gap nord-sud

Salvare il Sud dal declino con le politiche di Coesione e il digitale: ecco la strategia

Le politiche di Coesione sono state lasciate sole ad affrontare i divari, private della caratteristica di aggiuntività loro propria divenendo sempre più sostitutive. Nell’ambito della nuova programmazione occorre capire cosa serve per lo sviluppo e per agganciare saldamente le filiere del Nord alla produzione del Sud

Pubblicato il 14 Nov 2019

Maria Ludovica Agrò

Esperto di politiche di sviluppo già Direttore Generale dell’Agenzia della Coesione Territoriale

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Il Rapporto Svimez di quest’anno recentemente presentato, per la prima volta alla presenza del Presidente del Consiglio, ci restituisce un quadro allarmante del Mezzogiorno e fa il punto sui nuovi aspetti di un problema che l’Italia sin dall’Unità, e, se vogliamo uno spartiacque più recente, dal dopoguerra, non è riuscita a risolvere mai strutturalmente ma solo a migliorare temporaneamente.

Il dualismo è rilevante e persistente e i divari territoriali riguardano non solo le dimensioni economiche più conosciute ma anche l’offerta di beni e servizi disponibili per i cittadini.

Da quasi venti anni i livelli di spesa destinati all’investimento in settori fondamentali risultano nel Centro-Nord sempre nettamente superiori a quelli del Mezzogiorno e, comunque, nella maggior parte dei casi, in forte riduzione. Significativo notare che i divari più rilevanti tra le due macro-aree riguardano i servizi essenziali: politiche sociali, sanità, reti infrastrutturali, mobilità.

Registriamo la presenza di eccellenze anche fortemente innovative ma esse vivono isolate in un Mezzogiorno caratterizzato da un contesto non favorevole all’impresa che non offre soluzioni di sistema.

Un nuovo patto Nord-Sud

Serve, ed è condiviso da molti, un nuovo patto Nord-Sud che rafforzi le interdipendenze naturali fra le due aree, in una visione economica di ispirazione unitaria, che nella prospettiva di complementarietà delle economie territoriali possa tracciare proposte di politiche e di strumenti, possibilmente innovativi, che mostrino come sia possibile non lasciare il Mezzogiorno al suo declino e il Nord privo di una forza essenziale per il suo ulteriore sviluppo.

Le politiche ordinarie sono mancate e le politiche di Coesione sono state lasciate sole ad affrontare i divari, private della caratteristica di aggiuntività loro propria divenendo sempre più sostitutive. Oggi si trovano gravate dall’accusa di non aver ridotto il divario e quindi si ragiona sempre più spesso della loro inutilità senza percepire che il Sud senza la Coesione, come del resto altri stati dell’Unione, avrebbero affrontato nel corso della crisi iniziata oltre dieci anni fa un declino ben più rapido.

I legittimi interrogativi sull’efficacia delle risorse di coesione

Tuttavia, ci sono interrogativi legittimi sull’efficacia passata e sulle possibilità reali di agganciare di nuovo la crescita attraverso le risorse della Coesione.

Spesso si legge che nel periodo di crisi, la produzione energetica da fonti rinnovabili è cresciuta nel Mezzogiorno ma questo non vuol dire che possiamo senz’altro dedurne che è stato creato know how che ha rafforzato la filiera. Potrebbe voler dire, semplicemente, che sono state installate più pale eoliche e più pannelli solari.

Ugualmente, sugli strumenti messi a disposizione per le aree di crisi complessa e non complessa se approfondissimo l’analisi noteremmo diversi interventi che solo parzialmente hanno potuto rinvigorire i territori interessati.

Interrogativi rimasti senza risposta rispetto alle scelte che hanno determinato una così bassa efficacia degli interventi. Capire meglio quale deve essere il ruolo dello Stato, delle istituzioni e delle imprese per mettere in rete il patrimonio produttivo esistente e potenziale del Mezzogiorno, questo è il compito più urgente, senza lasciarsi tentare dal ruolo del programmatore onnisciente che è comunque dannoso, ma piuttosto arrivando a far emergere su una base di elementi affidabili le nuove identità industriali in ambiti di mercato con una forte componente di know-how  che opportunamente sostenuti renderebbero più attrattivi i territori in ritardo.

Si tratta quindi di capire cosa serve per lo sviluppo, cosa serve per agganciare saldamente le filiere del Nord alla produzione del Sud nel modo più fruttuoso per l’insieme del paese e, come ulteriore vantaggio, cercare di trovare spazio competitivo anche nelle filiere internazionali più volatili e rischiose dove il Mezzogiorno mai da solo potrà arrivare a posizionarsi.

Fondi di coesione e crescita sostenibile

E’ un approccio necessario per riuscire ad innalzare gli investimenti nazionali place based che dovrebbero risultare fortemente collegati all’economia circolare, all’economia del mare, e quindi alla sostenibilità, non vale qui forse neanche la pena di ripetere che quest’ultima è sicuramente ambientale ma inevitabilmente economica e sociale, per poi proporre politiche e mettere a sistema i tantissimi strumenti già esistenti, in grado di dare risposta ai gap emersi, per ridurli e produrre possibilmente l’innalzamento della domanda interna.

In un contesto macroeconomico caratterizzato dal cambiamento generato dalla finanziarizzazione dell’economia, dalla globalizzazione delle catene del valore, dalla crescente frammentazione ed elevata volatilità dei mercati dove i prodotti hanno cicli di vita sempre più brevi, c’è un forte fabbisogno di dati conoscitivi ed esigenza di sistematizzarli affinché permettano di cogliere le dinamiche dell’evoluzione del sistema produttivo riuscendo a individuare i fattori e le condizioni che possano favorire processi produttivi generativi di nuovo valore.

Le risorse di Coesione essenziali già ora per lo sviluppo del Mezzogiorno hanno tutte le caratteristiche, se ne fosse garantita l’aggiuntività, per poter essere investite con maggiore efficacia oltre che efficienza.

In modo prevalente in questo periodo di programmazione, ma già da quello precedente con evidente visione anticipatrice dell’Unione Europea, e ancor più pienamente nel prossimo ciclo 2021-2027, tali risorse perseguono obiettivi di crescita sostenibile e sono assimilabili ai 17 Goal dell’Agenda ONU 2030.

Le risorse che saranno attribuite all’Italia dal prossimo bilancio UE per i fondi strutturali andranno impiegate sui cinque obiettivi individuati per la programmazione post 2020 (un’Europa più intelligente, mediante l’innovazione, la digitalizzazione, la trasformazione economica e il sostegno alle piccole imprese; un’Europa più verde e priva di emissioni di carbonio; un’Europa più connessa, dotata di reti di trasporto e digitali strategiche; un’Europa più sociale, che raggiunga risultati concreti riguardo al pilastro europeo dei diritti sociali e sostenga l’occupazione di qualità, l’istruzione, le competenze professionali, l’inclusione sociale e un equo accesso alla sanità; un’Europa più vicina ai cittadini, che sostenga strategie di sviluppo gestite a livello locale e uno sviluppo urbano sostenibile in tutta l’UE)  e un ruolo particolarmente rilevante lo avranno le Strategie di Specializzazione Intelligente la cui validità dovrà essere monitorata nel corso del settennio.

Potrebbe essere utile quindi, in un ottica anche di anticipazione, indagare se le potenzialità (traiettorie di sviluppo) che sono state individuate per ricerca e innovazione, valide anche per l’obiettivo competitività, nelle S3 di ciascuna regione e per la Strategia nazionale per il 2014-2020, abbiano condotto o stiano conducendo ai risultati attesi stabiliti, per verificare se la mappatura delle potenzialità del sistema produttivo era stata correttamente individuata e quindi la stessa possa costituire una base su cui riflettere e approfondire per capire dove puntare per la crescita con occupazione che tutti auspichiamo, perché è l’unica risposta utile ai molteplici problemi del Sud fra cui lo spopolamento e il diritto negato ai giovani a restare al Sud e al Sud di fruire dei talenti che ha contribuito a far crescere e formare.

Si ricorda inoltre come sia forte nell’Unione Europea l’indicazione di attivare un processo partenariale con tutti i portatori di interesse, università, imprese, associazioni, cittadini, per condividere gli investimenti e questa pratica di condivisione è realizzata, anche se in modo imperfetto, solo nella programmazione di spesa dei fondi strutturali e rappresenta un valore importante di democrazia e vicinanza ai fabbisogni delle comunità e dei territori mai abbastanza sottolineato per cui la società civile e i corpi intermedi che ancora resistono dovrebbero chiedere a gran voce che tali meccanismi fossero caratterizzati da una maggiore concretezza e da una minore inutile ritualità.

La recente riunione annuale di riesame tenutasi a Trieste il 7 e 8 novembre scorso ha mostrato una buona percentuale di impegni per gli obiettivi ricerca, digitale e competitività, mentre più lenta la definizione degli interventi per gli obiettivi squisitamente ambientali tranne che per la mobilità sostenibile. Un andamento positivo registrano anche gli obiettivi sociali per occupazione e istruzione e gli investimenti nel rafforzamento della capacità amministrativa tutti compresi a livello nazionale fra il 53% e il 63%, più bassi ovviamente i pagamenti, che nella media nazionale si attestano intorno al 25,5% per scendere al Sud al 23%.

Monitoraggio FESR e FSE 2014-2020 per OT

Situazione al 31/08/2019

% utilizzo su risorse programmate

Occorre tenere presente che il periodo di spesa si chiude nel 2023 e quindi c’è ancora il tempo per investire anche in questa programmazione concentrando gli investimenti su interventi capaci di innescare una inversione di tendenza al declino e di sostenere quel cambio di paradigma produttivo e di competenze necessarie perché il Mezzogiorno non resti indietro e possa assumere un ruolo concreto per la crescita dell’intero Paese.

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