l'analisi

Spid e IO non fanno la PA digitale: tutti gli errori di strategia e le cose da fare

Troppi sono ancora gli ostacoli all’uso del digitale, troppe le problematiche, troppe le complessità che rendono difficile l’integrazione della modalità digitale nelle prassi operative quotidiane dell’Amministrazione, Davvero il Governo pensa di rianimare la trasformazione digitale puntando solo su Spid e IO? Non ci siamo

Pubblicato il 02 Dic 2020

Sergio Sette

consulente informatico e digital trasformation

italia digitale

Col recente DL Semplificazioni il Governo, consapevole delle difficoltà del percorso verso la trasformazione digitale della PA, ha cercato di rianimarne il cammino.

Lo ha fatto puntando tutto su due cavalli: SPID e App IO. Sarà sufficiente per recuperare il ritardo? Esaminiamo le novità per capirlo.

Le novità in sintesi

La strategia con cui si tenta di rianimare il processo di digitalizzazione si fonda su questi pilastri:

  • Il diritto, ora sancito nel CAD, all’art. 7, di poter accedere ai servizi digitali attraverso la propria identità digitale (e la APP IO)
  • Entro il 28 febbraio 2021 tutti i servizi erogati ai cittadini dovranno essere accessibili solo (nel senso che non ci potranno essere altri tipi di credenziali, anche le vecchie non potranno essere utilizzate dopo il 30 settembre) con SPID o CIE (per le imprese e i professionisti la data sarà invece fissata con apposito decreto)
  • Sempre entro il 28 febbraio tutte le PA devono presentare il piano per rendere accessibili tutti i loro servizi online, anche attraverso IO (e quindi da device mobile, in ossequio al principio del “mobile first” che ha scalzato il per altro mai adottato principio del “digital first”)

Il tutto arricchito da sanzioni, sulla carta, gravi, perché colpirebbero in modo relativamente pesante non solo le tasche dei Dirigenti inadempienti, a cui verrebbe decurtato non meno del 30% dell’indennità di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale, ma anche dei loro sottoposti (!) a cui non si potrebbero attribuire premi o incentivi.

Piccola nota di colore: il termine del 30 settembre che ho citato sopra, contrariamente alle altre disposizioni presenti nel DL semplificazioni che vanno a modificare il contenuto del CAD, è rinvenibile solo nel DL Semplificazioni stesso; chissà, forse una svista, oppure, volendone dare un’interpretazione maliziosa, per evitare che nel CAD rimanga traccia di qualche termine che, ampiamente disatteso, come ad esempio quello del 1 gennaio 2013 relativo all’obbligo dell’uso del domicilio digitale (domicilio digitale che ancora, a 9 anni dalla scadenza, non c’è!) per le comunicazioni con i cittadini, provochi perenne imbarazzo al legislatore.

La rivoluzione (che non c’è)

Queste azioni sono state accompagnate, come è ahimè usuale, da una tambureggiante campagna mediatica infarcita dai soliti proclami, puntualmente riportati dalle maggiori testate, dal tenore fra il profetico e il trionfalistico: “entro febbraio 2021 tutti i servizi della PA online e accessibili con SPID”.

In realtà le misure contenute nel DL Semplificazioni non cambiano di una virgola lo stato delle cose e non sono destinate a farlo nemmeno nel medio termine.

Pensare di risolvere i problemi del digitale nella PA italiana aggiungendo al CAD l’ennesimo diritto (puntualmente calpestato) e inserendo nuovi obblighi e scadenze o “codici di comportamento”, al già lungo elenco di adempimenti non rispettati/rispettabili, è come minimo un segno di cattiva percezione del problema e del reale stato delle cose.

Ma davvero si può solo immaginare che il mancato funzionamento del digitale in Italia sia imputabile alla bassa adozione di SPID da parte delle PA? Che la strategia per il digitale siano SPID e IO?

Come se non bastasse, questo modo di comunicare crea inevitabilmente tensioni e contenzioso fra le varie anime della PA, perché carica implicitamente (ma nemmeno poi tanto implicitamente) la responsabilità delle mancanze e l’arretratezza della PA ad una sola parte, la PAL ed i Comuni in particolare.

I nuovi (pochi) fondi per i Comuni

Nemmeno il recentissimo piano (i dettagli qui) , annunciato in pompa magna che prevede un finanziamento di 50 milioni per aiutare i Comuni (in realtà una goccia nel mare, 6.000 euro a comune) nell’adozione di SPID e IO, aiuta. Perché opera con la stessa logica, i finanziamenti sono in realtà destinati alle Regioni che a loro volta predispongono dei progetti di sostegno per i Comuni. Evidentemente non giudicati capaci. Un modo curioso di intendere il concetto di sussidiarietà.

Un approccio in realtà non nuovo: solo alcuni mesi fa, annunciato con la medesima enfasi era stato pubblicato un bando per 42 milioni per i piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti; anche in questo caso il Comune non poteva presentare il progetto autonomamente ma doveva necessariamente avvalersi di “centri di competenza Nazionale” da individuare ad hoc.

Di qualche giorno fa la lettera congiunta Dadone-Pisano (ministre Pa e innovazione) perché i Comuni accelerino la digitalizzazione.

In un momento come questo non è bene creare divisioni e contrasti nella PA, in primo luogo perché nessuno è in grado di scagliare la prima pietra, e in seconda battuta perché buone e cattive amministrazioni esistono sia a livello centrale che locale.

Andrebbe presa coscienza del fatto che l’arretratezza non è causata da questa o quella amministrazione, è un problema diffuso e con una pletora ampissima di concause, imputabili primariamente alla cattiva politica fin qui seguita che evidentemente non è stata capace di produrre i risultati attesi.

SPID può davvero essere la “chiave” per la digitalizzazione?

SPID, non dimentichiamolo, è semplicemente un sistema di autenticazione. Una parte che, sebbene importante, ha davvero un peso poco rilevante sullo sviluppo complessivo e la diffusione dei servizi online.

Per fare un paragone non informatico è come se un sistema di accesso standardizzato alle automobili, fosse un fattore determinante per la performance delle auto stesse.

E, per restare nell’ambito dell’informatica, come se il SSO fosse determinante per la qualità ed il corretto funzionamento dei sw.

Il soffermarsi a capire cosa sia in realtà SPID, ci fa capire come il puntare tutto su questo aspetto sia fuorviante e poco utile.

Eppure, in questi giorni, anche per effetto del blocco del sistema nel corso del Clic Day, è tutto un gran parlare di SPID. Un continuo fiorire di analisi, alcune molto interessanti, come quella di Eugenio Prosperetti) , ma che spostano il focus dal vero problema, che è, ripeto, la mancanza di servizi online e la loro mediocre qualità, e non tanto come vi si accede.

SPID è un tassello, importante quanto si vuole del sistema, ma l’unica cosa che davvero conta è che esista, sia stabile e sicuro. Punto.

Poi che sia implementato dallo Stato, dai privati, che sia un sistema federato o meno, se sia da considerarsi un’infrastruttura nazionale strategica (certo che lo è, se si ferma SPID, si bloccano i servizi!), una volta che funziona, è relativamente poco importante.

Questo continuare a parlarne e discuterne è semplicemente il segnale che, a 7 anni abbondanti dalla sua definizione, il sistema è tutt’altro che pronto a sopportare il grande carico che è stato posto sulle sue spalle. Se tutto funzionasse a dovere non se ne sentirebbe parlare, questo è certo.

Poi, chi scrive, essendo nato in zona di confine e potendo confrontare la nostra strategia con quella della vicina Austria (da sempre al vertice del DESI), può anche pensare che la scelta con cui sono stati pensati i servizi essenziali/abilitanti (oltre all’Identità Digitale, il Domicilio Digitale, la firma elettronica e la comunicazione certificata) sia poco adatta, specie a garantirne la massima accessibilità da parte dei cittadini e delle imprese e la loro massima diffusione, ma anche questo è in realtà poco importante. L’importante è che ci siano e che funzionino a dovere. E questo è compito dello Stato.

Quali sono i (veri) problemi del digitale nella PA

Ma cosa vuol dire fornire “servizi online” a cittadini/imprese? Banalizzando un po’, ma poi nemmeno tanto, specie per i Comuni, per adempiere a quanto stabilito dagli articoli 3-bis, 7 e 64-bis del CAD, quelli a cui la politica sembra più tenere in questo momento, è sufficiente dotarsi di un “portale delle istanze”.

Cosa che, dal punto di vista prettamente tecnico ed economico, è assolutamente alla portata di tutti i Comuni. Esistono infatti, nel pur asfittico e un po’ deprimente panorama delle soluzioni IT per la PAL, diversi prodotti in grado di soddisfare questa esigenza. Già completi di centinaia di moduli pronti all’uso, accessibili con SPID e CNS (e credo ora anche con CIE), integrati con i maggiori SW di Gestione Documentale, PagoPA, con possibilità di poter essere integrati con altri componenti del sistema (anagrafe, contabilità, ecc.).

Più che chiedersi il perché della scarsa adesione a SPID, sarebbe utile interrogarsi sui reali motivi di tanta ritrosia a dotarsi di strumenti di questo tipo. Al di là dell’endemica resistenza al cambiamento che caratterizza tutta la PA, dirigenti in testa, la risposta darebbe senz’altro utilissime indicazioni sulle azioni da intraprendere se davvero si volesse far decollare il digitale.

Perché, al di là della retorica e dello storytelling dominante, il digitale, nella pratica quotidiana è ancora costellato di ostacoli e trabocchetti di tutti i tipi. Elencarli tutti è ben oltre lo scopo di questo breve pezzo, provai a descriverli più dettagliatamente alcuni anni fa, ed anche se in questi ultimi tempi qualcosa è cambiato, quell’elenco è ancora in linea di massima attuale. Per chi fosse interessato a farsi un’idea di quali siano i tipici problemi che un funzionario pubblico si trova giornalmente ad affrontare, lo scritto è pubblicato qui.

Ed è proprio nella direzione di eliminare questi ostacoli concreti, che fra l’altro sono quelli che danno forza al “burosauro” che si oppone al cambiamento, che li conosce alla perfezione e li sfrutta a suo vantaggio, che si dovrebbe orientare l’azione del Governo.

Troppi sono ancora gli ostacoli all’uso del digitale, troppe le problematiche, troppe le complessità che rendono difficile l’integrazione della modalità digitale nelle prassi operative quotidiane dell’Amministrazione, specie per quella piccola, che non ha capacità/competenze, fondi, e in alcuni casi forse nemmeno la stringente necessità di farlo.

Qualsiasi politica che davvero volesse agevolare la transizione alla modalità operativa digitale, dovrebbe adoperarsi per raccogliere queste problematiche, analizzarle e cercare di darne rapida soluzione.

In primo luogo, dare certezze, anche giuridiche a chi con il digitale deve operare giornalmente, sul campo. Operare poi con azioni che producano risultati apprezzabili e coerenti con le politiche di medio termine in tempi compatibili (il famoso “time to market”).

Che cosa dovrebbe fare il Governo

Esempi su cosa dovrebbe fare chi governa? Quanti ne si vuole (solo per citarne alcuni, ma l’elenco è potenzialmente infinito):

  • Emanare tutti i decreti attuativi e le linee guida mancanti e che bloccano da anni, anzi, in alcuni casi da lustri, interi ambiti del digitale;
  • Semplificare, uniformare e raccordare fra loro le norme sul digitale: inutile avere un CAD infarcito di principi e regole “salvo non diversamente disposto”, specie quando il diversamente disposto è la norma;
  • INAD (il domicilio digitale per le persone fisiche, ne avevo parlato qui); previsto come obbligatorio dal 2013, ad oggi ancora non attivo; come pensare che si possa operare nel digitale se manca l’elemento essenziale per poter comunicare? Che si aspetta?
  • Attivare tutti quegli strumenti, anche banali, che consentano a chi opera, di non avere ostacoli (né scuse); solo per citarne alcuni: e@bollo, che attendiamo da 10 anni, dove si è arenato? È mai possibile che solo con la finanziaria 2020 ci si sia resi conto che le notificazioni nel digitale sono un incubo? E solo un anno dopo si sia deciso di trovare una, seppur parziale, soluzione? Che per altro richiede almeno 2 Decreti attuativi solo per iniziare ad essere progettata?
  • Applicare davvero il principio del “digital first”, nel vero senso del termine: la norma è il digitale, l’analogico un’eccezione il più possibile limitata; è necessario rendersi conto che il doppio canale, digitale ed analogico, è un peso insostenibile per le amministrazioni e cercate strategie per operare solo in digitale capaci di rispettare e supportare chi non è in grado di farlo (come ad esempio si pensò di fare all’art. 3-bis comma 3-bis del CAD, salvo non emanare mai il Decreto attuativo che avrebbe dovuto metterlo in pratica)
  • E ancora, semplificare, realmente, la macchina amministrativa in coerenza con gli obiettivi definiti: ad es. vogliamo il “mobile first”? allora operiamo in modo che sia, in concreto realizzabile; con moduli che hanno anche 30 pagine A4 da compilare, come si pensa di poter fare a presentarle con uno strumento con un monitor di pochi pollici?
  • Costruire le infrastrutture tecnologiche davvero capaci di traghettare la PA verso il Cloud, in modo sensato, semplice ed economico; anche in questo caso, il progetto è partito nel 2013 e, ben lontani dall’averlo anche solo parzialmente completato, ci troviamo con il DL Semplificazioni che sembra aver spostato le lancette indietro di qualche anno;
  • Capire, ed operare di conseguenza, che non esiste solo il diritto al digitale ma che, come per altro ci ricordano gli articoli 12 e 15 del CAD, una delle motivazioni per effettuare la transizione è quella di rendere più efficiente e trasparente la PA; ciò significa progettare un digitale capace davvero di aiutare le PA nel loro lavoro quotidiano e non sia, come ahimè è ancora oggi, più spesso un peso che un aiuto.

L’elenco, come dicevo, potrebbe prolungarsi all’infinito, ma il suo scopo non era quello di essere esaustivo, quanto di supportare la domanda con cui concluderò: alla luce di tutto questo vi sembra davvero che l’adozione di SPID (e IO) sia davvero il problema su cui spendere tutte le risorse?

A me, in tutta onestà, no.

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