Il punto

Sanità Digitale: tutto quello che resta da fare in Italia

Ecco lo stato dell’arte rispetto alla roadmap di digitalizzazione della Sanità italiana. A che punto siamo, quanta strada ci rimane, e soprattutto quante nuove strade si sono aperte nel frattempo.
Fondamentale che l’AgID irrobustisca le sue competenze specialistiche in ambito sanitario e che gli informatici e gli amministrativisti – una buona volta – comincino a parlare una lingua comprensibile agli operatori sanitari e a coinvolgere il segmento di industria IT interamente focalizzato sull’healthcare

Pubblicato il 06 Set 2016

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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E così anche le vacanze 2016 sono terminate. Tocca ricominciare a lavorare.
Vale per noi che scriviamo, per voi che leggete, per tutti quanti compresi gli addetti ai lavori in Sanità.
Caso mai ci fossimo dimenticati qualcosa, vediamo di ripassare i vari punti all’ordine del giorno lungo il cammino che porta alla sanità digitale.

Partiamo dall’attuazione del “Crescita Digitale”, partiamo da SPID, PagoPA, Italia Login (o Italia.it che dir si voglia).
Purtroppo non sono disponibili i dati di dettaglio sul reale utilizzo di SPID e PagoPA da parte della Sanità. La sensazione (rafforzata da una “istant survey” effettuata da Netics tra giugno e luglio su una trentina di aziende sanitarie e ospedaliere) è che di strada da fare ce ne sia ancora parecchia.
Al di là della semplice “adesione”, AgID ha un grosso lavoro da compiere per promuovere l’utilizzo effettivo in uno degli ambiti (la Sanità) per sua stessa natura più potenzialmente portatori di “traffico”.
Più ancora, il grosso lavoro va fatto a livello di Ministero Salute e di Regioni. Ed è un lavoro soprattutto di coinvolgimento degli operatori sanitari, prima ancora che dei CIO che fanno quello che possono e di più non riescono a fare.
Sia SPID che PagoPA possono davvero diventare casi di successo, se solo si riuscisse a parlare una lingua comprensibile ai medici e – soprattutto – ai top manager dei servizi sanitari regionali e delle aziende sanitarie e ospedaliere.
In cascata, quando ci sarà, anche “Italia.it” può diventare davvero il “one stop shop” dei servizi di eHealth. E ci aspettiamo moltissimo da AgID e da tutti i policy e decision maker.

Seguitiamo nel “ripasso”, ricordando a noi stessi a che punto siamo e dove dobbiamo andare rispetto alla dematerializzazione delle ricette, al fascicolo sanitario elettronico e – più in generale – a livello di eHealth Readiness.

Ricetta dematerializzata

Con l’avvio del sistema anche in Calabira e in Provincia Autonoma di Bolzano, siamo al 100% delle Regioni partite.
E i dati relativi alla quantità di ricette dematerializzate sono molto più che confortanti: praticamente 3 ricette su 4 sono “quasi” dematerializzate: “quasi” in quanto – come sappiamo – si è deciso comunque di stampare anche le ricette dematerializzate, anche se non tutti hanno capito benissimo il perchè.
Colpisce positivamente il fatto che alcune Regioni storicamente “ultime della classe” in quanto a digitalizzazione in Sanità (Sicilia, Molise, Campania) siano riuscite a ottenre risultati rilevantissimi accaparrandosi posizioni di vertice nella classifica regionale, con più dell’80% delle ricette dematerializzate.
Avanti così!

Il prossimo step è quello della circolarità inter-regionale delle ricette dematerializzate.
Sembra paradossale, ma tant’è: oggi non è ancora possibile per un cittadino residente nella Regione X “spendere” la ricetta nella Regione Y o Z.
Misteri della regionalizzazione della qualsiasi cosa, anche di quelle che per natura dovrebbero essere gestite a livello nazionale, non fosse altro che per non spendere 21 volte gli stessi quattrini (vedi alla voce “Fascicolo Sanitario Elettronico”) e per non farci ridere dietro dai cittadini.
Attendiamo con fiducia.

Fascicolo Sanitario Elettronico

Secondo AgID (“stato di avanzamento Crescita Digitale”), le Regioni che hanno attivato il FSE sono 7.
Forse eccessivamente ottimistica è invece la quantificazione delle Regioni che lo stanno implementando: AgID dice che sono 9, ma probabilmente il numero reale (Regioni che hanno già affidato in-house o in gara la realizzazione delle piattaforme o che hanno concluso accordi di riuso) è inferiore.
Vale probabilmente la pena di riconsiderare l’ipotesi di incentivare fortissimamente il riuso dell’esistente e l’utilizzo della Piattaforma Nazionale di Fascicolo, che a questo punto va ripensata come vero e proprio “FSE sussidiario”.
Ed è fondamentale che le Regioni (anche quelle che hanno già anni di storia col FSE) adottino accorgimenti atti a far sì che il Fascicolo venga effettivamente utilizzato dai cittadini/assistiti/pazienti e dai loro medici di famiglia. Magari copiando dal vero grande successo del “TreC” di Trento.
I dati di utilizzo del FSE (login, consultazione, interazione) sono piuttosto desolanti ovunque, e non a caso moltissime Regioni fanno fatica a renderli pubblici.
E’ un peccato, perchè il Fascicolo sarebbe davvero un oggetto utilissimo: magari, dovremo attendere che qualche Regione illuminata apra le sue API e renda possibile la proliferazione di un ecosistema di VASP (provider di servizi a valore aggiunto) che si possa interfacciare ai fascicoli generando valore per il cittadino/assistito/paziente.
Sembra fantascienza, ma succederà.

Il ranking della sanità digitale regionale

L’Osservatorio Netics ha divulgato la classifica 2016 del suo ormai abituale ranking annuale di e-readiness in Sanità.
Rispetto all’anno precedente, fanno grossi passi in avanti Lazio, Liguria, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto.
Ancora purtroppo “non pervenuta” la Calabria, e ancora molto indietro la Sicilia (nonostante ingenti investimenti negli ultimi dieci anni), il Molise e la Campania.
Si rileva una certa debolezza (in qualche caso, purtroppo, “assenza”) nella governance dell’innovazione in Sanità e la mancanza (sperando che invece sia solamente “omissione di pubblicazione”) di un vero e articolato piano strategico per la digitalizzazione dell’intera filiera erogativa (Regione/ASL/Ospedali/Altri soggetti afferenti al SSN).

I cittadini, che esprimono una rilevante domanda di servizi online nella sfera socio-sanitaria, faticano a trovare ciò che è disponibile, quando è disponibile. In questo senso, SPID e “Italia.it” potrebbero rappresentare la soluzione, ma valgono le considerazioni esposte precedentemente: AgID deve ripensare il suo approccio nei confronti degli enti territoriali e dei fornitori di soluzioni IT per la Sanità che – nel bene e nel male – rappresentano comunque una condizione di “gatekeeping” non indifferente.

Soprattutto, manca un “linguaggio comune” fra tecnologi, amministrativisti e operatori sanitari: tutte le esperienze internazionali di successo dimostrano come praticamente l’unico driver della digital transformation in Sanità siano i medici (medici di famiglia, ma soprattutto ospedalieri) e il personale infermieristico. Se lo vogliono loro, succede tutto.
“Loro”, nello specifico italiano, lo vorrebbero pure: quella che manca è la comprensione reciproca. E – in larga misura – la capacità dei vendor di proporre soluzioni progettate “insieme” ai medici.
Sarà un caso, ma soprattutto in Italia praticamente nessuno dei manager dei principali vendor specializzati in healthcare è un medico. Cosa invece molto frequente in tutto il resto del mondo.

Per concludere

Chi scrive queste note non ama parlare di bicchieri mezzi vuoti o mezzi pieni, quando si prova a tirare le somme.
Nello specifico, diciamo che il bicchiere è troppo piccolo: le risorse che la Sanità sta dedicando alla sua digitalizzazione sono irrisorie e insufficienti, e sino a quando non raddoppieranno (come minimo!) sarà molto difficile portare a casa il risultato.
Questo enunciato va a collidere con la spending review?
Assolutamente no: razionalizzare l’esistente è il punto di partenza obbligato. E le ulteriori risorse necessarie le andremo a raccogliere lavorando alla reingegnerizzazione dei processi di erogazione delle prestazioni del SSN.
Spendere di più nel digitale, per efficientare il sistema.
Un film già visto in mezzo mondo: sciocco non copiare.

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