Semplificazione e digitalizzazione, due facce della stessa medaglia, sembrano parallele destinate a non incontrarsi.
La semplificazione è da sempre un tema centrale dell’agenda politica dei Governi. Non fa eccezione neppure il PNRR, volto ad eliminare i “colli di bottiglia” che potrebbero ritardare gli investimenti e l’attuazione dei progetti, mettendo a rischio l’intera strategia per il rilancio del Paese.
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Semplificare, però, non vuol dire eliminare con un tratto di penna norme e regolamenti, ma rivedere l’impianto legislativo e l’apparato burocratico puntando sul digitale. Senza una PA digitale sarà più difficile cogliere i benefici delle riforme strutturali.
I recenti decreti legge di semplificazione, anche sulla spinta degli effetti della pandemia, cercano di dare una forte spinta nel miglioramento del rapporto tra imprese-cittadini e PA, puntando proprio sulla trasparenza e sulla digitalizzazione di procedimenti, atti e informazioni.
Semplificazione e digitalizzazione: quale attuazione dei provvedimenti?
L’obiettivo delle riforme è la realizzazione di una società digitale, in cui cittadini e imprese utilizzano servizi digitali efficienti della Pubblica Amministrazione in modo semplice e sistematico. Tuttavia, senza una radicale digitalizzazione del settore pubblico non potrà avvenire la trasformazione digitale del settore privato.
In tal senso, un primo e radicale cambiamento sarebbe rappresentato dall’attuazione in breve tempo delle misure di semplificazione via via approvate nei vari provvedimenti. Invece negli ultimi anni ci troviamo di fronte ad una realtà ben diversa nella quale si prevede da un lato un’efficacia temporale limitata ad alcune misure che invece andrebbero rese strutturali e dall’altro nessun controllo per l’attuazione di decreti delegati di istituti destinati a durare nel tempo (dei 556 provvedimenti attuativi richiesti nel 2020 ne sono stati varati solo 181).
In tema di contratti pubblici, ad esempio, la necessità di assicurare la capacità tecnica delle stazioni appaltanti dovrebbe costituire un tema essenziale, ma il sistema immaginato dal Codice n. 50/2016 (art. 38) per valutare l’adeguata qualificazione è molto complicato. Quindi di fatto questa norma resta in parte inattuata.
Stesso discorso per la digitalizzazione, poiché lo stesso decreto semplificazioni n. 77/2021 dispone che tutte le informazioni relative alla programmazione, alla scelta del contraente, all’aggiudicazione ed esecuzione delle opere siano gestite e trasmesse alla banca dati dei contratti pubblici dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) attraverso l’impiego di piattaforme informatiche interoperabili. Le commissioni giudicatrici effettueranno la propria attività utilizzando, di norma, le piattaforme e gli strumenti informatici. Si tratta di una previsione molto ottimistica, in quanto i dati effettivamente disponibili e acquisibili in via telematica sono soltanto quelli contenuti in documenti già disponibili in forma digitale o acquisiti in banche dati presso gli Enti certificatori.
Discorso a parte va fatto per il procedimento amministrativo. Nelle ultime due legislature sono stati fatti numerosi progressi in tema di: standardizzazione della modulistica per le attività produttive; abbreviazione dei tempi di convocazione e conclusione della conferenza di servizi; tempi per la formazione del silenzio assenso; riduzione dei termini per l’esercizio dell’autotutela.
Tuttavia, degli ulteriori correttivi introdotti, in astratto utili a ridurre il carico burocratico, nessuno ha mai visto la luce. Il riferimento è al monitoraggio dei tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese. Invero, tale previsione rientrava già nella legge n. 190/2012, quindi dal 2012 è rimasta quasi del tutto inattuata e gli effettivi termini di conclusione dei procedimenti non sono conosciuti.
Semplificazione e digitalizzazione: il caso del budget regolatorio
Altra modifica riguarda il Budget regolatorio. Per gli atti normativi di competenza statale, il costo derivante dall’introduzione degli oneri regolatori, compresi quelli informativi e amministrativi è qualificato come onere fiscalmente detraibile, qualora non contestualmente compensato con una riduzione stimata di oneri di pari valore. Per quanto giusta, una tale misura di liberalizzazione risulta essere particolarmente complessa nella sua attuazione. Anzitutto perché crea problemi nell’individuazione dell’oggetto dell’indagine: non fa riferimento ad oneri inutili o sproporzionati, bensì ad oneri nuovi, senza chiarire quale debba essere il dato di comparazione.
Da qui, discendono alcune considerazioni. La prima, di carattere generale, riguarda la qualità della regolazione. Vengono emanate norme a pioggia, in aggiunta e sostituzione, senza che nessuno verifichi lo stato di attuazione di quelle precedenti né tantomeno ne valuti l’efficacia.
In più, molto spesso queste norme non tengono conto della reale platea dei destinatari e, incuranti dei principi affermati nello small business act – COM (2008) 394-, sono “a taglia unica” e finiscono quindi per caricare di adempimenti allo stesso modo un piccolo artigiano di 2 dipendenti e un’industria di 200. È per questo che va posta maggiore attenzione alla modalità della regolazione e alla reale applicazione del principio “think small first”.
L’importanza dell’interoperabilità tra piattaforme
Semplificazione e digitalizzazione: da tempo CNA sostiene la necessità di costituire una cabina di regia tra Amministrazioni e soggetti destinatari dei provvedimenti, comprese le associazioni di categoria, al fine di lavorare per settori raccogliendo le norme in codici e testi unici e verificarne di tanto in tanto l’impatto e l’efficacia.
Nelle sole attività private, infatti, la legislazione si presenta ancor più caotica ed esondante poiché il Titolo V della Costituzione ha demandato una serie di materie in via esclusiva o concorrente a regioni ed enti locali. Per cui i tre livelli istituzionali che sono in conflitto tra loro legiferano con grandi differenze tra territorio e territorio dando vita ad una disomogeneità applicativa che rende difficile la vita delle imprese e soprattutto di quelle che operano in territori diversi (per un permesso di costruire occorrono fino a 30 documenti, per un’AUA sono coinvolti fino a 5 enti diversi, per avviare un’attività di tipo artigiano occorrono mediamente 70 adempimenti in conseguenza del numero elevato di obblighi imposti dalle normative statali, comunali e regionali).
La differenza di interpretazioni e di prassi regionali e locali si fa ancor più evidente nei procedimenti ad istanza di parte, come la Scia o l’AUA, nei quali si riscontrano tutte le contraddittorietà del sistema. Il SUAP dovrebbe operare come unico collettore di istanze e documenti per poi smistarli agli enti competenti e riuscire a coordinare gli endoprocedimenti come unica interfaccia con l’utente (once only SUAP), invece nella pratica non è così.
Dallo studio condotto dalla CNA, nel 2018 ma ancora molto attuale, dal titolo “Comune che vai burocrazia che trovi”, volto ad analizzare gli adempimenti richiesti agli imprenditori in fase di avvio di attività, emerge una realtà fatta di documentazioni tecniche, relazioni, planimetrie, istanze e richieste di autorizzazione presentate in modalità telematica (tramite piattaforma informatica dedicata o pec) o addirittura cartacea sia al SUAP che agli enti competenti nei procedimenti quali provincia, ARPA, vigili del fuoco, ASL, uffici comunali. Oltre agli enti ai quali rivolgersi, l’indagine ha evidenziato quanto le richieste di documenti aggiuntivi differiscano in base alla tipologia e al comune indagato e si discostino, anche non poco, rispetto alla modulistica nazionale standardizzata.
Infine, sul piano della digitalizzazione, il decreto di semplificazione attualmente all’esame del Parlamento punta sulla realizzazione di una Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), finalizzata a favorire la conoscenza e l’utilizzo del patrimonio informativo detenuto dai soggetti pubblici per finalità istituzionali, fissando un termine perentorio per la condivisione a regime delle banche dati.
Per CNA il tema dell’interoperabilità per lo scambio di informazioni e l’erogazione di servizi nella pubblica amministrazione è cruciale al fine di superare i rallentamenti burocratici che imprese e cittadini riscontrano quotidianamente nei vari procedimenti amministrativi, soprattutto a causa della costante richiesta degli stessi documenti.
Attualmente, invece, manca una visione di insieme e permane una grande frammentazione tra uffici e banche dati: le banche dati di INPS e Agenzia delle entrate non sono allineate, e ogni ufficio, anagrafe, SUAP, SUE, polizia ne ha una propria che non è progettata per dialogare con le altre della stessa PA. E nel caso di istanze che prevedono il parere di più amministrazioni non c’è interoperabilità tra software, ma si continua ad operare con Pec.
Per questo, CNA ritiene indispensabile la transizione dal modello umano a quello automatico, ma questa deve essere accompagnata culturalmente non solo da norme e linee guida per consentire ai soggetti privati (cittadini e imprese) una più ampia partecipazione alla vita della pubblica amministrazione da protagonisti.
A questo riguardo, diventa una necessità di tutti gli uffici condividere i contenuti nei diversi database per interagire in vista di interessi comuni ricorrendo alla condivisione di conoscenze ed informazioni. Perciò occorre rinvigorire il personale della PA con esperti digitali. Il PNRR potrebbe rappresentare l’occasione giusta poiché si attende l’assunzione di molti giovani con profili specializzati.