La telenovela dei libri digitali continua. Se ne parla da anni, troppi, e sempre più spesso si afferma che “si tratta di un fatto culturale”, tipica frase utilizzata in politica per dipingere come irrealizzabile qualcosa che probabilmente non lo è.
Di libri digitali si parla quantomeno dal 2005, se non prima, con norme specifiche per lo sviluppo di testi e materiale didattico accessibile per garantire a tutti gli studenti il diritto all’uso del digitale, senza escludere i soggetti con disabilità (Decreto Ministeriale 30 aprile 2008, a firma Nicolais – Fioroni – Mussi, rispettivamente ministro innovazione, istruzione, università e ricerca) che prevedevano l’applicazione di testi digitali accessibili già per l’anno scolastico 2008-2009.
Nel 2012, con la svolta dell’Agenda Digitale all’interno della cabina di regia erano stati auditi i soggetti interessati, tra cui gli editori che all’epoca si dichiararono, come associazione AIE, forti difficoltà a convertire la loro catena produttiva verso la produzione di contenuti parzialmente digitali sia per l’impatto nella catena di distribuzione, sia per i costi elevati di reingegnerizzazione. Già in quell’epoca furono audite anche altre realtà associative (editori minori) e casi di buone pratiche come il progetto “Book in progress”, nato dalla pubblica amministrazione e coordinato dal preside Salvatore Giuliano dell’istituto Maiorana di Brindisi, in cui i docenti in modalità collaborativa producono e condividono testi, abbassando nettamente il costo per le famiglie e consentendo un investimento in tecnologie digitali. Una buona pratica da clonare, criticata dagli editori tradizionali in quanto non si garantisce – a loro dire – la scientificità della fonte. Salvatore Giuliano ha dimostrato chiaramente che la digitalizzazione della formazione è altra cosa del mero libro digitale, senza contrare tra l’altro che spesso viene usato impropriamente tale termine per rappresentare una versione “pdf” e/o con applicativi personalizzati per mera lettura, senza possibilità di interazione.
Al termine dei lavori della cabina di regia, gli obiettivi per la scuola digitale erano i seguenti[1]:
· A partire dall’anno scolastico 2013-2014, nelle scuole sarà progressivamente possibile adottare libri di testo in versione esclusivamente digitale, oppure abbinata alla versione cartacea.
· Dall’anno scolastico 2012-2013, in ambiti territoriali particolarmente isolati (ad esempio piccole isole e comuni montani dove è presente un numero di alunni insufficiente per la formazione di classi) sarà possibile istituire centri scolastici digitali tramite apposite convenzioni con il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che consentano il collegamento multimediale e da remoto degli studenti alle classi scolastiche.
Dopo alcuni mesi di lavoro, il ministro Profumo nel marzo del 2013 ha il coraggio di proporre la svolta: la disposizione per i collegi dei docenti di adottare, dall’anno scolastico 2014/2015, solo libri nella versione digitale o mista, con sforbiciata del tetto massimo di spesa del 20% in caso di libri misti e del 30% nel caso di libri totalmente digitali. Il Ministero inoltre avrebbe predisposto una piattaforma con la versione dimostrativa dei testi al fine di consentire ai docenti la valutazione degli stessi.
Troppo bello per essere vero. Difatti, dopo circa 2 mesi ecco che sulla stampa compare il ricorso dell’AIE contro la troppo rapida accelerazione (a loro dire) e senza aver valutato il reale impatto di qualcosa che come AIE sapevano già dall’estate precedente (e forse prima). Giorgio Palumbo di AIE dichiarava: il decreto Profumo viola i diritti patrimoniali di autori ed editori, espressamente tutelati dalla legge, creando al tempo stesso un danno di sistema a tutta la filiera – si pensi a stampatori, cartai, promotori, ma anche agli stessi autori – peraltro in modo arbitrario e giuridicamente illogico. Oltre all’AIE, ad esprimere riserve sul decreto erano stati anche i librai all’indomani del varo del decreto. Secondo l’Associazione Librai di Confcommercio-Imprese per l’Italia il decreto farebbe aumentare le fotocopie illegali (sic!). Tra le altre dichiarazioni, la più interessante: da una parte i pro-digitali criticavano i libri cartacei per danni alla schiena dei ragazzi, dall’altra gli “analogici” accusavano le tecnologie di creare danni alla vista dei ragazzi.
In entrambi i fronti ci lamenta della mancanza di cultura digitale e di tecnologie. Attualmente il MIUR attraverso INDIRE ha promosso dal 2001 l’obbligatorietà per tutti i docenti e Dirigenti scolastici neo-assunti di svolgere la formazione durante l’anno di prova in ambiente di blended e-learning. Sono stati inoltre realizzati percorsi di formazione in ambiente e-learning per circa 500.000 tra docenti, dirigenti e personale ATA[2]. Uno dei maggiori problemi è la disponibilità però delle infrastrutture: spesso internet nelle scuole viene censito come presente anche quando si limita ad una connettività di bassa qualità limitata alla segreteria. Va pure detto che in ambito di formazione digitale non è necessaria connettività costante, ovvero un testo digitale e/o misto può essere comunque fruito anche offline e in assenza di specifiche tecnologie.
Facciamo ora un balzo al presente. Una delle prime azioni del ministro Carrozza è stato l’annuncio pubblico di revisione del decreto Profumo, a suo dire carente e inapplicabile in molti punti. Tutto però ci si aspettava tranne il contemporaneo Decreto Legge 12 settembre 2013, n. 104 (Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca) in fase di discussione in Parlamento e il Decreto Ministeriale XX (in quanto pubblicato senza data, annunciato nel sito del Ministero il 27 settembre 2013[3]). Nel DL vi sono chiari passi avanti verso la scuola digitale, con la predisposizione di fondi specifici per la connettività nelle classi “per l’accesso degli studenti a materiali didattici e a contenuti digitali”.
Nel DM invece vi è una non chiara volontà di passare al testo digitale, mantenendo il taglio del tetto di spesa al 30% per i testi totalmente digitali, abbassandolo al 10% per quelli misti e limitando la possibilità del testo digitale solo per le nuove adozioni. Dopo averlo letto c’è da chiedersi se si tratta di un protocollo d’intesa o di una circolare anziché un Decreto Ministeriale: molti “dovrebbero” al posto di “devono” e molte frasi discorsive nell’allegato tecnico anziché definizioni chiare di tempi e modalità di lavoro dell’ennesimo “tavolo”, avrebbero garantito senz’altro un risultato migliore.
E siamo ancora qui, fermi con le quattro frecce. Siamo arrivati quindi a fine del 2013 con un decreto ministeriale fumoso, pieno di propositi che si “dovrebbero” applicare. Un decreto che sembra scritto sotto dettatura, da parte di chi non vuole cambiare. Un decreto che conclude con una chicca: l’attività di validazione dei testi “sia dal punto di vista autoriale, sia da quello editoriale e redazionale”. Come dire, un ritorno al passato, modello MinCulPop? Sulla volontà comunque di questa “validazione” tanto amata dagli editori tradizionali il Ministro Carrozza si era già espressa via twitter nel mese di agosto 2013[4] “il libro digitale è una rivoluzione ma non è il libro fai da te”.
Qualcosa per migliorare si può senz’altro fare: il decreto è stato pubblicato per una raccolta “social”[5] di commenti che si auspica contribuiscano ad un ripensamento da parte del Ministro competente per garantire il reale diritto di educazione digitale in modo chiaro e trasparente.
[1] http://www.agenda-digitale.it/agenda_digitale/index.php/misure-per-ladi
[2] http://www.agenda-digitale.it/agenda_digitale/images/documenti/alfabetizzazione_digitale.pdf
[3] http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs270913
[4] https://twitter.com/MC_Carro/status/366113450855903232
[5] https://docs.google.com/document/d/1jwq77E0K5PrGbMoFJc0LWgcti7GxrAemYpdtyqbueMY/
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