La chiave di volta per una reale sburocratizzazione della pubblica amministrazione che garantisca vantaggi tangibili ai cittadini, è molto semplice e alla portata di una società in cui ormai è tutto digitalizzato, almeno quando si tratta di doveri: basterebbe abolire la “domanda”, ossia lo strumento principe col quale opera la burocrazia.
E passare a servizi automatici: erogati senza che il cittadino li richieda. Vecchio sogno, ma mai realizzato.
Difficile? Niente affatto, se la politica, i cittadini, le imprese e i dipendenti pubblici si attiveranno in questa direzione.
Vedremo, infatti, come nonostante i numerosi tentativi di digitalizzazione della macchina pubblica che negli anni si sono susseguiti, alcune volte con risultati apprezzabili il più delle volte senza, rimane tuttavia costante il malessere di larghi settori della società verso un mondo che ha procedure e organizzazione spesso risalenti a epoche storiche molto lontane e a logiche ormai in larga parte superate.
La PA che resiste al cambiamento
La Pubblica Amministrazione nel corso degli anni è profondamente cambiata per seguire la società in molti aspetti, tuttavia rimane qualcosa che non riusciamo a superare e che da solo crea molti dei malesseri, quando non delle profonde ingiustizie. Lo stato di diritto ha dato al cittadino sempre più diritti e doveri che vengono codificati in norme che ne garantiscono l’applicabilità. Oggi qualsiasi diritto o dovere è frutto di regole precise che tolgono alla burocrazia il diritto di sindacare se e quando erogare un diritto o pretendere un dovere. Per i casi più contesi ci si appella al potere giudiziario. Tuttavia, ogni volta che il cittadino ha diritto a qualcosa secondo quanto previsto da una norma continuiamo a chiedergli di produrre una “domanda” nella quale esprime una richiesta, produce la documentazione che dimostra che ne ha diritto, la sottopone ad approvazione.
La “domanda”, abbiamo detto, è lo strumento principe con il quale opera la burocrazia. È un concetto che risale a un modello di stato nel quale il suddito faceva richieste in virtù delle quali lo stato giudicava il da farsi non di rado in modo arbitrario.
Se vogliamo dare un impulso alla digitalizzazione del paese io credo dobbiamo cominciare da qui. Approfittare della potenza di calcolo, degli algoritmi e dei dati per automatizzare l’erogazione dei diritti e la verifica dei doveri.
Oggi è possibile con una grande facilità (e in più di un caso viene fatto) raccogliere dati per verificare se il cittadino ha rispettato un suo dovere. Ad esempio, prendiamo le targhe alle auto che passano nei varchi controllati e in automatico verifichiamo che hanno fatto la revisione o pagato l’assicurazione, il fisco controlla i nostri conti per monitorare eventuali evasioni, e così via. Non accade mai che una amministrazione a fronte di un evento che matura un diritto del cittadino eroghi in autonomia tale diritto, magari chiedendo al cittadino in caso non ne fosse giustamente destinatario di segnalarlo.
Come “abolire” la domanda
Ad esempio, se si perde il lavoro è necessario andare al CAF, portare la documentazione (di fonte INPS e datore di lavoro) per chiedere all’INPS un sostegno di disoccupazione. Eppure, l’INPS avrebbe tutti i dati per rilevare l’evento “disoccupazione” appena l’azienda gli comunica la perdita dell’impiego, potrebbe operare in autonomia e sull’IBAN di quel lavoratore (magari comunicata dal datore di lavoro) inviare il sostegno che gli spetta. Ed è anche in grado di capire se il lavoratore è stato assunto nel frattempo da un altro datore di lavoro e/o raccogliere dati per capire se il lavoratore ha aperto una partita iva o un’azienda. Insomma, nella gran parte dei casi. E questo l’INPS potrebbe farlo su molti altri eventi della vita: la nascita di un figlio; la pensione; una malattia; ecc. Magari non in tutti i casi ma nella stragrande maggioranza si.
Per non parlare del cambio di residenza che una volta richiesto dovrebbe produrre in automatico una serie di eventi quali assegnazione del medico (magari di default a quello più prossimo a casa nell’attesa di una scelta), aggiornamento dei documenti, ecc. Oggi una parte di questi è aggiornata in automatico ma se si capita nel comune disorganizzato si rischia di non avere la carta di circolazione aggiornata così come molti altri documenti.
La richiesta da parte del cittadino ha senso quando si richiedono servizi come una prestazione medica o altro tipo di prestazione che, pur essendo un diritto, potrebbe non essere esercitato.
Automatizzare il concetto di richiesta
Automatizzare il concetto di richiesta della prestazione significa poter aumentare la qualità del servizio, fornire più servizi e migliori a parità di personale e significa impiegare le persone in compiti più sofisticati che validare documenti e certificati o interpretare regole che potrebbero essere codificate a livello centrale per tutti i livelli amministrativi così che siano uguali anche in comuni o regioni diverse e non cambino a seconda dell’interpretazione del burocrate di turno.
L’esempio dell’INPS è uno dei tanti possibili ma ovviamente questo può essere vero in molti settori dove un cittadino o una impresa chiede qualcosa o gli viene chiesto qualcosa. Anche il pagamento delle tasse sulla casa potrebbe essere molto semplificato se sulla base dei dati al catasto e delle informazioni in possesso alla PA arrivasse al cittadino quanto deve pagare, magari attraverso il suo conto in banca e, perché no, rateizzabili se lo desidera.
Eliminare il concetto di “domanda” non è solo una misura di sburocratizzazione, di realizzazione di una trasformazione digitale ed organizzativa che punta all’ammodernamento della PA e della società ma è soprattutto una forma di giustizia. Perché nella dinamica della richiesta e del formalismo per produrla si concretizza anche una forma di selezione tra i cittadini che sono più istruiti o preparati o hanno più tempo e hanno trovato il consulente giusto e quelli che non lo sono. Tra quelli che hanno spid, sanno utilizzare l’app o il web e quelli che hanno difficoltà e pur di non imbattersi nel labirinto della burocrazia non richiedono ciò di cui hanno diritto. Posto che dobbiamo aiutare tutti a sapersi districare e utilizzare al meglio gli strumenti del digitale non dobbiamo lasciare indietro nessuno e dobbiamo evitare che per poter richiedere un diritto il cittadino e l’impresa debbano spendere dei soldi con un consulente. Quante volte rinunciamo ad esercitare un nostro diritto spaventati dal tempo necessario per farlo, dalle file, dagli uffici, ecc. Questo produce una disaffezione del cittadino verso lo stato e una sentimento di ingiustizia che non di rado si trasforma in rabbia.
Procedure arcaiche nell’era del digitale
Solo se ci concentriamo nel cambiare il modo di operare dell’organizzazione della PA e lo facciamo cambiando profondamente l’approccio riusciremo a sfruttare al meglio la digitalizzazione. E dobbiamo superare la paura che la PA possa avere tutti i nostri dati: in fondo accettiamo che Google e Facebook sappiano dove siamo, cosa compriamo, cosa vediamo, quello che diciamo e poi se lo Stato ci chiede di utilizzare la carta di credito ci allarmiamo per la privacy. Ci allarmiamo con l’unico soggetto che rispetta la norma e le tutele alla lettera e di cui siamo “azionisti” attraverso il voto.
Pensare ad una burocrazia come ad un grande erogatore di servizi, in gran parte automatizzati e magari customizzati consentirebbe a cittadini e imprese di vivere meglio, incentiverebbe l’uso delle tecnologie e migliorerebbe la produttività di tutto il sistema. Negli ultimi anni molte cose sono state realizzate (pensiamo alla dichiarazione dei redditi online che era stata ipotizzata nel 2006 e ha trovato realizzazione negli ultimi tempi), il Team per la trasformazione digitale ha dato un grande impulso, ora sarebbe utile affrontare la digitalizzazione partendo dalla “domanda” che rappresenta il nodo centrale della burocrazia per trasformarlo in una grande opportunità di cambiamento a tutti i livelli amministrativi.
Blockchain, Intelligenza Artificiale, piattaforme digitali e “mobile” non servono a nulla se continuiamo a chiedere al cittadino di approcciare la burocrazia con i processi e le procedure pensate nel medioevo. Il malessere dei cittadini e imprese è sempre più alto, le indagini e i sondaggi mettono questo malessere sempre ai primi posti e non può che aumentare visto che il settore privato invece ha spesso cambiato i suoi processi, reso semplici o automatiche le richieste, migliorato la qualità e la quantità dei servizi erogati. Ci si trova spesso di fronte a due mondi tra quando si va dal privato e quando si accede alla PA, questo non deve accadere.
Quando entriamo in qualche PA che ha cominciato a ripensare i suoi processi in funzione del digitale ci sentiamo soddisfatti e contenti, quante volte lo raccontiamo in giro come fosse un miracolo. L’obiettivo che ci dobbiamo dare tutti è trasformare la PA in un posto nel quale non servono miracoli ma l’assoluta normalità di organizzare bene le cose, mettersi dalla parte degli utenti, avere quella attenzione anche ai dettagli e alla cura del servizio che è ormai una componente non più rinunciabile in una normale interazione tra utenti e amministrazione.
In tutti questi anni di “digitalizzazione” della PA se c’è una cosa ormai chiara è che non riusciremo mai a cambiare la burocrazia se partiamo dai “bit e dai byte”, dobbiamo partire da come è possibile immaginare una nuova organizzazione e nuovi processi utilizzando i potentissimi strumenti che i “bit e i byte” ci mettono a disposizione. Per fare questo è necessario che la politica si attivi ma è anche necessario che ognuno giochi il proprio ruolo come cittadino, impresa, impiegato, funzionario o dirigente della PA.