Il patrimonio artistico-culturale del nostro Bel Paese è davvero unico al mondo per ampiezza e profondità temporale. Qualche dato aiuta, in estrema sintesi, a corroborare l’affermazione: oltre 4.500 tra musei, aree archeologiche e monumenti, quasi 6 mila beni immobili archeologici vincolati, più di 46 mila beni architettonici vincolati, 25 mila luoghi di spettacolo, 65 teatri stabili, 50 siti Unesco, 20 mila biblioteche (e potremmo continuare), producono un valore pari a circa il 6% del PIL nazionale.
Dobbiamo essere contenti? Forse no, anche perché qualcosa non torna. La classifica dei musei cittadini più visitati in un anno, infatti, parla chiaro: Londra al primo posto con 20 milioni circa, Parigi con 15, NewYork con quasi una decina di milioni. Firenze, la più gettonata in Italia, non raggiunge i 5 milioni, Roma sfiora i 2, come pure Venezia (Mibact – Federculture 2015) Dov’è, allora, il problema? Non certo nei contenuti artistici, vista la premessa iniziale. Altri dati aiutano a inquadrare meglio il tema: il 70% degli Italiani non visita mostre o musei, il 78% non va a teatro, solamente una ristretta minoranza visita i musei (5%) o si reca teatro (2%) più di quattro volte all’anno. Eppure qualche timido segnale proviene dalla domanda: nel 2014, rispetto all’anno precedente, la spesa delle famiglie italiane per la cultura e la ricreazione è aumentata del 2%, al pari degli ingressi a teatro e al cinema, mentre mostre e musei sono cresciuti dell’8%. L’offerta, non in termini di contenuti, ma di modalità e strumenti, probabilmente ha ampi spazi di miglioramento. Stiamo perdendo competitività anche sul fronte dell’arte e della cultura? Può darsi, se non rinnoviamo lo stereotipo che con la cultura “non si campa”.
Segnali, anche forti, stanno arrivando dal Governo con le nomine di nuovi direttori, un programma di 500 assunzioni per professionisti del settore e lo stimolo per incoraggiare un nuovo mecenatismo a favore della cultura. Dal piano strategico per la digitalizzazione del turismo italiano (TDLab-Mibact, 2015) proviene il monito di “attivare un nuovo scenario di fruizione di dati e servizi specificatamente progettato per il visitatore d’oggi”, a cui fa eco il rapporto Federculture, che ravvisa nel marketing un anello debole della catena artistico-culturale, con “l’uso dei social media che […] è scarso, mentre anche l’eCommerce, uno dei principali canali di vendita, non solo per la biglietteria ma anche per il merchandising, rappresenta […] uno strumento poco conosciuto”. L’uso delle tecnologie digitali è la nuova sfida per la cultura. Purtroppo siamo mediamente indietro. L’assunto che i beni culturali non si possano spostare, perde sempre più significato con la diffusione degli strumenti digitali, della stampa 3D e della realtà aumentata. Social media e eCommerce ancora al palo nel settore artistico e dell’industria culturale italiana. L’offerta stenta a proporre nuove modalità di fruizione, nonostante le tecnologie digitali possano dare nuovo vigore al sistema.
Rischiamo una colonizzazione straniera, che si “appropria” della gestione a distanza dei beni, con un’offerta d’avanguardia? Come possiamo pensare di suscitare l’interesse delle nuove generazioni per l’offerta culturale, proponendo ancora percorsi museali tra una teca e l’altra? Oggi le nuove generazioni, segmenti disinteressati non alla cultura ma a modalità tradizionali di fruizione, chiedono nuovi stimoli, più interattivi e consoni ai loro gusti. L’offerta digitale può, anche nell’ambito della cultura, cambiare i paradigmi della fruizione, svelare nuovi percorsi culturali. Pensiamo alla spettacolarizzazione di un restauro o di uno scavo archeologico, fatti vivere, attraverso le nuove tecnologie, come un viaggio nel tempo, dove l’interazione tra offerta culturale e pubblico diventa sempre più intensa. E poi, quanto indotto genera il turismo culturale sulle economie locali? Il sistema, se messo in moto adeguatamente, oltre a dare un contributo significativo alla crescita del Paese, farà anche capire che di “cultura si può campare”.