Molti autorevoli centri di ricerca (Cergas Bocconi, Censis, Politecnico di Milano, Ceis, etc.) hanno provato ad esaminare il fenomeno della Sanità Digitale soprattutto per ciò che attiene al Servizio Pubblico. Tuttavia, un’analisi comparata del fenomeno in Italia e in Europa non è di semplice attuazione. Sovente i dati ufficiali su spesa, adozione, uso e impatto di questo tipo di beni e servizi sono poco sistematici ed accurati, quindi non esaustivi. Gli indicatori disponibili sia a livello nazionale che internazionale sono, sia per quanto riguarda unità d’analisi e ambiti di riferimento, sia per quanto riguarda le tecniche statistiche utilizzate, sovente frammentari e scarsamente confrontabili. Coscienti di questo limite, si può comunque notare – osservando i dati che emergono a livello europeo e gli impegni assunti e che si potrebbero/dovrebbero prendere nel contesto Italiano – un risultato abbastanza inquietante.
Infatti, il processo di digitalizzazione della Sanità italiana – visto nella prospettiva della Strategia Europa 2020 – appare ancora in ritardo rispetto alla maggioranza dei Paesi UE.
Le performance sono ancora insufficienti, per il basso livello di spesa dedicata alla sanità elettronica dal nostro paese, pari nel 2015 all’1,2% della spesa sanitaria pubblica, rispetto alla media UE compresa fra il 2 e il 3%, con punte vicine al 4% (Fonte: Rapporto Censis 2016).
Questo risultato non è interamente ascrivibile allo Stato, ma anche alle azioni intraprese dalle singole Regioni.
Queste sono state più volte richiamate ad avvalersi pienamente dei benefici attesi dai servizi e dagli strumenti di Sanità Digitale per ottenere:
- un guadagno di efficienza e riduzione dei costi,
- un’ottimizzazione nell’erogazione dei servizi (ad es. nella gestione delle liste di attesa, delle visite mediche, dei follow up, etc.),
- una riduzione dell’errore medico ed un incremento della sicurezza del paziente (sia per l’eventuale rischio clinico che per ciò che attiene la propria privacy),
- un miglioramento della gestione delle patologie croniche.
Ciò nonostante, rilevando da un lato gli ambiti di innovazione digitale del e dall’altro lo stato di avanzamento delle Regioni nelle seguenti cinque categorie (Fonte Politecnico di Milano 2016):
- servizi infrastrutturali,
- servizi al cittadino,
- servizi a supporto dei processi clinico-sanitari e assistenziali,
- servizi amministrativi,
- azioni di governance e monitoraggio
Giungiamo ad una conclusione altrettanto inquietante.
Infatti si hanno differenze tra i diversi contesti regionali che rendono più difficile il percorso di sviluppo della Sanità digitale a livello nazionale. Tali differenze si rilevano sia sugli aspetti infrastrutturali, indispensabili per lo sviluppo dell’innovazione all’interno di un SSR, sia sui servizi rivolti al cittadino/paziente e agli operatori del SSR, che in futuro dovranno essere sempre più orientati alla gestione delle cronicità e alla continuità di cura tra ospedale e territorio, con ripercussioni quindi anche sul mondo socio-sanitario. Sulla base dei primi spunti fin qui proposti, non si può prescindere dalla recente approvazione del Patto per la Sanità digitale nella Conferenza Stato-Regioni del 7 luglio scorso. In esso sono stati identificati gli ambiti di innovazione sui quali gli attori della Sanità dovrebbero contribuire e investire affinché i piani di digitalizzazione si trasformino in azioni concrete, sotto la guida di una regia coordinata e univoca identificata a livello centrale nella Cabina di Regia del NSIS (Nuovo Sistema Informativo Sanitario).
Inoltre, è stato anche ricordato che le risorse per la realizzazione degli interventi dovrebbero essere individuate al di fuori dalle risorse ordinarie dell’amministrazione pubblica – ricorrendo ai fondi strutturali, ai fondi ad hoc per l’innovazione stanziati da Stato, Regioni e Unione Europea e alle iniziative private – mentre l’onere di avvio e realizzazione di buona parte degli interventi dovrebbero essere principalmente in capo alle Regioni.
Cosa vogliono i pazienti
Come si intuisce, la rivoluzione digitale ha dei punti di contatto con la concezione della salute, già sancita dalla Organizzazione Mondiale della Salute nei suoi principi istituitivi laddove ha affermato che essa, la salute (health), può essere intesa come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia. In questo senso le condizioni di salute possono essere allo stesso tempo contestualizzate (a seconda dell’individuo, del momento, del luogo, etc.), delocalizzate, oppure basate su interrelazioni virtuali o sociali. E quindi esprimono una mole di dati che possono essere raccolti ed archiviati, che vanno protetti e possono essere sia rilevati contestualmente nella fase di creazione e consultazione attraverso diversi strumenti hardware e software sia mediante opportune reti basate su connessioni fisiche, senza fili o con segnali in radio frequenza.
La globalizzazione e l’accessibilità a strumenti di contatto innovativi ha, di conseguenza, permesso una naturale evoluzione delle esigenze e delle aspettative dei pazienti nei confronti dei propri interlocutori.
In particolare esse possono essere implicite o espresse e riguardano:
1) la richiesta di una maggiore conoscenza su:
a) i contenuti scientifici su Internet (siti tematici, blog, community, social network);
b) le soluzioni per il self care (autodiagnosi e cura) o la scelta di care givers (fornitori di assistenza o cura).
2) La richiesta di una maggiore attenzione su:
a) la disponibilità temporale (Timing 24/7) di accesso ed erogazione delle cure;
b) i costi di erogazione; la riservatezza e tutela dei dati.
3) La richiesta di maggiore capacità nel:
a) riconoscere i marchi ed i professionisti;
b) filtrare le comunicazioni;
c) usufruire di dispositivi e servizi di gestione dei parametri vitali a distanza ed in mobilità.
4) La richiesta di un diverso approccio manageriale riconoscendo:
a) le esperienze globali vs. gli atteggiamenti locali;
b) i comportamenti di spesa dettati dalle differenti esperienze;
c) la centralità del paziente.
L’ultimo punto, quello della centralità del paziente, è un elemento cruciale poiché esige un’attenzione maggiore, generalmente tipica di chi ha un obiettivo di risultato (qualità, efficienza, efficacia, profitto). Il paziente si è ormai trasformato da mero consumatore di cure a produttore o fornitore di informazioni che possono essere riutilizzabili anche in altri contesti, per altre patologie o altri individui. Infatti, si è trasformato da consumatore (consumer) o produttore (producer) di dati ed informazioni in prosumer (ovvero un soggetto che produce e consuma contestualmente) e sono cresciute le sue possibilità di autoaffermazione e soddisfazione sia dei bisogni materiali che di quelli identitari. L’informazione a sua disposizione è divenuta dinamica perché dal dato (esperienza statica) è iniziata la sua trasformazione in esperienza ed interattività. E quindi oggi non può essere più considerato un oggetto passivo di sperimentazioni di Percorsi Diagnostici e Terapeutici Assistenziali (PDTA), ma come soggetto attivo che può concorrere, grazie anche ad opportune azioni di responsabilizzazione (Patient empowerment), sulla base di determinate condizioni ed in particolari contesti, alla promozione della sua salute e della comunità in cui vive.
Le interazioni possibili
Recentemente ho provato ad analizzare diversi sistemi sanitari per comprendere lo stato dell’arte nella condivisione delle informazioni e nell’interazione fra pazienti, medici, operatori e strutture sanitarie, o altri soggetti interessati (ad esempio per la componente amministrativa, dei pagamenti del promemoria degli appuntamenti, etc.) all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (SSN o regionale (SSR).
In particolare ho tentato di verificare se fosse possibile ed opportuno utilizzare le risorse disponibili o quelle in corso di allocazione per assicurare una migliore integrazione, interscambiabilità e completezza del percorso di digitalizzazione della sanità italiana, sia a livello nazionale che regionale. La fotografia del SSN e del SSR che emerge è infatti quella di una eccessiva frammentazione di piattaforme tecnologiche, sistemi, modelli e programmi di intervento che non parlano fra loro. Ciò perché di solito quando si parla di innovazione si tende ad associare a questo termine l’attributo tecnologico dimenticando che sovente si possono valorizzare meglio gli investimenti già effettuati se si progettano sia in termini tecnici, organizzativi o di processo, sia osservando le capacità informali dimostrate dai cittadini nel colmare le lacune dell’offerta sanitaria. Oppure attraverso percorsi dedicati alle fasce di popolazione meno digitalmente acculturate. Tutto ciò senza dimenticare la necessità di istituire sistemi di monitoraggio e miglioramento progressivo delle novità introdotte.
Sulla base delle considerazioni precedenti occorre:
- ripensare la sostenibilità sociale delle soluzioni proposte e sperimentate;
- introdurre un sistema di monitoraggio degli utilizzi e soprattutto delle valutazioni degli utenti rispetto ai servizi innovativi;
- riconsiderare il sistema di offerta sulla base del principio della presa in carico totale, immediata e completa del cittadino;
- fronteggiare i rischi del divario digitale, progettando percorsi dedicati per le fasce di utenza meno acculturate digitalmente;
- coinvolgere i cittadini e gli operatori sanitari anche nella progettazione e nello sviluppo di servizi sanitari online;
- individuare forme tecnologicamente, ma anche umanamente e professionalmente praticabili, di “sanità attiva”, una sanità che sappia andare alla ricerca della propria utenza e dei suoi bisogni senza aspettare passivamente che siano i cittadini a cercare i servizi;
- adottare un approccio olistico alle cure e all’assistenza, vale a dire una modalità che consideri la persona nella sua integrità psichica, fisica e ambientale, e dunque nel suo contesto di vita, che deve riflettersi nella progettazione dei servizi digitali.
In questa direzione mi sono anche interrogato sulla possibilità di elaborare nuovi Percorsi Diagnostici Terapeutici ed Assistenziale (PDTA) con le nuove tecnologie disponibili. Grazie alla rivoluzione digitale, infatti, si è fortemente ampliata la connettività in rete fissa e/o mobile e si fa sempre più uso di dispositivi medici indossabili in grado di rilevare e trasmettere i parametri vitali. Assume perciò grande valore la relazione con tutti gli attori dell’ecosistema salute per avere un dettaglio più completo della storia e del percorso intrapreso dal paziente, al servizio di chi, in diagnostica, in acuzie, in riabilitazione e in assistenza, se ne prende carico.
Il Cad
Dovendo affrontare il tema delle interazioni fra i vari soggetti, si rende opportuno segnalare il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) entrato in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto legislativo n. 179 del 26 agosto 2016, che modifica e integra il Decreto legislativo n. 82/2005 e pone di fatto in atto il nuovo CAD. L’obiettivo dichiarato è quello di rendere più efficace la pubblica amministrazione sistematizzando e accelerando il processo di digitalizzazione iniziato oltre dieci anni fa. Infatti, secondo il legislatore esso dovrebbe rivoluzionare dal 31 dicembre del 2017 il rapporto tra cittadini e amministrazioni pubbliche. I cittadini potranno accedere ai servizi pubblici con un unico nome utente e un’unica password e potranno avere un domicilio digitale con cui inviare e ricevere dalle pubbliche amministrazioni comunicazioni e documenti per via digitale. L’obiettivo è di trasferire per intero in ambiente digitale il nostro rapporto con la Pubblica Amministrazione, utilizzando un’unica identità digitale rispetto ai molteplici profili di adesso.
In effetti tutti gli iscritti all’anagrafe nazionale della popolazione residente dovrebbero poter accedere ai servizi pubblici con un’utenza e una password uniche (cosiddetto SPID – Sistema Pubblico di Identità Digitale) e potranno avere un proprio domicilio digitale – ad esempio la pec – per scambiare comunicazioni e documenti per via informatica con la Pa. Inoltre tutte le realtà della Pubblica amministrazione saranno obbligate ad accettare i pagamenti elettronici, in casi di importi non elevati anche attraverso il credito telefonico, mentre il nuovo Cad segna il definitivo passaggio al digitale per ciò che riguarda la realizzazione, lo scambio e la conservazione di documenti pubblici. Per la prima volta, infatti, nella nostra normativa viene introdotta la definizione di documento informatico e così l’atto sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale potrà essere utilizzato ai fini probatori come previsto dall’articolo 2702 del codice civile. Per legge, inoltre, le amministrazioni saranno tenute a conservare i documenti informatici, obbligo che invece decade per imprese e cittadini, che ora potranno accedere agli atti degli archivi informatici con una semplice richiesta. Su tutto ciò sarà chiamato a vigilare un Commissario che potrà/dovrà avvalersi di una banca dati degli obiettivi e degli indicatori di performance delle pubbliche amministrazioni messa a punto dall’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid),
Il ruolo dei CUP
Come affermato dallo stesso Ministero della salute sul suo sito istituzionale l’accesso all’assistenza in tempi rapidi può essere facilitato dalla presenza di sistemi evoluti di sanità in rete per la prenotazione unificata delle prestazioni, attraverso Centri Unici di Prenotazione (CUP), che consentano al cittadino di effettuare la prenotazione ai servizi sanitari attraverso diversi canali di comunicazione che favoriscano l’accessibilità dell’assistenza e la riduzione dei tempi di attesa, mediante una gestione integrata delle agende di prenotazione.
Il CUP viene quindi inteso come un sistema centralizzato informatizzato di prenotazione delle prestazioni sanitarie, deputato a:
- gestire l’intera offerta (SSN, regime convenzionato, libera professione intramoenia) con efficienza;
- strutturare in modo organizzato l’attività delle unità eroganti per ciò che attiene l’erogazione delle prestazioni;
- interfacciare le diverse procedure di gestione dell’erogazione, degli accessi e delle relative informazioni;
- supportare modalità di programmazione dell’offerta e comunicazione ai cittadini finalizzate al contenimento dei tempi di attesa.
Tale Sistema, formato nel suo complesso da più procedure, deve consentire di ottimizzare l’offerta verso il cittadino e standardizzare le analisi per rimodularla, confrontando stime relative a fabbisogno ed offerta, a ciò che è stato prenotato ed erogato.
Per ovvi motivi di completezza ed anche una migliore comprensione di ciò che accade nel settore salute, ho ritenuto importante rivedere la rilevazione compiuta nel 2008 dal Ministero della Salute che intendeva effettuare una prima ricognizione dello stato di attuazione dei sistemi CUP regionali, alla quale parteciparono tutte le Regioni e Province Autonome. In essa fu evidente che potevano la possibilità di adottare diverse modalità di classificare i sistemi CUP esistenti, considerando tanto l’ambito territoriale di riferimento, quanto l’insieme delle risorse sanitarie gestite (sia in termini quantitativi: numerosità di prestazioni e agende; sia in termini qualitativi: tipologia di prestazioni e d’accesso – 1° e 2° livello), nonché diversi regimi di erogazione.
Volendo accelerare la fase di ricognizione si adottò una distinzione in base all’ambito territoriale classificando CUP Aziendali e Interaziendali, focalizzandosi sui dettagli costitutivi e funzionali dei sistemi CUP. Ciò che apparì immediatamente evidente fu che la situazione in termini di disponibilità, copertura e caratteristiche dei sistemi CUP era estremamente eterogenea. Si osservava una proliferazione di sistemi CUP a livello territoriale a cui si aggiungeva una significativa diversificazione in termini di soluzioni applicative, tecnologiche ed infrastrutturali adottate. Laddove fossero presenti sistemi CUP regionali/provinciali, si rilevò, nella maggior parte dei casi, che il sistema CUP non disponeva di un’adeguata copertura in termini di prestazioni effettivamente prenotabili attraverso lo stesso. Inoltre i CUP esistenti operavano in modalità isolata e con canali differenziati. Per ciò che attiene alla diffusione dei sistemi CUP con copertura regionale/provinciale, a livello nazionale si osservò come 8 Regioni/Province Autonome avessero un sistema di CUP regionale/provinciale, 4 Regioni/Province Autonome dichiararono di avere dei progetti in corso oppure un sistema CUP con copertura sub-regionale/sub-provinciale, mentre 9 Regioni/Province Autonome sostennero di non avere, al momento della rilevazione, implementato un sistema di prenotazione unico a livello regionale/provinciale, né progetti in corso in tale ambito.
I risultati della rilevazione mostrarono che
- la gestione delle agende per la prenotazione,
- la produzione e gestione del catalogo generale (sanitario e amministrativo) delle prestazioni sanitarie prenotabili,
- il monitoraggio della qualità del servizio,
- la prenotazione delle prestazioni rese disponibili all’interno del sistema CUP,
- la disdetta di appuntamenti ed il calcolo dell’importo ticket
erano ampiamente diffuse e abbiano una copertura regionale/provinciale media superiore al 90%.
Per quanto riguarda le modalità di prenotazione, si notò immediatamente che il canale più diffuso era la prenotazione da un punto CUP posto all’interno dell’azienda, seguito dal call-center. La prenotazione presso i punti CUP posti in strutture convenzionate e presso i medici erano abbastanza diffuse (si registrarono, rispettivamente, nel 76% e nel 67% dei casi). In alcune realtà (il 50% delle Regioni/Province Autonome) era stata inoltre implementata anche la possibilità di prenotare mediante altri canali (fax, portale internet, e-mail e/o totem posti all’interno dei comuni o dei supermercati nonché presso le farmacie).
Prendendo spunto da questa prima indagine ho recentemente intervistato vari interlocutori che avessero approntato sistemi evoluti di sanità in rete per la prenotazione unificata delle prestazioni, attraverso i CUP. Inoltre ho ritenuto essenziale il contributo portato da AGENAS, la quale ha da tempo segnalato che le liste di attesa rappresentano un fenomeno percepito dai cittadini e dai pazienti come una forte criticità dei moderni sistemi sanitari, in quanto compromette l’accessibilità e la fruibilità delle prestazioni da erogare. L’abbattimento dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie è uno degli obiettivi prioritari del SSN e l’erogazione dei servizi entro tempi appropriati, rispetto alla patologia e alle necessità di cura, rappresenta una componente strutturale dei LEA, così come previsto dal DPCM del 29 novembre 2001. Ovviamente AGENAS ha anche sottolineato che la gestione delle liste di attesa deve prevedere anche una comunicazione chiara, trasparente e aggiornata dei dati inerenti i tempi di attesa, attraverso la pubblicazione delle informazioni sui siti web delle Regioni, P.A. e delle strutture del SSN. Per questo motivo, a seguito dell’approvazione in Conferenza Stato Regioni del nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA) 2010-2012, ad Agenas è stato affidato il compito di contribuire all’implementazione delle attività di rilevazione per il monitoraggio nazionale dei tempi di attesa e delle modalità organizzative delle prestazioni erogate in libera professione intramuraria e intramuraria allargata (ALPI), dei percorsi diagnostico-terapeutici (PDT) e delle prestazioni ambulatoriali erogate in attività istituzionale, In questa direzione l’Agenas, di recente, ha fornito un rilevante contributo alla stesura del nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA 2016-2018), quale componente del gruppo di lavoro nominato dal Coordinamento Stato-Regioni ed il sistema centralizzato informatizzato di prenotazione delle prestazioni sanitarie, deputato a:
- gestire l’intera offerta (SSN, regime convenzionato, libera professione intramoenia) con efficienza;
- strutturare in modo organizzato l’attività delle unità eroganti per ciò che attiene l’erogazione delle prestazioni;
- interfacciare le diverse procedure di gestione dell’erogazione, degli accessi e delle relative informazioni;
- supportare modalità di programmazione dell’offerta e comunicazione ai cittadini finalizzate al contenimento dei tempi di attesa. Tale Sistema, formato nel suo complesso da più procedure, deve consentire di ottimizzare l’offerta verso il cittadino e standardizzare le analisi per rimodularla, confrontando stime relative a fabbisogno ed offerta, a ciò che è stato prenotato ed erogato.
In questo articolo approfondiamo le esperienze migliori.
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*L’autore è consulente Cnr ma si professa pensatore indipendente