Ritardi

Software libero, è stallo nella Pa: disattesa la norma

Presso l’Agenzia per l’Italia Digitale è stato costituito un tavolo di lavoro per la scrittura di linee guida par l’acquisizione del software da parte della PA. Avrebbe dovuto semplificare il lavoro degli Enti, ma rischia di concludersi con un nulla di fatto, per via di beghe interpretative sorprendenti

Pubblicato il 24 Mag 2013

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L’adozione del software libero nella Pa rischia di uno stallo, nonostante le modifiche legislative degli ultimi mesi, e tutto per colpa di una divergenza interpretativa che- a quanto risulta- sta gravando sul tavolo di lavoro aperto presso l’Agenzia per l’Italia digitale. L’Agenzia infatti deve emanare le linee guida, ma qui è emersa una linea di pensiero sorprendente: quella secondo cui la Pa non debba preferire il software libero. Eppure le norme dicono l’opposto.

Teniamo conto che l’Open Source nella Pubblica Amministrazione è uno degli argomenti storici del diritto delle nuove tecnologie e dell’informatica pubblica, sul quale studiosi ed esperti da oltre un decennio si esercitano in interventi e pubblicazioni (mi sono sorpreso io stesso a pensare quanto tempo sia passato da alcuni convegni ed articoli).

Numerosi i progetti di legge statali e le leggi regionali in materia, gruppi di lavoro e – addirittura – una Commissione costituita dall’allora Ministro Stanca e guidata da un’illustre personalità (il prof. Angelo Raffaele Meo).

Nella sua versione originaria, il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005) prevedeva una disciplina specifica in materia di acquisizione di programmi informatici. L’art. 68 CAD, infatti, disponeva che le Amministrazioni procedessero ad acquisire i software necessari allo svolgimento della propria attività dopo aver effettuato una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le differenti soluzioni.

La norma era chiara: la valutazione su caratteristiche e prezzo doveva essere fatta di volta in volta, in considerazione della situazione di partenza e delle esigenze di ogni ufficio, soppesandone la convenienza anche in termini economici, al fine di evitare inutili sprechi di denaro pubblico.

Dopo tante discussioni, con l’Agenda Digitale, il legislatore ha modificato la formulazione dell’art. 68, introducendo anche un criterio di preferenzialità per il software libero o a sorgente aperto, oltre che per il riuso.

Nella sua nuova formulazione, al comma 1, l’art. 68 afferma che

Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei princìpi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:

a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;

b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;

c) software libero o a codice sorgente aperto;

d) software fruibile in modalità cloud computing;

e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;

f) software combinazione delle precedenti soluzioni.

Il legislatore si è preoccupato altresì di descrivere gli ambiti sui quali le Amministrazione devono soffermarsi nella valutazione comparativa (comma 1-bis):

a) costo complessivo del programma o soluzione quale costo di acquisto, di implementazione, di mantenimento e supporto;
b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione;
c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dei dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito.

Tuttavia, in base alla dizione del comma 1-ter, non tutte le soluzioni partono sullo stesso piano: infatti, è previsto un vero e proprio criterio di preferenzialità. La norma, testualmente, dispone che “ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso.

Nell’ottica di supportare le Amministrazioni nell’applicazione di queste disposizioni, il legislatore ha incaricato l’Agenzia per l’Italia Digitale di elaborare le linee guida sui criteri da seguire per la valutazione comparativa.

AGID, per rispettare il mandato ricevuto, ha costituito un tavolo di lavoro al cui tavolo siedono alcuni tra i più qualificati operatori del settore, ma – stando alle indiscrezioni sui lavori – durante la discussione sul risultato finale è emerso un contrasto interpretativo difficile da prevedere:

– da un lato, vi è chi ritiene il CAD abbia espresso una preferenza per le soluzioni di riuso e di software libero o a sorgente aperto, demandando all’Agenzia il compito di stabilire criteri e metodi per valutare, all’interno della valutazione comparativa di cui all’art. 68 comma 1 bis CAD, quando l’adozione tali soluzioni espressamente menzionate siano “impossibili”;

– dall’altro, chi pensa Il CAD non esprime alcuna preferenza e a tutte le soluzioni menzionate dall’art. 68 comma 1 devono essere valutate in base al semplice valore tecnico/economico.

Francamente, la seconda interpretazione appare sorprendente e, oltre a non trovare rispondenza nel dettato normativo, non tiene conto delle motivazioni delle modifiche legislative. Certo, si può discutere se si tratti della soluzione ideale, ma non è possibile cambiaria in via interpretativa.

Ma la cosa più grave è che la difformità di opinioni (cosa tutto sommato frequente nei gruppi di lavoro) rischia di creare un impasse nei lavori del gruppo e, sopattutto, non viene data risposta alle esigenze degli Enti (che hanno bisogno di meno discussioni teoriche e di spunti pratici).

Aveva proprio ragione uno dei miei Maestri quando mi diceva: “se vuoi affossare qualcosa, crea un gruppo di lavoro che ne discuta“.

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