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“Software defined government” per una PA invisibile, contro la burocrazia: come fare

Una buona amministrazione pubblica dovrebbe ridurre a zero la richiesta da parte del cittadino di soddisfare i propri diritti e elaborare leggi e sistemi informativi in parallelo. Un “software defined government” che lavora con regole prefissate e implementate nei sistema. Ecco perché potrebbe essere utile

Pubblicato il 18 Apr 2018

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

servizi pubblici digitali

Nell’ultima campagna elettorale si è sentito parlare più di una volta di burocrazia. Chiunque abbia avuto a che fare con uffici pubblici si è sentito almeno una volta impotente di fronte all’iter di una sua richiesta. Vedersi riconoscere o meno un proprio diritto a seconda di come venga valutata la domanda può essere in molti casi mortificante e in molti altri un passaggio nel quale si annida la corruzione e la vessazione dei cittadini.

E’ sempre più discussa così l’idea, contraria rispetto all’esistente, di una PA invisibile, che per molti aspetti è “software defined government”: applicando i diritti dei cittadini in modo automatico e senza che ne fanno richiesta. Ma com’è possibile arrivare a questo punto?

Burocrazia fuori tempo massimo nell’era digitale

Tutta la “burocrazia” di cui ci lamentiamo è pensata in un’epoca nella quale il cittadino era l’unico a possedere tutte le informazioni su di sé mentre la pubblica amministrazione aveva decine o centinaia di banche dati, più o meno automatizzate, dove venivano conservati dati e informazioni.

Questa frammentazione del dato non consentiva alle diverse amministrazioni di avere un quadro completo sul cittadino e le obbligava a richiedere certificati o informazioni aggiuntive al fine di poter validare una richiesta prevista tra i propri diritti.

Da un po’ di tempo la PA ha consolidato (o lo sta facendo) i dati delle proprie banche dati e oggi è spesso in grado di poter collegare le diverse informazioni per poter ricostruire la situazione dei singoli cittadini. Negli ultimi anni la lotta all’evasione fiscale ha spinto verso una legislazione che ha permesso all’Amministrazione di incrociare i dati in modo da poter avere un quadro sempre più preciso di ogni suo cittadino.

Le amministrazioni locali, che se sono piccole di solito sono le meno informatizzate, dovrebbero aver modificato le proprie banche dati per poter fornire informazioni in tempo reale alle altre.

È stato perfino modificato e cambiato l’approccio ai “certificati” e già da molti anni, per fortuna, è possibile autocertificare il proprio stato o avere già in tutto o in parte i propri dati presso l’amministrazione centrale. Infine è da salutare positivamente la precompilazione della dichiarazione dei redditi che oggi è già molto completa e tenderà ad esserlo sempre di più in futuro, ciò renderà semplice per ogni cittadino il rapporto con il fisco.

PA digitale: usufruire dei propri diritti senza dover fare domanda

Permane tuttavia una pessima abitudine della burocrazia, ed è quella di riconoscere i diritti sanciti con legge solo se il cittadino ne fa domanda: capita non di rado che per ritardi o valutazioni discrezionali tale diritto non sia garantito o sia riconosciuto a chi non lo merita. Questo rende il processo spesso inutilmente complicato ed escludente per chi non abbia mezzi o soffra di analfabetismo (magari di ritorno) e non riesca a richiedere in modo appropriato ciò che gli spetta.

Una buona amministrazione pubblica dovrebbe ridurre a zero la richiesta da parte del cittadino di soddisfare i propri diritti e costruire provvedimenti di legge e sistemi informativi in modo parallelo. In questo senso già oggi sarebbe possibile per molti dei diritti previsti dalla norma poter usufruirne senza dover chiedere nulla, in modo trasparente.

Richiedere un bonus o una riduzione prevista dovrebbe essere fatto di default, i sistemi informativi dovrebbero calcolare gli importi, incrociare i dati e inviare ai cittadini quanto gli spetta o richiedere quanto è loro d’obbligo.

Validazione degli algoritmi e tutela della privacy

È chiaro, tuttavia, che questo impone un esame attento degli algoritmi di calcolo utilizzati, della loro implementazione e dei meccanismi a tutela della privacy.

È necessario dunque costruire dei meccanismi di validazione degli algoritmi di calcolo che non possono essere né lasciati alla progettazione e realizzazione di soggetti che non ne debbano rispondere in solido in caso di errore e che non possono essere messi in atto senza una preventiva validazione ufficiale da parti di enti terzi dotati della necessaria capacità di valutazione e attraverso procedure di verifica e test codificate.

La digitalizzazione della pubblica amministrazione impone la creazione di un filone di attività volte proprio a validare gli algoritmi e i risultati, cosa ancora più rilevante nel momento in cui viene utilizzata l’intelligenza artificiale che non sempre consente di poter disporre dell’algoritmo. Chi può validare e come è possibile farlo? Come poter essere sicuri che i diritti dei cittadini siano garantiti e non possano cadere in un inferno di richieste di ripristino dei dati, mancato riconoscimento dei propri diritti, verifica lasciata in mano al singolo che non ha competenze.

Software defined government, la PA trasparente

L’amministrazione pubblica che vogliamo è sempre più invisibile, un “software defined government” che lavora in silenzio sulla base di regole prefissate e implementate nei sistemi dove le richieste dei cittadini non passano per fogli stampati, impiegati alienati, uffici pieni di carta. Gli impiegati devono essere utilizzati nel controllo dei processi, nella valutazione delle eccezioni, nella gestione della necessaria flessibilità. Questo pone nuovi problemi nel processo di digitalizzazione, crea nuovi problemi di verifica e validazione. Impone che nei regolamenti attuativi delle leggi o nelle leggi stesse sia anche presente un algoritmo di calcolo, che esso non sia in mano solo ai “tecnici” ma diventi oggetto di validazione democratica e sia verificato da terze parti che possano eseguire l’audit, che sia di pubblico dominio affinché possa essere verificato, contestato, possano essere proposte modifiche in caso di errore.

Questo non è un problema solo della PA, ogni organizzazione che produce complessi calcoli con i quali i cittadini (o i clienti) devono fare i conti dovrebbe poter garantire che essi siano frutto di una attenta analisi. I casi di clamorosi errori non mancano.

Di questo la politica dovrebbe cominciare a discutere, questo dovrebbe essere parte integrante dell’agenda digitale di un paese democratico.  Non siamo forse troppo concentrati a discutere di quale tecnologia adottare e di come essa potrebbe essere di nostro aiuto e poco di quali nuove criticità e opportunità essa ci mette di fronte per evitare che emergano nuovi problemi?

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