la strategia

Software libero, così Roma si è liberata dal vendor lock in che bloccava le gare

Per la Pubblica Amministrazione, mettersi in condizione di evitare qualsiasi lock-in da fornitori, è necessario per poter svolgere pienamente la propria missione verso i cittadini. Ecco le iniziative avviate a Roma Capitale

Pubblicato il 27 Giu 2018

Flavia Marzano

Digital Transformation Consultant

clean energy

La nostra esperienza dimostra che si può fare. Si può rompere il vendor lock in nella PA. Roma è riuscita a liberarsene, e fare una gara pubblica. Dopo ben 35 anni di rinnovo contratti senza gara.

La delibera software libero

L’inizio è stato la Delibera di Giunta Capitolina nr. 55 (approvata il 14 ottobre 2016) che impegna l’Amministrazione Capitolina a promuovere l’utilizzo del software libero.

Tale scelta non è stata effettuata per la riduzione dei costi (che pur potranno esserci visto che ad oggi abbiamo installato più di 14.000 licenze LibreOffice che sono il 95% delle postazioni client di Roma Capitale) ma soprattutto per limitare al massimo scelte che vincolino l’amministrazione a un fornitore, alle sue scelte tecnologiche e rendano troppo difficili e/o costosi eventuali cambi di applicativi e/o personalizzazioni.

La Delibera 55/2016 prevede inoltre un Piano di transizione che prevede le modalità per una graduale e sostenibile transizione verso il software libero e la stesura di una nuova proposta regolamentare, concernente la definizione degli standard architetturali e tecnologici del sistema informativo capitolino e della rete di telecomunicazione, mai variati dal 1997! Il regolamento predisposto (approvato con Delibera 68/2018) ha quindi sostituito la disciplina in materia, recata dalla deliberazione n. 3895, adottata dalla Giunta Comunale in data 26 settembre 1997 aggiungendo ovviamente anche specifiche relative all’adozione di soluzioni di software libero.

Con la consapevolezza che ogni nuova tecnologia va supportata da interventi formativi e che la collaborazione interdipartimentale sta alla base dell’innovazione della macchina amministrativa, a ottobre 2017 abbiamo creato la rete di 112 referenti per il software libero. Sono stati tenuti 4 interventi di formazione specificamente predisposti e mirati a supportare i referenti sia a lavorare che ad aiutare i propri colleghi nell’utilizzo di nuovi applicativi per cui è stata anche già predisposta una piattaforma basata su Moodle per la formazione online.

In questo contesto, un altro intervento attuato dall’Assessorato Roma Semplice, tramite il Dipartimento per la Trasformazione Digitale, è stato il Piano di Transizione che ha rivisto tutti gli affidamenti scaduti, dove possibile tramite accordi con Consip. È stata poi attivata la gara relativa a un applicativo presente nell’amministrazione da 35 anni il cui contratto era stato rinnovato di volta in volta senza effettuare alcuna gara.

Anche questo è stato un importante passo verso l’abbattimento del lock-in, anche questi sono interventi che dovrebbero essere effettuati consuetudinariamente senza la necessità di decisioni politiche in merito anche per rispettare l’attuale normativa sugli appalti.

Abbiamo concluso l’installazione di LibreOffice sui client dei dipendenti di Roma Capitale (oltre 14.000). Di conseguenza abbiamo iniziato a disinstallare gli strumenti di produttività personale attualmente con licenza proprietaria non in uso da più di sei mesi e abbiamo avviato la rimodulazione dei relativi contratti.

Dal punto di vista dei server abbiamo condotto un’analisi dei principali applicativi valutandone le componenti proprietarie e libere e, ovviamente, tenendo conto dei vincoli contrattuali abbiamo iniziato procedure di switch off da software proprietario a software libero.

Così è possibile liberarsi dal lock in

Per la Pubblica Amministrazione, mettersi in condizione di evitare qualsiasi lock-in da fornitori, è necessario per poter svolgere pienamente la propria missione verso i cittadini. Vediamo perché, ma per introdurre questo tema sono necessari alcuni elementi preliminari di contesto, che rispondono alle seguenti domande:

  1. che cosa deve garantire e garantirsi la Pubblica Amministrazione quando acquisisce software?
  2. Quali diritti e quali garanzie per i cittadini?
  3. Quali regole per la PA che acquisisce software?
  4. Quali soluzioni e quali opportunità si prospettano per la pubblica amministrazione?
  5. Esiste normativa a supporto?

Quali garanzie per la Pubblica Amministrazione che acquisisce software?

La Pubblica Amministrazione quando acquisisce software deve prevedere, che nei documenti di gara siano garantiti pluralismo e concorrenza, parole che le normative ci hanno abituato a collegare al mondo delle telecomunicazioni ma che possono e devono essere applicate anche a qualunque gara della Pubblica Amministrazione, ovvero il bando di gara non deve favorire alcun fornitore e/o prodotto, ma deve definire esclusivamente le caratteristiche (sia del fornitore che del prodotto) per garantire a sé stessa il miglior rapporto qualità/prezzo.

Venendo ora all’acquisizione di software, la Pubblica Amministrazione deve garantirsi di essere proprietaria della struttura dei dati e del software “custom” (sviluppato dietro proprie specifiche) e ovviamente di ottenere soluzioni con il migliore rapporto prezzo/prestazioni verificando il cosiddetto TCO (Total Cost of Ownership) cui andrà aggiunta una valutazione sul S_TCO, dove la S aggiunge valore Sociale e di Sostenibilità al prodotto acquisito.

Il software acquisito dovrebbe essere facilmente integrabile con quello già in uso (interoperabilità), deve garantire la continuità operativa e la persistenza dei dati nel tempo, la sicurezza, la disponibilità del codice sorgente almeno per ispezioni e tracciabilità, la facilità d’uso, l’accessibilità e il rispetto della privacy.

Tra i vincoli e le garanzie che deve ottenere la Pubblica Amministrazione che acquisisce software non possono mancare gli Open Standard (per dati e documenti) e la verifica che il software acquisto faccia tutto e solo quello per cui è stato comprato e, ovviamente, deve anche garantirsi la possibilità di cambiare fornitore quando ritenuto opportuno e senza dover pagare costi di cambiamento troppo elevati.

In sintesi quanto sopra espresso è essenziale per la Pubblica Amministrazione per evitare di cadere in situazioni dominanti da parte del fornitore, ovvero per evitare il cosiddetto “vendor lock-in”, definito dall’AgID come “Fenomeno di natura economica in cui un generico utente non riesce a svincolarsi da una scelta tecnologica precedentemente effettuata. Tale incapacità è tipicamente causata degli elevati costi legati al cambio di tecnologia ma, in molti casi, può anche dipendere dall’adozione di soluzioni proprietarie che impediscono di effettuare migrazioni.”

Quali diritti e quali garanzie per i cittadini? 

La normativa ci viene in aiuto da tempo, sia per quanto riguarda specificamente l’accesso alle informazioni e alle tecnologie, sia per quanto riguarda le problematiche correlate a eventuali divari digitali.

La prima normativa attivata in tal senso è stata la Legge Regionale Toscana 1/2004 che prevedeva l’obbligo per la PA di “Rimuovere e prevenire gli ostacoli che di fatto impediscono la piena parità di accesso alle informazioni e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, tenendo conto in particolare delle situazioni di disabilità, disagio economico e sociale e diversità culturale.”

A questa normativa si è aggiunta poco dopo la Legge 4/2004 che recita: “La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici.”

Entrambe le normative citate definiscono i primi contorni prescrittivi che garantiscono ai cittadini diritti in termini di accesso alle informazioni anche grazie alle ICT.

Quali regole per la Pubblica Amministrazione che acquisisce software? 

Anche qui da tempo la normativa supporta la PA nelle scelte tecnologiche consapevoli che tengano in considerazione quanto sopra esposto.

La prima normativa, a dire il vero non sempre applicata, è addirittura del 1941. Si tratta della Legge 633 che al Capo II recita: “Alle amministrazioni dello Stato,…, alle Province ed ai Comuni, spetta il diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto e spese.”

Visto che il software è di fatto un’opera, questa norma ha fatto sì che il CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale, D. Lgs 7 marzo 2005, n.82) prevedesse, all’articolo 69 (Riuso delle soluzioni e standard aperti) per le pubbliche amministrazioni “titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico” l’obbligo di “rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni o ai soggetti giuridici che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali.”

Ma c’è un altro articolo del CAD molto importante da considerare ai nostri fini, ovvero l’articolo 68 (Analisi comparativa delle soluzioni) che chiede alle Pubbliche Amministrazioni che “acquisiscono programmi informatici” di garantire principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti e riuso e neutralità tecnologica, il tutto “a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:

  1. software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;
  2. riutilizzo di software o parti di esso  sviluppati  per  conto della pubblica amministrazione;
  3. software libero o a codice sorgente aperto;
  4. software fruibile in modalità cloud computing;
  5. software di  tipo  proprietario  mediante  ricorso  a  licenza d’uso;
  6. software combinazione delle precedenti soluzioni.”

Qui si propone quindi, per tutta la PA, quanto aveva anticipato la Legge Regionale Toscana, ovvero l’obbligo di valutare se esistono soluzioni con licenza di software libero disponibili sul mercato.

Quali soluzioni e quali opportunità si prospettano per la Pubblica Amministrazione?

Visto quanto sopra premesso che cosa può o deve fare la PA?

Quali soluzioni deve adottare?

Quali opportunità le si prospettano?

“Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano e agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.” Questo recita l’articolo 2 del CAD al comma 1 e già offre indicazioni per evitare alcuni errori macroscopici sulla disponibilità e la fruibilità dell’informazione.

Ma ancora più utile ai fini di quanto vogliamo qui rappresentare è il Comma 2 dell’articolo 69 (Riuso delle soluzioni e standard aperti) che esplicita l’esigenza di favorire il riuso dei programmi informatici di proprietà delle pubbliche amministrazioni richiedendo di prevedere nei capitolati o nelle specifiche di progetto che l’amministrazione committente sia sempre titolare di tutti i diritti sui programmi e i servizi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, appositamente sviluppati per essa.

La titolarità, come chiarito dal Prof. Giovanni Guglielmetti, implica avere una licenza che garantisca i “Diritti morali” ovvero paternità, ritiro dell’opera, disconoscimento e i “Diritti di sfruttamento economico del programma” ovvero “riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale, del programma con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma traduzione, adattamento, trasformazione e ogni altra modifica del programma distribuzione”.

Può essere il software libero la soluzione e la risposta a quanto sopra espresso? Che cos’è il software libero?

Si tratta di un software la cui licenza offre agli utenti la libertà di eseguire, studiare, adattare e modificare, ridistribuire, copiare e migliorare il software e l’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.

Detto questo appare che per avere titolarità, diritto sui propri software, la strada più semplice sia proprio quella di adottare licenze di software libero.

Ma che senso avrebbe riprogettare e ripartire da zero per sviluppare un software se già altre amministrazioni lo hanno fatto? Perché non verificare se altre amministrazioni hanno già un applicativo che fa al caso nostro?

In questo senso interviene la parte relativa al Riuso del CAD. Ai fini del riuso l’articolo 70 del CAD prevedeva una “Banca dati dei programmi informatici riutilizzabili”; tale articolo è stato abrogato ma il Team Digitale ha attivato “Developers Italia” la community dedicata allo sviluppo di software libero a “supporto dei servizi pubblici digitali italiani” e in collaborazione con l’AgID ha definito e messo in consultazione le “Linee Guida sull’Acquisizione e Riuso del Software”.

 

In conclusione

Nel 2007 il libro “Finalmente LIBERO. Software libero e standard aperti per le pubbliche amministrazioni” (Mc Graw Hill, 2007) offriva strumenti per comprendere il fenomeno del software libero e degli open standard ed era rivolto ai decisori pubblici per supportarli nelle scelte di nuovi percorsi per svincolarsi da sistemi proprietari e consentire una maggiore diffusione della conoscenza.

Il volume introduceva le caratteristiche del software libero e a sorgente aperto, ne esaminava la situazione di adozione nelle Pubbliche Amministrazioni, presentava le soluzioni mature attualmente presenti sul mercato e trattava il problema degli standard, fondamentale per liberare il mercato dai monopoli e far comunicare applicazioni eterogenee.

Le normative ci sono, le linee guida e i regolamenti anche, così come gli esempi di buone pratiche da copiare, si tratta adesso di vigilare con più attenzione e consapevolezza: le Amministrazioni devono essere protagoniste delle loro scelte tecnologiche nel  rapporto con il mercato, solo così potranno assicurare una vera centralità del cittadino e della missione pubblica.

La strada è ancora lunga ma sappiamo che “ogni lungo viaggio inizia con un primo passo”. (Lao Tzu)

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Analisi
Video
Iniziative
Social
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati

Articolo 1 di 2