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Sfruttare i vantaggi dell’Intelligenza Artificiale nella PA: come farlo in modo etico



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Anche la Pubblica Amministrazione è chiamata oggi a far parte della transizione digitale, una sfida tutt’altro che facile, in cui però l’intelligenza artificiale può giocare un ruolo importante. A patto che l’essere umano sia motore primario e scopo ultimo dell’innovazione tecnologica

Pubblicato il 24 lug 2023

Tiziana Catarci

Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale A.Ruberti – Sapienza Università di Roma

Daniel Raffini

Università Sapienza



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Con la rivoluzione digitale in corso, paragonabile a quella avvenuta in occasione della rivoluzione industriale del XIX secolo, anche il mondo del lavoro sta vivendo una forte ridefinizione, con la scomparsa di alcuni lavori ripetitivi e meccanici e l’emergere di lavori innovativi, spesso più creativi; nuove professioni che richiedono in molti casi competenze multi/interdisciplinari, che vengono impiegate per affrontare problemi sempre più complessi, come il cambiamento climatico, la questione energetica, l’invecchiamento della popolazione o le pandemie.

Si tratta di un cambiamento che riguarda l’intera popolazione e che rende perciò necessario stimolare e nutrire nelle persone consapevolezza e pensiero critico. Una transizione che non può non vedere protagonista la Pubblica amministrazione.

Le chiavi per il cambiamento a cui stiamo assistendo

Ma quali sono state, negli ultimi decenni, le chiavi per il cambiamento a cui stiamo assistendo? Il percorso delle tecnologie digitali ci permette di interpretare i processi in atto e gli strumenti oggi a nostra disposizione. In primo luogo, bisogna ricordare lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, come la rete internet, il web e la telefonia mobile 5G.

Di centrale importanza è stata poi la possibilità di elaborazioni velocissime su computer di dimensioni sempre più ridotte; l’immagazzinamento, il reperimento e l’elaborazione efficienti di grandissime quantità di dati, strutturati e non strutturati; la connessione dei sistemi con il mondo reale tramite sensori e attuatori sempre più precisi, piccoli ed economici; la progettazione di interfacce in grado di “aumentare” le capacità umane. Tutto ciò, e in particolar modo la grande disponibilità di dati e l’aumento della capacità computazionale, ha portato negli ultimi anni a un notevole avanzamento delle tecnologie di intelligenza artificiale, sia nella forma di software intelligenti che di robot, ossia agenti intelligenti dotati di fisicità, in particolare robot mobili autonomi.

L’intelligenza artificiale è dunque un fattore centrale nella trasformazione digitale della società e l’UE ha riconosciuto l’IA come un’area di importanza strategica nella Revisione 2021 del Piano Coordinato sull’Intelligenza Artificiale.

Anche la Pubblica Amministrazione è chiamata oggi a far parte della transizione digitale, una sfida tutt’altro che facile. Tra i grandi problemi, in questo senso, ci sono le norme spesso obsolete (in alcuni casi abbiamo ancora a che fare con i Regi Decreti!), la mancanza di competenze tecnologiche, la questione della data integration (quante volte ci vengono chiesti dalle amministrazioni dati di cui sono già in possesso?), le falle nella gestione dei processi (che diventano spesso labirintici), l’usabilità degli strumenti e la difficoltà delle procedure. I pilastri di cui tener conto sono l’innovazione digitale e l’informatizzazione, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e la sicurezza informatica; mentre tra gli obiettivi specifici dovremmo inserire l’utilizzo dei dati per prevenire i bisogni, la messa al centro della soddisfazione dei cittadini e delle cittadine, delle imprese, dei e delle dipendenti, la possibilità per ognuno di utilizzare il canale di interazione che preferisce, il supporto alle istituzioni protagoniste delle decisioni politiche per il raggiungimento degli obiettivi. Per fare ciò sono necessarie in primis la reingegnerizzazione dei processi, l’integrazione dei dati, il miglioramento dell’usabilità dei sistemi di interazione, la formazione, la semplificazione e l’aggiornamento legislativo.

L’uso dell’IA nel Process Mining

Il Process Mining riunisce varie tecniche che hanno l’obiettivo di ottenere informazioni su come i processi vengano realmente eseguiti per individuare i problemi, come le scarse prestazioni o la conformità, e fornire indicazioni per effettuarne la re-ingegnerizzare. L’IA può essere usata efficacemente nel Process Mining, per esempio per costruire sistemi di monitoraggio e raccomandazione, scoprire modelli di processo, sviluppare tecniche di controllo della conformità e correlare il comportamento del processo e i dati di interesse.

In relazione ai dati esiste il cosiddetto problema dei silos, ossia archivi (repository) di dati memorizzati separatamente e chiusi a utilizzatori diversi da quelli proprietari, anche all’interno della stessa organizzazione. Questo determina svariati problemi di gestione ed accesso al patrimonio informativo della PA, tra cui ridondanze e incoerenze nei dati che si moltiplicano a livello di task, dipendenza dei risultati dal modo in cui i task considerano i dati, difficoltà nell’interoperabilità, nel confronto e nell’armonizzazione dei risultati. L’intelligenza artificiale ha in questo caso un duplice scopo.

  • Da un lato può essere utilizzata per estrarre informazioni e conoscenza dai dati, attraverso la data analitycs, che si serve della “Connectionist AI” (o data-driven AI o subsymbolic AI);
  • dall’altro per preparare l’ecosistema dei dati, i metodi, gli strumenti e i servizi di gestione che rendono possibile appunto l’analisi. L’80% del tempo di un data scientist è speso per trovare, comprendere, pulire e riorganizzare dati: la “Symbolic AI” (o representation-driven AI) può essere lo strumento fondamentale per supportare la data preparation e per risolvere il problema dei silos.

L’IA per limitare i task ripetitivi nella PA

Un’innovazione importante nella comunicazione tra utenti e aziende o PA è oggi rappresentata dall’introduzione dei Chatbot, strumenti di comunicazione controllati per gli utenti finali, caratterizzati dall’utilizzo compiuto del linguaggio naturale, un miglioramento epocale nell’ambito della human-computer interaction. La possibilità di produrre linguaggio è legata allo sviluppo dell’IA generativa e in particolare dei Large Language Models. L’alto livello di usabilità di questi strumenti, che sono in grado di rapportarsi agli esseri umani utilizzando lo stesso codice comunicativo (il discorso scritto o parlato), permette anche di creare nuovi servizi. Ovviamente tutto deve avvenire sotto il controllo dell’essere umano, anche per evitare pericolose “allucinazioni”. L’IA può essere poi uno strumento per alleviare i task ripetitivi e noiosi dei dipendenti della PA, processi che possono essere demandati ai sistemi automatici purché, come sempre, si garantisca un’adeguata supervisione umana.

Un esempio è il sistema introdotto dall’INPS per la classificazione automatica delle PEC dei cittadini in base all’argomento o i sistemi per massimizzare le sentenze utilizzati in ambito di giustizia amministrativa.

Intelligenza artificiale nella PA, il ruolo della formazione

Un punto centrale per la transizione digitale e l’integrazione dell’IA nella PA è la formazione. Ad oggi nei paesi occidentali mancano moltissimi laureati nei settori chiave della rivoluzione digitale. Secondo la Commissione Europea, l’Europa ha una carenza di quasi un milione di lavoratori ICT qualificati, una situazione su cui grava anche un grosso divario di genere: in 35 paesi europei meno di 1 su 5 laureati in ICT (Information and Communication Technologies) è donna, in Italia meno di 1 su 6. Manca un piano forte e “aggressivo” di formazione continua sulle tematiche digitali – non solo nella PA – tanto che l’alfabetizzazione digitale e le competenze digitali di base sono ancora ancora basse persino tra i giovani. Lo scorso anno sono stati circa 10 milioni gli italiani che hanno subito violazioni digitali (phishing) e il 32% di questi apparteneva alla Generazione Z, in assoluto il target più colpito. Gli episodi, infatti, tendono a decrescere all’aumentare dell’età, colpendo il 31% dei Millennials (27-40 anni), il 22% della Generazione X (41-56 anni) e l’11% dei Baby Boomers (57-64 anni). Dati che ci portano ancora alla necessità di creare maggiore consapevolezza.

La necessità di norme e orientamenti etici condivisi

Il lavoro di formazione e creazione di competenze e consapevolezza va affiancato dalla costruzione da parte dei decisori di un quadro normativo chiaro e condiviso in merito allo sviluppo e all’utilizzo dei sistemi di IA. In UE è stato recentemente emanano l’AI Act, che si aggiunge al Data Governance Act, al Digital Service Act e al Digital Market Act; negli USA l’amministrazione Biden-Harris ha emanato il Blueprint for an AI Bill of Rights e l’AI Risk Management Framework. Oltre all’introduzione di quadri normativi specifici, è però estremamente necessario adeguare le leggi vigenti alla società digitale. Accanto alle normative e alle leggi c’è poi la necessità di sviluppare orientamenti etici condivisi, ambito di cui oggi si occupa l’Etica dell’intelligenza artificiale e in Italia l’Associazione SIpEIA (Società Italiana per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale). I movimenti che vanno in questa direzione sono molti, da AI for Good, che promuove un utilizzo dell’IA per scopi benevoli, a Trustworthy AI, che mira a fornire metodologie per la creazione di sistemi di IA affidabili. Nel Programma Strategico IA 2022-24 a cura del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale si legge: “Lo sviluppo dell’IA deve essere incentrato sull’inclusione economica e sociale, sui diritti umani e sulla sostenibilità ambientale. L’IA deve essere progettata e implementata in modo responsabile e trasparente, affinché possa rispondere alle sfide della società garantendo sicurezza in tutti i settori. A tal fine, l’Italia aderisce alle ‘Linee guida etiche per un programma di orientamento e attuazione affidabile dell’IA’ definito dall’High Level Expert Group on AI”.

Conclusioni

L’orientamento condiviso è quello che mira a un design human-centered, in cui l’essere umano è motore primario e scopo ultimo dell’innovazione tecnologica. In questo contesto i sistemi sono pensati per essere implementati in maniera da essere etici e rispettosi della privacy “by design”, cioè intrinsecamente progettati in maniera tale da soddisfare questi principi (e non modificati o corretti successivamente).

Per centrare gli obiettivi di innovazione ed etica è necessaria la creazione di un ecosistema nazionale ed europeo di collaborazione tra PA, industria, ricerca e università, che porti avanti un’idea di IA usata per costruire un mondo migliore, più inclusivo, più sostenibile, con meno pregiudizi, meno bias, attraverso processi trasparenti e in maniera responsabile.

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