L’Agenzia per l’Italia Digitale ha pubblicato il documento – frutto dei lavori di una commissione, a cui ho partecipato in qualità di “esperto” di formati standard e membro di The Document Foundation – in cui si esplicitano i criteri e i metodi per l’applicazione dell’Articolo 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale, in base al quale la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di scegliere software libero o a codice aperto, oppure software in riuso, tranne nei casi in cui questo è impossibile.
Com’era ovvio, all’interno della commissione c’è stato un acceso dibattito sul tema dell’impossibilità, nonostante il termine – in italiano – sia chiaro e inequivocabile. Al termine dei lavori, comunque, si è giunti a una stesura soddisfacente, che non lascia spazio a scuse o interpretazioni ambigue della parola “impossibile” (che – a mio parere – non c’erano nemmeno prima, se non nel punto di vista delle aziende del mondo del software proprietario).
La commissione convocata dall’Agenzia per l’Italia Digitale era composta sia da rappresentanti dell’industria e dell’accademia, indicati dalle rispettive istituzioni di riferimento, sia da sostenitori del software libero, in rappresentanza di comunità e fondazioni, scelti tra coloro che avevano risposto a un pubblico avviso. Inoltre, ci sono state audizioni di esperti indicati dalle due parti, che hanno portato contributi di tipo operativo o istanze di tipo associativo.
Le regole stabilite dalle linee guida sono estremamente semplici:
1. Viene redatta una griglia di punteggi sulla base dei criteri di valutazione fissati dall’Articolo 68, Comma 1 Bis, del Codice dell’Amministrazione Digitale;
2. Vengono attribuiti punteggi alle soluzioni disponibili sul mercato, identificate in base a una ricerca più ampia di tutte quelle esistenti;
3. Viene deciso un ordine di preferenza tra le varie soluzioni, e in base a questo ordine si procede secondo le norme del Codice degli Appalti;
4. Nel caso in cui la valutazione comparativa porti alla selezione di più soluzioni alternative, di cui una o più nelle categorie “software libero o a sorgente aperto” o “software in riuso”, queste devono essere preferite a quelle proprietarie, a meno che non ci sia una carenza in un punto di valutazione considerato fondamentale (in questo caso, va comunque esplicitato il motivo).
A questo punto, la scelta di un software proprietario effettuata senza la valutazione comparativa delle soluzioni alternative di software libero o di riuso, o senza una motivazione dell’impossibilità, potrebbe essere annullata o impugnata al TAR, con la responsabilità amministrativa del dirigente.
Tra l’altro, la norma affida all’Agenzia per l’Italia Digitale il compito di fornire pareri circa il rispetto delle norme, il che dovrebbe servire da deterrente, in quanto il parere può essere chiesto da tutti gli interessati, compresi i concorrenti.