Nel vasto mare della Pubblica Amministrazione (PA), la bussola puntata verso l’innovazione ha provato a seguire la rotta del Riuso delle applicazioni software, non sempre però incontrando venti favorevoli.
Per “Riuso di programmi informatici o parti di essi” si intende la possibilità per una PA di riutilizzare gratuitamente programmi informatici, sviluppati per conto e a spese di un’altra Amministrazione, adattandoli alle proprie esigenze.
Introdotto inizialmente nel 2000, il Riuso trova la sua articolazione nel Codice dell’Amministrazione digitale (CAD): non solo ogni Amministrazione, nell’acquisizione di applicativi software, può optare per il Riuso[1], ma deve anche favorirlo, prevedendo che i programmi sviluppati al suo interno siano facilmente portabili su altre piattaforme, in modo da poterli dare in uso gratuito (in formato sorgente, completi della documentazione disponibile) ad altri Enti[2].
La PA non è totalmente disinteressata al Riuso e chi ha adottato questa pratica ha avuto modo di constatarne pregi e difetti. La ricerca condotta nel 2012 dall’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano evidenzia come già oggi, nella scelta di possibili soluzioni ICT, il 42% degli Enti prendono sempre in considerazione soluzioni implementate da altre realtà, il 24% lo fa in casi specifici[3] e solo il 34% non lo fa mai. I vantaggi, per l’Ente che sceglie il Riuso, sono molteplici: si va dalla maggior rispondenza alle esigenze (72%), ai minori costi (70%), fino alla semplificazione dei processi di affidamento (52%) e la riduzione dei tempi di introduzione della soluzione (46%).
Oggi però mancano ancora alcuni presupposti perché la procedura di diffusione delle buone pratiche applicative, così come indicato dall’Agenda Digitale, possa diventare una consuetudine. In particolare, vi sono difficoltà nel capire se la soluzione individuata possa realmente rispondere alle esigenze (84%) dei rispondenti, nella gestione della manutenzione correttiva della soluzione (72%), nella gestione di nuovi sviluppi della soluzione (68%), nel venire a conoscenze delle soluzioni effettivamente a Riuso (68%). Inoltre, si rileva spesso inadeguatezza nella documentazione correlata alla soluzione (54%), nel supporto organizzativo e tecnico da parte dell’Ente cedente (48%), oltre che di competenze specifiche da parte del personale dell’Ente riusante (48%).
La Ricerca evidenzia quindi come, da un lato, gli Enti riusanti non abbiano una panoramica completa sull’offerta di prodotti a Riuso, né facile accesso alle competenze o conoscenza sulla soluzione, elementi molto spesso posseduti solo dal cedente, e questo rende difficile fare il match fra le loro esigenze e la possibile soluzione. Dall’altro lato, la pratica del Riuso non rientra ancora nella mission istituzionale degli Enti cedenti, semplificando: non ci sono disponibilità di tempo né di personale da dedicare alla diffusione dei propri applicativi, ma soprattutto non sono palesi i vantaggi nel cedere una soluzione a Riuso. E proprio qui, nel vantaggio per l’Ente cedente, potrebbe nascondersi la chiave per spalancare le porte del Riuso. Se la cessione di applicativi fosse inserita tra gli obiettivi dei processi di programmazione delle PA si incentiverebbe il cedente anche attraverso vantaggi economici legati alla buona riuscita del Riuso. Questo fondo potrebbe essere alimentato anche dai risparmi procurati al riusante, promuovendo così ulteriormente lo sviluppo e cessione di buone pratiche che garantiscano risparmi.
Un ricorso esteso al Riuso e all’open source sarebbe in grado di portare vantaggi economici non solo agli enti pubblici ma anche al mercato delle imprese che ruotano intorno al settore ICT, attraverso l’apertura di un mercato oggi riservato a pochi, favorendo così l’accelerazione del processo di rinnovamento della PA.
[1] Art. 68 del CAD
[2] Art. 69 del CAD
[3] In caso di progetti regionali e provinciali oppure progetti che coinvolgono numerosi enti (es. Programma ELISA) o nel caso in cui vi sia una conoscenza pregressa dell’Ente cedente e una riconosciuta validità del progetto.