani prensili. Alle gambe volatili. La figlioletta abbracciata. La figlioletta deliziata. La figlioletta stralunata. Xina Shaiira non poteva sapere che mancavano pochi minuti al Grande Ictus Mnemonico. Che sarebbe diventata entro poche ore un’agente, la comandante in seconda, della Memory Squad 11.
In cento volteggiavano in aria. In cinquemila applaudivano rapiti. Cento capriolavano. Cinquemila incantati. Svirgolavano. Allibiti. Catapultavano. Ammutoliti. Sincronizzavano. Ammaliati. Contorsionavano. Ipnotizzati. Svaporavano. Carpiti. Cartocciavano. Annientati. Simultaneizzavano. Sospesi. Conglomeravano. Alati.
Il Maestro Acrobata Muto capì al volo che qualcosa si era bloccato. Inceppato. Segnalò con pochi cenni delle dita. Con fulminei sguardi come salvarsi dal blocco improvviso e impossibile delle memorie. Come sganciarsi. Dividersi. Sfilarsi. Atterrare salvi. Salvo lei, l’acrobata che chiude gli occhi. Che non li apre neppure alla fine. L’acrobata clown. Con un costume di cinquecento anni fa. Si aggrappò all’aria. Ingoiò l’aria. Frantumò l’aria. Ritagliò l’aria. Echeggiò l’aria. Lacrimò l’aria. Straziò l’aria.
Il tonfo fu terribile. Il silenzio mortale. Il sangue rigolava sulle segatura sintetica. I cinquemila urlarono ogni loro frastornamento. Un bimbo cantava. Disperato. Un bimba chiamava. Nessuno.
La clown frantumata al suolo vibrava. Scalciava. Agonizzava. Si inginocchiava. Si alzava. In una stupenda risata.
(44-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)