La digitalizzazione dei servizi al cittadino e alle imprese richiede grandi investimenti sul fronte delle reti e dei sistemi, ma non è solo questione di tecnologia. A dimostrarlo, i tanti fallimenti che si sono succeduti in almeno tre decenni, dalla pionieristica carta d’identità elettronica alle ultime suggestioni del Team digitale, senza dimenticare le recentissime, nebulose iniziative di finanziamento varate quando la legislatura era ormai agli sgoccioli.
Da qualche tempo si sta diffondendo la consapevolezza che l’abbandono del tradizionale approccio cartaceo, e il passaggio ad un’effettiva gestione per processi, richiederebbe un robusto ricambio generazionale all’interno della P.A., insieme alla diffusione delle competenze digitali tra i cittadini, a partire dalla scuola.
Ma non basta una ventata di aria fresca o un po’ di formazione in più per ottenere un dialogo amministrazione-cittadino finalmente al passo con i tempi. Per raggiungere questo risultato, occorre che il percorso di informatizzazione si accompagni ad una parallela ed incisiva trasformazione degli attuali modelli organizzativi. È dunque il cambiamento organizzativo, insieme a quello tecnologico, l’altra gamba su cui si deve reggere il progetto di riforma della P.A. in senso digitale.
Malgrado se ne trovino ampie tracce nelle fonti normative, lo studio dell’organizzazione è qualcosa di estraneo alla nostra cultura amministrativa. Insegnata poco nelle scuole, è materia del tutto assente negli apparati, dove le nuove leve sono indotte ad operare in continuità con i predecessori. Ma quando le risorse sempre più scarse obbligano a cambiare gli assetti istituzionali, ad esempio in caso di gestioni associate, i nodi vengono al pettine, e la mancanza di modelli organizzativi adeguati ci dimostra quanto sarebbe stato utile agire per tempo in questa direzione.
Il modello degli Sportelli unici telematici
Quando un’Amministrazione che eroga servizi al pubblico intende mettere in campo progetti di digitalizzazione o di gestioni associate, le criticità più frequenti sono dovute alla componente organizzativa. Si introduce un nuovo modo di presentare le pratiche, magari attraverso una piattaforma digitale, oppure si istituisce un ufficio unificato, ma spesso nulla cambia rispetto alle modalità di gestione interna del c.d. “flusso documentale”, secondo un’espressione a cui purtroppo non riusciamo a rinunciare. Insomma, se intervenire sul front-office sembra facile e immediato, le procedure di back-office rimangono spesso cristallizzate secondo le vecchie abitudini cartacee. Il risultato di questo sistema ibrido, in cui i nuovi modi di lavorare si posano semplicemente sugli schemi preesistenti, è una paradossale e ulteriore complicazione dell’attività, che spesso può sfociare nella paralisi. Come uscirne? La formula dello Sportello unico telematico può essere la soluzione giusta per adeguare strutture e apparati alle nuove potenzialità dell’amministrazione digitale. E questo non solo per i servizi alle imprese e alle attività economiche, che rappresentano la prima applicazione di questo modello organizzativo, ma per tutti i servizi al pubblico, compresa l’utenza “fragile” dei servizi sociali.
Breve storia degli Sportelli unici
Per conoscere gli Sportelli unici bisogna risalire a quando, circa vent’anni fa, la legge Bassanini 1 li ha introdotti nel nostro ordinamento con riguardo ai procedimenti per la nascita di nuove imprese. Il SUAP nasce già con l’obiettivo di gestire in modo contestuale interventi di portata strategica per lo sviluppo economico del Paese, come l’avvio delle attività produttive, che troppo spesso finiscono per incagliarsi nel pantano della nostra burocrazia, fatta di pareri vincolanti, prescrizioni ad hoc, divieti, distinguo, enti appositi, ricorsi, uffici competenti e autorità di controllo. Quindi il SUAP è la struttura unica che ha il compito di coordinare il rapporto tra le imprese e pubbliche amministrazioni, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla normativa: conferenza di servizi e varianti urbanistiche. I primi, difficili passi degli Sportelli unici attività produttive non sono dovuti soltanto alla complessità del nostro apparato istituzionale o alle lungaggini burocratiche. La scarsa diffusione delle tecnologie informatiche e l’ambiente di lavoro ancora completamente cartaceo, hanno pesato molto sulla capacità di esercitare efficacemente il ruolo di coordinamento e semplificazione che il legislatore ha affidato al nuovo strumento. Insomma, lo Sportello unico o è digitale, o non è. La svolta in tal senso arriva con la direttiva Servizi (2006/123/CE), meglio conosciuta come direttiva Bolkestein, che ne conferma la valenza strategica in due direzioni: modello organizzativo di semplificazione procedimentale, da un lato, e struttura orientata ad informare l’utenza circa gli adempimenti legati all’avvio di un’attività, dall’altro. E così, a dieci anni di distanza dalla sua partenza un po’ in sordina, in un contesto completamente mutato dal punto di vista dell’accessibilità e dell’espansione del digitale, il SUAP viene rilanciato da nuove fonti normative (L. n. 133/2008 e D.P.R. n. 160/2010), che introducono il concetto di Sportello telematico, inteso quale “unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti di attività produttive (…). Le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni sono presentate esclusivamente in modalità telematica (…) al SUAP competente per il territorio”. Il SUAP è dunque finalmente in condizione di poter assolvere la propria funzione di “unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva…” e fornire “una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni”.
Oggi, a circa dieci anni di distanza dalla svolta telematica, il SUAP non opera allo stesso modo in tutti i territori: in alcuni contesti lo switch-off dal cartaceo al digitale può dirsi interamente realizzato, e il SUAP è in condizione di ritagliarsi un ruolo strategico di collegamento tra le imprese e la macchina burocratica. In altri, i servizi alle imprese non hanno prodotto la funzionalità, l’efficienza e le economie di scala sperate. Ciò significa che non è il modello organizzativo dello Sportello ad essere inadeguato, ma il modo con cui a livello locale si è inteso attuarlo. Questi esempi evidenziano ancora una volta, come digitalizzazione e organizzazione siano due facce della stessa medaglia: senza la svolta telematica, il SUAP non sarebbe potuto sopravvivere. Al contrario, la sola tecnologia informatica non basta per ottenere servizi efficienti se manca la struttura organizzativa in grado di gestirla.
Servizi digitali: verso l’impiego generalizzato del modello a Sportello unico
Più si diffondono i servizi digitali, più cresce la voglia di organizzare le strutture in forma di Sportello. È questa la direzione intrapresa anche nel decreto Scia1 (D. Lgs. n. 126/2016) che, com’è noto, introduce la concentrazione dei regimi amministrativi mediante il ricorso alla Scia unica, e cioè un’unica segnalazione integrata con le informazioni di competenza di tutti gli Uffici o Enti interessati. In precedenza, le comunicazioni, istanze o segnalazioni necessarie venivano presentate in modo separato ai vari soggetti istituzionali interessati, con l’effetto di moltiplicare gli adempimenti per il cittadino, oltre ad aumentare tempi e costi. Posto di fronte al problema di garantire l’unicità del canale di ingresso e la simultaneità degli adempimenti, in rapporto ad una pluralità di percorsi abilitativi e/o autorizzativi facenti capo ad altrettanti Enti, il Legislatore ha attinto al modello organizzativo dello Sportello unico da attivare in ogni Amministrazione, con il compito di trasmettere immediatamente quanto di competenza agli altri Uffici o Enti coinvolti nell’istruttoria. Nel delineare una procedura fondata su automatismi e operazioni simultanee, la scelta organizzativa obbligata è quella dello Sportello telematico, inteso come soluzione più adatta per gestire il flusso digitale, semplificare le procedure ed eliminare i tempi morti. L’enfatizzazione del ruolo di interlocutori unici degli Sportelli, risponde all’esigenza di semplificare la vita a cittadini e imprese, su cui grava l’eccessivo costo sociale del tempo speso nei meandri della burocrazia, inevitabilmente sottratto non solo alle esigenze della produzione, ma anche allo studio, allo svago e alle altre attività individuali e collettive.
Il decreto Scia1 promuove la diffusione della formula-tipo dello Sportello unico in ogni Amministrazione, quindi non solo nei Comuni, confermando una volta di più quanto la circolazione dei dati in forma digitale abbia necessità di porte d’accesso virtuali dislocate in tutti i punti di produzione/ricezione dei dati. Ecco come l’organizzazione degli apparati si può trasformare in modo da sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalla trasmissione telematica.
Si potrebbe pensare che il successo di queste avveniristiche scelte organizzative sia condizionato anche dal tipo di utenza, nel senso che difficilmente l’utenza “fragile” dei servizi sociali potrà avvicinarsi all’accesso telematico, ad esempio presentando un’istanza o una comunicazione attraverso una piattaforma on-line. È evidente che la diffusione delle competenze digitali tra i cittadini rappresenta una leva fondamentale, ma le tante esperienze che stanno nascendo spontaneamente qua e là sul territorio ci dimostrano meglio di qualsiasi studio o sondaggio che in realtà la popolazione può essere indirizzata con una certa facilità all’uso di una piattaforma o dello stesso smartphone, a patto che i sistemi siano semplici e le informazioni da inserire poche ed essenziali. E così, iscrivere un bambino all’asilo, chiedere un contributo, presentare un’istanza, pagare una tassa, possono diventare operazioni semplici ed accessibili come comprare un libro on-line o scaricare una canzone. Ancor meglio se questi adempimenti si potranno compiere da una stessa porta di ingresso che poi riesca a gestire le informazioni in entrata con immediatezza e simultaneità.
Sportelli unici e gestioni associate
Un ambito dove lo schema-tipo dello Sportello unico trova un approdo naturale è quello delle gestioni associate. Si tratta di operazioni ispirate da esigenze di razionalizzazione della spesa, che se non accompagnate da un adeguato riassetto organizzativo, spesso si risolvono in un peggioramento della qualità dei servizi al cittadino. Anche in questi casi, la formula a Sportello telematico può rappresentare la soluzione. Concentrando il flusso in entrata, è possibile uniformare in senso digitale le procedure in input, evitando disparità tra territori. In output, la gestione accentrata permette di standardizzare i processi, razionalizzare le risorse e ridurre i tempi.
Questi risultati possono condurre verso due diverse linee evolutive diametralmente opposte: a parità di servizi, una progressiva riduzione dei costi di personale e di apparato. A parità di risorse, una più elevata quantità e qualità di servizi resi all’utenza. In alternativa, è anche possibile ipotizzare una combinazione tra le due prospettive.
Ultime frontiere e scenari evolutivi
La formula organizzativa di Sportello che scaturisce da queste evoluzioni dei processi e delle attività della P.A., è una struttura con indubbie potenzialità nuove, che presenta tuttavia anche elementi ibridi, derivanti dall’esperienza degli URP, Uffici Relazioni con il Pubblico, e dei SUAP. Con i primi ha in comune l’attenzione all’utente, la trasversalità e l’estensione onnicomprensiva verso tutte le funzioni svolte da un Ente, mentre dai secondi ha ereditato la propensione al digitale e l’orientamento verso i servizi A2A (administration to administration), cioè i servizi che un Ente mette a disposizione a favore di un altro Ente.
Ma l’importanza e la centralità dello Sportello unico come soluzione organizzativa generalizzata per la gestione dei servizi al pubblico, va ben al di là delle scelte normative o delle sperimentazioni empiriche, al punto da condizionare il funzionamento del futuro sistema di interconnessione e interoperabilità tra Amministrazioni. Quando ci libereremo di concetti superati come flusso documentale, moduli, atti, ecc. e potremo finalmente limitarci a gestire processi e flussi digitali di dati e informazioni, allora la produzione, lo scambio e l’archiviazione dei dati avranno la necessità di circolare in una rete universale i cui punti di snodo saranno appunto gli Sportelli unici. Potremmo anche pensare di cambiare loro il nome, ma saranno pur sempre porte d’ingresso incaricate di organizzare e gestire flussi di dati in entrata e in uscita, da e per l’utenza o altre Amministrazioni.
È evidente che in questo contesto, i limiti tradizionalmente legati all’accesso fisico perdono di rilevanza. Tutte le informazioni, tutti gli strumenti che occorrono per usufruire dei servizi on-line, sono disponibili nei portali e nei siti degli Sportelli unici o di altri soggetti comunque con essi collegati, che si caratterizzeranno sempre di più come punti di contatto virtuali. In una prospettiva ulteriormente evoluta, significa che lo Sportello, inteso come nodo di interscambio o deposito delle informazioni, non deve per forza coincidere con ciascuna singola Amministrazione territoriale (ad es. Comune, Ufficio periferico dello Stato, ecc.), ma può concentrarsi ad un livello aggregativo ad oggi ancora impensabile, e magari svilupparsi in una rete territoriale per garantire la sola conoscibilità o implementazione dei dati. Su questi futuri centri informatici, svincolati dalla competenza territoriale dei soggetti pubblici che producono o che devono conoscere i dati, si sta già allungando l’ombra inquietante e minacciosa delle multinazionali del digitale. Dovremo quindi prestare la dovuta attenzione ai rischi che incombono sui processi di razionalizzazione di dati che per tipologia e provenienza sono di importanza strategica, primo fra tutti quello di perderne il controllo.
Un tempo si diceva che il diritto rimane indifferente al progresso tecnologico. Ma il potenziale insito nei nuovi strumenti informatici sta innescando una reazione a catena di portata tale da mettere in crisi anche questo vecchio, rassicurante postulato. Se con la tecnologia potremo migliorare o peggiorare la nostra qualità di vita, la responsabilità non sarà delle macchine, ma dell’uomo. Forse vale la pena riflettere meglio su una recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 251 del 2016, nota alle cronache per aver bocciato parte della riforma Madia. Pochi sanno invece che questa pronuncia ha spianato la strada per riconoscere ai “diritti digitali” il valore di “livelli essenziali delle prestazioni”, da garantire in uguale misura su tutto il territorio nazionale. Le implicazioni che ne derivano assumono un’importanza epocale, finora troppo poco considerata. Il CAD, fermo al principio del digital first, per cui si opera in digitale salvo che non sia il cittadino a richiedere il cartaceo, non è così avanti. Nonostante gli sforzi, non assomiglia ancora ad una Carta dei diritti digitali. Se infatti i diritti digitali devono essere una garanzia minima per tutti, allora lasciare la porta aperta al cartaceo significa, per definizione, erogare un servizio peggiore, e proprio nei confronti dei più deboli, quelli che non possono connettersi. Insomma, la responsabilità del digital divide non è dei cittadini, ma dello Stato, e compete ad esso prestare la dovuta assistenza perché anche gli esclusi abbiano diritto alla tecnologia.