La rivoluzione digitale sta trasformando in maniera radicale il mondo della scuola e della formazione in tutti i paesi sviluppati e no. LIM, notebook e tablet cominciano ormai ed “entrare in classe”. Allo stesso modo varcano le porte della scuola altri strumenti digitali interattivi legati ad Internet: gli ambienti virtuali per l’apprendimento (classi virtuali), i video (lezioni o materiali di approfondimento), i forum, i database di contenuti digitali eccetera. Questi strumenti didattici innovativi permettono allo studente di fruire del sapere e della formazione anche al di fuori delle mura della scuola, con i tempi e i ritmi che egli stesso può determinare.
Contemporaneamente la didattica dentro l’aula diventa più attiva, le esercitazioni e i lavori di gruppo si spostano in classe, con la supervisione e il supporto del docente. Le implicazioni pedagogiche di questa inversione sono di grande rilievo, cambia il ruolo degli insegnanti e gli studenti diventano il centro del processo di apprendimento. La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con l’insegnante, in questo modo si realizza l’”inversione” del setting tradizionale e si può parlare di flipped classroom (classe ribaltata appunto – di cui ci siano già occupati in un articolo su questa testata).
Ma cosa significa impostare la propria didattica secondo queste nuove metodologie “aumentate” e abilitate dalla tecnologia? Per farlo è necessario ragionare più in grande, si tratta di pensare un sistema “la scuola 2.0 aumentata dalle tecnologie” che inverta il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il conseguente rapporto docente/discente ma deve essere altrettanto ripensato in chiave digitalmente aumentata anche il “sistema di gestione amministrativa” della scuola sia per la sua parte didattica che per la sua parte organizzativa. Mi riferisco, in particolare, alla smaterializzazione delle iscrizione, dei registri e degli scrutini; alla sostituzione dei manuali cartacei con basi dati di “contenuti digitali per l’apprendimento”; e di conseguenza all’adozione di sistemi software gestionali per l’amministrazione della scuola che abbattano la burocrazia “gutemberghiana” e aumentino l’efficienza globale dei sistema sia rispetto agli insengnati sia rispetto alle famiglie, ma soprattutto rispetto agli studenti. Nel mio nuovo saggio Scuola 2.0. Verso una didattica aumentata dalle tecnologie, Spaggiari, 2013 ho provato a fornire una guida per insegnanti e dirigenti scolastici che vogliano intraprendere il complesso ma sfidante obiettivo di trasformare la propria scuola in una “scuola aumentata dalle tecnologie”.
Si tratta di un processo necessario, che richiede investimenti, ma che è l’unico che possa mettere al passo l’istituzione formativa con le esigenze e lo stile di apprendimento dei nativi” digitali (Ferri, 20011, 2012). Sono i “nativi digitali” – prima ancora delle direttive europee e della stessa Agenda digitale – che attraverso il loro “stile di apprendimento digitale” suggeriscono oggi questa trasformazione. Richiedono di essere indipendenti e costruire (oltre che condividere) le forme e i risultati del loro apprendimento, appunto. Una trasformazione di sistema che coniughi una nuova modalità didattica e una nuova modalità di gestione della scuola come servizio sociale di “cittadinanza attiva”. Per colmare il gap tra i nuovi stili di apprendimento e comunicazione dei giovani e le strategie di insegnamento e di gestione della nostra scuola, ancora molto tradizionali, occorre una trasformazione radicale che implica la riprogettazione dell’intero sistema scuola. E’ necessario cioè ridisegnare, con il concorso di tutti di Stakeholder, Ministero, Dirigenti, insegnati, famiglie ed editori una nuova scuola “aumentata” dalle tecnologie.
Un obiettivo che sul piano della crescita del sistema paese si configura come il necessario miglioramento dell’asset strategico fondamentale di una società: il suo sistema formativo, l’unico che possa migliorare la qualità dei futuri cittadini di una società veramente informazionale. Analizzando l’impatto della rivoluzione digitale sui contesti dell’educazione formale, appare necessario superare il digital divide intergenerazionale tra “immigranti e nativi digitali”. Il problema è quello di comprendere come “gettare ponti” e stabilire, attraverso le nuove tecnologie della comunicazione digitale, tra le generazione significa rinforzare la coesione sociale e mettere le basi per una reale innovazione culturale e tecnologica.
E’ necessario perciò che insegnanti e dirigenti comincino ad conoscere e ad implementare i nuovi strumenti della formazione digitalmente aumentata: i nuovi setting d’aula che riguardano la progettazione e l’organizzazione della didattica e le metodologie di apprendimento/insegnamento; i Virtual Learning Environment (gli ambienti virtuali per l’apprendimento), le diverse soluzioni software per la gestione della formazione e dei processi organizzativi della scuola e i device hardware (tablet, LIM, smartphone, totem per la rilevazione delle presenze). Allo stesso modo è necessario che gli operatori della scuola conoscano e comincino ad utilizzare realmente come pensare e progettare i nuovi contenuti digitali per la scuola 2.0, integrando i contenuti digitali offerti dagli editori con i materiali realizzati nel corso del tempo dall’insegnante stesso e con i contenuti reperibili liberamente sulla rete all’interno di basi dati freeware riconosciuti e validi (Kahn Academy, Ted, Wikipedia).
Ma proviamo a definire la road map della trasformazione della scuola in Scuola 2.0, Scuola “digitalmente aumentata”.
Per realizzare questo obiettivo è necessario in primo luogo poter contare su di una infrastruttura digitale.
La scuola digitalmente aumentata è in primo luogo un ambiente scuola con il pieno accesso a Internet e il Governo e il Ministero dell’Istruzione dovrebbero rompere gli indugi e abbandonare le esitazioni e i tentennamenti nel reperimento delle risorse per il cablaggio a banda larga delle scuole. La possibilità di essere connessi ad Internet in classe attraverso una connessione potente sia in upload che in download (20 mbit di banda sinctrona almeno) è, infatti, condizione necessaria perché tutti gli atri altri device tecnologici presenti nell’ambiente didattico (LIM, tablet, sistemi di e-learning) non restino ciechi e muti. I
In seguito, il corredo tecnologico minimo di una classe “digitalmente aumentata” comprende: uno strumento di presentazione/rappresentazione video per accedere ai contenti di Internet (la LIM o un video proiettore, interattivo o no), un notebook o un tablet per l’insegnate, che funga da “cruscotto” di gestione del processo didattico e almeno 4 o 5 tablet o notebook per gli allievi che permettano loro di svolgere le attività in piccoli gruppi.
L’interazione docente/studente, in questo modo, si trasforma radicalmente dal momento che si riduce molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente il tempo dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al supporto del lavoro degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione razionale” collettiva dei risultati dei lavori di gruppo condotti dagli studenti. Ma è tutta la struttura della scuola che deve essere ripensata, proviamo a calarci nei panni dei dirigenti, degli insegnanti che vogliano avviare questo processo: i primi passi da compiere sono:
– una preventiva mappatura delle risorse tecnologiche a disposizione della scuola ed individuare le persone sia tra il personale insegnate che tecnico amministrativo che possano sostenere il processo di innovazione. Questo permette di valutare in anticipo l’entità economica e organizzativa del cambiamento e conseguentemente dell’investimento economico;
– è necessario, poi, stilare un piano operativo che preveda una progressiva digitalizzazione dei processi didattici e amministrativi, un cronoprogramma che pianifichi investimenti e tempi dell’intervento, operando in questo caso con aziende che già lavorano in questo campo e confrontando una serie di preventivi;
– devono essere attivate un serie di azioni found raising presso le istituzioni locali, sia pubbliche che private, presenti sul territorio per reperire le risorse necessarie, anno per anno, per implementare progressivamente ed in maniera sostenibile la digitalizzazione dei plessi scolastici di sua competenza.
Un altro punto fondamentale per la cabina di regia della transizione al digitale della scuola è tenersi costantemente aggiornati attraverso i siti istituzionali del MIUR, dell’USR e dell’UST e partecipare a tutti i bandi che via via vengo aperti in tema di implementazione delle nuove tecnologie a scuola, si tratta di un altro modo di reperire le risorse necessarie al cambiamento.
E’ ovvio che non si possa trattare di un processo di brevissimo o breve periodo. Bisogna ragionare in un’ottica sistemica, step by step, partendo dal necessario cablaggio a banda larga della scuola per poi passare alla valutazione dei software e dei device tecnologici necessari, e contemporaneamente avviando la formazione degli insegnanti che deve essere – se possibile – precedente all’implementazione operativa della tecnologia. E’ consigliabile poi partire con l’avvio del progetto in alcune classi, che possono costituire un “pilota” che permetta di calibrare e valutare le criticità del processo complessivo.
E’ necessario poi il supporto e la regia delle istanze centrali dagli Uffici Scolastici regionali, al Ministero dell’Istruzione. Su questo punto l’azione di Governo dal centro di questo processo è ancora molto “balbettante” come dimostra la recente “gaffe” del Ministro Carozza che ha posticipato di un anno (al 2015-2016) la definitiva introduzione dei contenuti digitali per la didattica.
Sarebbe stato molto più opportuno evitare il rinvio dell’ingresso dei contenuti digitali nella scuola. Ma questo è solo il sintomo di una difficoltà più generale di questo esecutivo che, a nostro avviso, non sostiene ancora a sufficienza l’Agenda digitale della scuola definita dal Governo Monti. La “gaffe” sui contenti digitali danneggia, infatti, l’intero impianto dell’Agenda digitale della scuola e non solo. E’ pericoloso dare un segnale di uscita da una traiettoria già segnata, dove erano stati ipotizzati in maniera corretta i tempi per allineare l’Italia all’Europa. Ricordiamo che il cambiamento, che stiamo delineando, in tutti gli altri Paesi è già avvenuto e quasi sempre con un forte commitment dal centro e dal governo. Nel Regno Unito, ad esempio è stato il governo Balir a impostare e a finanziare la digitalizzazione integrale del sistema formativo. E’ vero che la scuola italiana non è ancora pronta a livello di infrastruttura, ma bisogna renderla tale! Da qualche parte, cioè, è necessario cominciare a reperire i fondi e le poste di bilancio e non si possono lasciare soli dirigenti e insegnati che spesso manifestano una forte capacità di innovazione a livello locale.
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