Si fa presto a dire Sanità digitale. Sarà una lunga corsa a ostacoli: il Consiglio dei ministri previsto per giovedì, per il decreto Digitalia, è solo il primo passo per concretizzare le grosse novità previste, tra cui il Fascicolo sanitario elettronico e le ricette in foramto digitale.
Dopo ci sarà infatti il decreto attuativo e infine, forse il terreno più difficile, il tutto passerà nelle mani delle Regioni. Un iter per il quale è difficile calcolare i tempi che non scalfisce però l’ottimismo di Paolo Donzelli, coordinatore dell’ufficio Progetti strategici per l’innovazione digitale di Palazzo Chigi e responsabile del tavolo e-gov della cabina di regia per l’Agenda digitale.
Donzelli però fa notare che le linee guida per la ricetta elettronica sono pronte. Così come quelle per il fascicolo sanitario elettronico e per l’interoperabilità tecnologica. E il decreto, che contiene le norme per la ricetta digitale che avrà validità nazionale, il fascicolo sanitario elettronico, sistemi di sorveglianza e cartelli clinica digitale, dovrebbe riuscire a superare l’esame del cdm. “D’altronde parliamo di un testo consolidato con un iter già avviato e che, d’accordo con il ministero della Salute è stato introdotto nel decreto”.
Da questo punto di vista, quindi, non ci dovrebbero essere sorprese, ma dopo? Pur sapendo che i tempi non saranno brevissimi Donzelli mantiene un parere positivo. “Stiamo parlando di un percorso avviato tre anni fa che ha già passato il vaglio della Conferenza Stato-Regioni, raccolto l’intervento di un gruppo di lavoro e visto l’avvio di progetti sperimentali come il dialogo fra un ospedale di Napoli e quello di Torino. Il decreto dovrebbe arrivare velocemente”.
Poi però ci sono le Regioni. “Anche in questo caso non credo ci siano particolari timori. Molte hanno già investito e il decreto offre la copertura normativa per altri interventi e passare dai progetti pilota a quelli definitivi”.
Anche dai medici di base si attende piena collaborazione. “L’abbiamo visto con i certificati di malattia – prosegue Donzelli -. Dopo un’iniziale diffidenza e qualche difficoltà del sistema adesso il 98% dei certificati che arrivano all’Inps sono in formato elettronico. L’importante è che si comprenda che il fascicolo sanitario elettronico è uno strumento utile di lavoro”. Un tema importante del provvedimento è secondo Donzelli quello della ricetta che permetterebbe di semplificare enormemente un passaggio burocratico che vale circa 800 milioni di pezzi di carta che trasformati in documenti elettronici potrebbero dare vita ad altri servizi. “Una ricetta inserita nel sistema diventa “parlante” e a questo punto è il sistema che prendendo in automatico i dati può offrire le date per gli appuntamenti”.
“Il decreto – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano – va nella giusta direzione perché spinge all’utilizzo delle tecnologie digitali che sono le uniche a combinare la qualità della cura con la sostenibilità del sistema sanitario”. Perché fra le Regioni chi spende di più offre anche le cure peggiori. Lazio e Molise offrono servizi non di qualità per oltre 2.000 euro al mese per cittadino, mentre la Lombardia e Veneto ne spendono circa 1.700 per servizi nettamente migliori. E queste regioni sono anche quelle che spendono somme importanti per la digitalizzazione della loro Sanità.
Certo, prosegue Luca Gastaldi, ricercatore dell’Osservatorio Ict in Sanità del Politecnico di Milano, il decreto è un “desiderata”, stabilisce il perimetro entro il quale bisogna muoversi, ma non dice come ottenere questi risultati e qual è la situazione da cui parte l’implementazione. La fotografia l’ha scattata invece il Politecnico con i suoi Osservatori nei quali spiega che solo Lombardia ed Emilia-Romagna dispongono oggi di un fascicolo sanitario elettronico completo. “oggi comunque tutte le Regioni sono partite anche se i progetti non hanno ancora raggiunto lo stato di maturità”.
Gli ostacoli non mancano e sono di tipo tecnologico e organizzativo. “Ci sono le difficoltà che riguardano gli standard di interoperabilità: gli ospedali adottano soluzioni tecnologiche differenti, che non dialogano con le altre. Poi è necessaria un’infrastruttura che colleghi le aziende sanitarie al medico di medicina generale”. Ma il peggio, secondo Gastaldi, arriva con l’organizzazione. “Cambiare i processi attraverso i quali la cura viene erogata al paziente produce inevitabili tensioni nelle organizzazioni. E poi, stando alle risposte di un’indagine che abbiamo condotto sui direttori delle strutture sanitarie, ci sono da considerare le limitate risorse economiche e la voglia di avere ritorni immediati sugli investimenti che penalizzano i progetti di lungo periodo, oltre che la mancanza della condivisione di buone pratiche e la scarsa conoscenza da parte dei direttori sanitari delle potenzialità del digitale che limitano gli investimenti in tecnologie informatiche.
I soldi sono un problema importante. In Italia per le tecnologie nel mondo sanitario si spendono 1,3 miliardi di euro, 22 per ogni cittadino contro i 36 della Germania, i 40 della Francia, i 60 della Gran Bretagna e i 70 della Danimarca. In più si spende in modo disomogeneo perché i 22 euro sono una “media del pollo” frutto dei 34 euro del Nord Ovest, 38 del Nord est, 14 del Centro e 12 del Sud.
Ma proprio la situazione delle finanze pubbliche impone una razionalizzazione della spesa che attraverso il digitale può trovare piena attuazione. Anche perché l’utilizzo dei bit al posto degli atomi permette quel processo di deospedalizzazione che permette al paziente, in determinate situazioni, di curarsi a casa e alle strutture sanitarie di risparmiare risorse.
Scrutando nella palla di vetro Donzelli ipotizza la cura dei pazienti cronici senza il ricovero in ospedale anche attraverso capi da indossare che dialoghino con il loro fascicolo sanitario e una struttura di monitoraggio da parte dei medici”, oltre a teleconsulti con centri specializzati.
Succede in Croazia dove sono già assicurati una serie di servizi per i pazienti cronici come check up cardiaci e neurologici.
Anche secondo Corso e Gastaldi la strada è quella della deospedalizzazione. Ma tutto deve partire da cartella clinica digitale e fascicolo elettronico. “Queste sono le condizioni di base”.
Dietro c’è un mondo da scoprire se stiamo ai dati di Taking the pulse Europe, l’indagine sulla dotazione tecnologica dei medici. Il 54% dei medici europei (erano il 36% nel 2010) usano app professionali sui loro smartphone e, sorpresa, e l’Italia è al secondo posto nel Continente al pari della Germania e dietro Uk con una percentuale in linea con quella della media europea. Medici digitali crescono.