uso degli open data

Riuso degli open data, servono certezze: l’esempio dei dati Covid ci aiuta a capire perché

Cambiare infatti improvvisamente le regole di pubblicazione dei dati – come nel caso del Covid passata da giornaliera a settimanale – va ad impattare e a generare tutta una serie di problemi a chi quei dati li sta utilizzando. Non è affatto un problema secondario per le aziende che investono sui dati per creare servizi

Pubblicato il 22 Nov 2022

Vincenzo Patruno

Data Manager e Open Data Expert - Istat

dati data big data data scraping

Uno degli obiettivi su cui si sta da tempo lavorando in Europa e di conseguenza nei  vari Paesi membri è quello di arrivare a costruire un mercato europeo dei dati. Dati di tutti i tipi, che possono quindi essere sia Open che non Open.

L’idea è quella di favorire l’uso e il riuso dei dati per consentire lo sviluppo di un ecosistema costituito da imprese, da enti pubblici, da start-up, da professionisti, dalla comunità  scientifica e più in generale dalla società civile che possa beneficiare di questi dati creando su di essi servizi a valore aggiunto e contribuendo sia allo sviluppo sociale che allo sviluppo di una intera economia legata ai dati. Che vuol dire nuovi servizi per la collettività, nuove opportunità di sviluppo e di crescita delle imprese, nuovi posti di lavoro e così via.

L’esempio dei dati Covid

Fatta questa necessaria premessa, voglio raccontare quello che è accaduto recentemente a riguardo dei dati Covid. Il 28 ottobre scorso il neoministro della salute Orazio Schillaci ha fatto sapere attraverso un comunicato che “a sei mesi dalla sospensione dello stato d’emergenza e in considerazione dell’andamento del contagio da Covid-19, ritiene opportuno avviare un progressivo ritorno alla normalità”. E in questo progressivo ritorno alla normalità, la pubblicazione del bollettino dei dati relativi alla diffusione dell’epidemia ai ricoveri e ai decessi sarebbe passata da giornaliera a settimanale. Fin qui niente di particolarmente sconvolgente, per carità. È sicuramente una decisione legittima che va incontro essenzialmente ad esigenze di comunicazione. La situazione sanitaria è al momento sotto controllo, non siamo più in stato di emergenza  e il governo preferisce portare altrove l’attenzione dei cittadini.

Quello che va invece meno bene è che questo cambiamento ha interessato anche i dati giornalieri pubblicati dal Dipartimento della Protezione Civile. In realtà quello che è accaduto è che i dati non vengono più pubblicati ogni giorno come avveniva in precedenza. Vengono pubblicati una volta alla settimana i dati di tutti giorni della settimana appena trascorsa.

Inoltre, dal giorno in cui hanno cambiato la frequenza di aggiornamento, non è stata più aggiornata, nemmeno settimanalmente, la parte informativa di Agenas con i dati sugli ospedali. E oggi, non c’è in Italia un sito, uno spazio, dove poter leggere questi dati  che sono di enorme valore al di là del Covid. Le scelte sui dati possono essere fatte anche su opportunità di comunicazione, ma vanno sempre e comunque fatte a partire dalla valutazione del patrimonio informativo che si ha a disposizione.

Perché cambiare le regole di pubblicazione dei dati non è un problema secondario

Il problema non è di poco conto. Cambiare infatti improvvisamente le regole di pubblicazione dei dati va ad impattare e a generare tutta una serie di problemi a chi quei dati li sta utilizzando. C’è forse l’idea che usare gli Open Data consista nello scaricarli di tanto in tanto per passare poi il resto della giornata facendo un po’ di analisi e visualizzazioni. In realtà la situazione è decisamente molto diversa. I dati Covid sono stati e sono tutt’ora per ovvie ragioni di enorme interesse collettivo. L’apertura dei dati giornalieri legati al Covid ha generato un vero e proprio ecosistema di utilizzatori. Si tratta di professionisti, ricercatori, giornalisti,  istituti di ricerca italiani e internazionali. In questi due anni sono state realizzate e messe a punto varie applicazioni che in modo automatico si connettono ai dati del Dipartimento della Protezione Civile e generano tutta una serie di analisi finalizzate al monitoraggio della pandemia e all’impatto sul sistema sanitario.

Passare da una pubblicazione giornaliera a una settimanale è evidente che va a impattare su questo ecosistema di applicazioni e di utenti che utilizzano quei dati e il cui punto di forza consiste proprio nel fornire giornalmente analisi, tendenze, proiezioni, report. Non è quindi un caso che siano diverse le organizzazioni e le associazioni che hanno sollevato il problema chiedendo il ripristino della pubblicazione giornaliera. Tra le altre ci sono  l’associazione Ondata, la Fondazione Gimbe, Scienza in Rete, e tutte le altre organizzazioni e le persone fisiche che hanno sottoscritto l’appello di DatiBeneComune.

Cosa vuol dire rendere Open i dati

Dobbiamo a questo punto cogliere l’occasione e cominciare a porci un po’ più seriamente il problema della governance dei dati aperti, in particolare di quei dati di grande interesse collettivo e dalle grandi potenzialità di riuso. Rendere Open questi dati vuol dire favorire la nascita di servizi a valore aggiunto basati sui dati. Ma i servizi a valore aggiunto non nascono dal nulla. Vengono creati da imprese, organizzazioni, enti pubblici, associazioni della società civile che investono sul riuso di quei dati. Che è esattamente l’obiettivo che si vuole raggiungere a livello europeo con il mercato unico e con le politiche che si sono avviate a livello comunitario sui dati e sugli Open Data. Ma chi investe sui dati ha necessità di avere delle certezze sul fatto che le policy di rilascio dei dati siano stabili nel tempo.

È importante sollevare questo aspetto perché quanto sta accadendo oggi con i dati covid può accadere domani con dati di altra natura. Chi ha riusato i dati COVID lo ha fatto tenendo conto del rilascio giornaliero dei dati. Chi ha riutilizzato i dati ha messo a punto applicazioni, algoritmi di data analysis, visualizzazioni, mappe, cruscotti. Il passaggio ad un aggiornamento settimanale, pur con l’accortezza di mantenere i dettagli giornalieri dei dati COVID va comunque a depotenziare quanto fatto da associazioni, organizzazioni,  comunità scientifica.  Anche perché i dati continuano comunque ad essere raccolti giornalmente attraverso un sistema di raccolta che è stato faticosamente attivato in fase di emergenza e che ora possiamo dire essere andato a regime.

Conclusioni

Pertanto, il passaggio a un rilascio settimanale ha veramente poco senso. In questo caso si tratta di dati covid giornalieri su cui sono stati costruiti essenzialmente servizi di monitoraggio dell’evoluzione della pandemia, proiezioni e impatto sul sistema sanitario. Ma pensiamo al caso in cui una impresa decida di utilizzare Open Data per costruire servizi di tipo business.

Quell’impresa avrà la necessità di avere una fonte stabile di dati e aggiornamenti certi e continui per un periodo sufficientemente lungo di tempo. In caso contrario difficilmente gli verrà voglia di investire denaro su quei dati. Fare Open Data si basa su un patto tacito tra chi produce quel dato e chi quel dato lo utilizza. Può accadere che per qualche motivo sia necessario cambiare le regole di rilascio del dato. Questo vuol dire rinegoziare in qualche modo quel patto, operazione che non può però essere fatta unilateralmente ma sempre interagendo e ascoltando la comunità costituita dai chi quei dati li riusa.

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