Molti di coloro che scrivono di questo nuovo strabiliante FOIA, che dovrebbe rendere la PA una casa di vetro, forse non conoscono o non hanno mai sperimentato l’accesso civico introdotto nel 2013 dal d.lgs 33 che già consentiva a chiunque, gratuitamente e senza motivazione, di accedere ad una serie ampissima di dati, documenti e informazioni, obbligando anche le amministrazioni a svolgere un’attività di ricerca e di elaborazione per soddisfare la domanda di trasparenza. All’interno del gruppo facebook “Trasparenza siti web PA” abbiamo inoltrato centinaia di accessi ai sensi del d.lgs 33 ottenendo risultati di cui hanno beneficiato molti cittadini.
Sarebbe stato meritorio divulgare quella norma, per non ingenerare il dubbio, in chi l’ha efficacemente sperimentata, che la sua concreta applicazione ha infastidito tutti coloro che sono interessati a mantenere l’opacità in cui versa da decenni la PA, tanto da sollecitare soluzioni alternative meno efficaci.
Il controllo diffuso reso possibile dalla messa a disposizione on-line, quasi come in vetrina, di informazioni e documenti, a beneficio e servizio sia dei cittadini che di quei dipendenti che cercano di contribuire al cambiamento, spesso in condizione di isolamento ed emarginazione, è fattore di importanza strategica per la la prevenzione dei fenomeni corruttivi, come peraltro dichiarato nella stessa Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione ratificata dall’Italia con L. 116 /2009.
Ritengo che il controllo diffuso con il d.lgs sia stato molto ridimensionato e che sia stata tradita l’essenza della trasparenza intesa come strumento cardine preventivo dei fenomeni della corruzione.
Il decreto 33 era certamente perfettibile ma, al di là di chi vorrebbe abbagliarci con il FOIA (perchè utilizzare termini stranieri che il cittadino spesso non conosce?) le modifiche introdotte, piuttosto che rafforzare l’efficacia delle sanzioni e gli obblighi di pubblicazione nel rispetto dei requisiti di accessibilità, con il pretesto di alleggerire gli adempimenti della PA e di evitare che l’eccesso di pubblicità generasse confusione, hanno ridimensionato di fatto partecipazione digitale e controllo diffuso riducendo il contenuto minimo del sito web dell’Ente che è il primo strumento finalizzato a erogare servizi, anche informativi, e favorire non solo il dialogo con i cittadini ma la comunicazione tra i vari uffici della PA.
Il bisturi del governo ha inciso su tre fronti: la soppressione di utili obblighi di pubblicazione on-line, l’introduzione dell’art. 9 bis con la previsione di affidare a banche dati l’obbligo di pubblicazione di importanti atti e il depotenziamento della comunicazione e della formazione.
Con la prima operazione, con l’intento di semplificare gli oneri per la PA, ma non certo per semplificare la vita ai cittadini, si è decretata la morte della trasparenza on-line dei procedimenti di reclutamento del personale con l’abrogazione dell’obbligo di pubblicare bandi di concorso espletati nell’ultimo triennio (basti pensare che le graduatorie hanno durata triennale e poter vigilare sull’eventuale scorrimento toccherà inoltrare richiesta di accesso); abrogati anche l’archivio on-line ottimo servizio, che, decorsi 5 anni dalla pubblicazione, consentiva di effettuare autonome ricerche su atti pregressi, la pubblicazione del nominativo del responsabile del procedimento che sarà sostituito con quello dell’ufficio, la pubblicazione dei dati relativi alla distribuzione del trattamento accessorio dei dipendenti, i risultati delle indagini di customer satisfaction sulla qualità dei servizi erogati, i dati relativi ai titolari di incarichi politici e dirigenziali a titolo gratuito che come affermato dalla Corte dei Conti gratuiti non sono (rimborsi, assicurazioni ecc), l’elenco delle tipologie di controllo cui sono assoggettate le imprese; abrogati anche i dati sul benessere organizzativo che forse per molti significheranno poco, ma che on-line uniti a quelli del CUG avrebbero evidenziato sensibilità rispetto ai fenomeni del mobbing dietro cui si cela spesso corruzione.
Con la seconda operazione molto più raffinata, con il pretesto di evitare le duplicazioni, è calato il velo sulla trasparenza di atti importanti come bilanci, incarichi, contratti integrativi, patrimonio immobiliare ecc). L’introduzione dell’art. 9 bis ha eliminato infatti l’obbligo di pubblicazione nei siti web di tali importanti documenti disponendo che lo stesso obbligo possa essere assolto sostituendo la pubblicazione con la comunicazione alle banche dati che dovranno poi preoccuparsi di rendere fruibili i dati ai cittadini. La norma non risponde ai requisiti di semplificazione della trasparenza: il cittadino nella sottosezione di Amministrazione Trasparente non troverà più questi importanti dati con accesso immediato, bensì un link alle rispettive Banche Dati ( sic, nel comma 2 art. 9 bis, alle banche dati e non ai dati): ad esempio il link a PERLA PA per gli incarichi di collaborazione o consulenza, a BDAP per i bilanci; a REMS per beni immobili ecc. Gli obblighi di pubblicazione per le banche dati acquisteranno efficacia decorso un anno dalla data di entrata in vigore del decreto e, nelle more dell’entrata in vigore dell’obbligo, la trasparenza è defunta perchè non è previsto espressamente in nessuna norma che i dati debbano essere pubblicati nei siti web istituzionali. Pur ammettendo che le banche dati siano strutturate fra un anno in modo tale da poter pubblicare efficacemente tale enorme mole di dati, appare paradossale credere che in caso di omessa pubblicazione un solo Responsabile possa adempiere alle richieste di accesso di tutta l’Italia, fermo restando che se tra un anno non trovassimo l’informazione pubblicata in banca dati dovremo prima inoltrare richiesta di accesso al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’amministrazione titolare della banca dati e, qualora l’omessa pubblicazione non sia imputabile a quest’ultimo, dovremo inoltrare nuova richiesta al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’amministrazione tenuta alla comunicazione, con una corsa ad ostacoli e un rimbalzo di responsabilità che scoraggerà anche chi è dotato di altissimo senso civico e di buona volontà! E così chi non ha ancora pubblicato avrà tanto tempo per rinviare con grande mortificazione per tutte le PA virtuose e trasparenti che sino ad oggi avevano adempiuto.
Con la terza operazione si è mortificata la comunicazione della trasparenza che è funzionale alla partecipazione dei cittadini e al controllo diffuso. Infatti il neo decreto ha abrogato il programma triennale della trasparenza previsto dall’art. 10 del d.lgs 33, che doveva essere adottato sentite associazioni ed utenti e in cui si illustravano iniziative e strumenti di comunicazione per la diffusione dei contenuti, l’organizzazione delle giornate della trasparenza, gli strumenti di coinvolgimento degli stakeholder e in cui erano illustrati gli obblighi di pubblicazione per la specifica tipologia dell’ Ente, riferimento essenziale per cittadini e dipendenti dato che, ciliegina sulla torta, con l’avvento del FOIA persino la formazione obbligatoria sulla trasparenza è stata abrogata con la soppressione del comma 8 della legge 190/2012 che sanciva che “la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti costituiscono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale “
L’eliminazione delle citate e di altre importanti informazioni di conoscibilità on-line dell’azione amministrativa funzionali al controllo diffuso non è stata minimamente bilanciata dal presunto ampliamento della libertà di accesso alle informazioni introdotto con il c.d. FOIA. Quest’ultimo si è sovrapposto in modo confusionario alle altre due forme di accesso già presenti nel nostro ordinamento, quella della L.241/90 e quella del d.lgs 33/2013, delineando un nuovo procedimento di accesso che sin dall’avvio pecca per assenza di semplicità e trasparenza. Il cittadino che prima poteva inoltrare la richiesta al Responsabile della Prevenzione o della trasparenza ora avrà l’onere di leggere il piano triennale della corruzione solo per capire a chi indirizzare l’istanza: l’URP? Il responsabile anticorruzione? L’ufficio che detiene i dati?
La PA, a fronte della richiesta di accesso, avrà l’obbligo di individuazione e comunicazione ai controinteressati, e ciò a parte l’evidente sovrapposizione con la legge 241/90, di fatto renderà l’iter d’accesso proceduralmente lungo, macchinoso e di fatto impossibile, per non parlare poi della disperante vaghezza dell’elenco delle tipologie di dati e documenti sottratti all’accesso con l’ampissima formulazione dei limiti correlati alla protezione di interessi pubblici e privati, formulati nel decreto in modo talmente indeterminato che di trasparente e chiaro c’è solo l’ ampissima discrezionalità in capo ai dirigenti che concorrerà a delineare un diritto vuoto e non esercitabile.
Sorvolo sulla logica sottesa all’eliminazione del sollecito al titolare del potere sostitutivo, e la previsione della richiesta di riesame al Responsabile della trasparenza, integrata in alcuni casi dal parere del Garante, nonché sulla possibilità di presentare, nel caso di atti delle amministrazioni locali ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito o a quello superiore che determina discriminazioni negli strumenti di tutela della trasparenza a svantaggio di cittadini di Comuni o Regioni in cui il difensore civico ,non più obbligatorio, non è stato previsto o ,se pur previsto nello Statuto, non è stato eletto, nonché sui poteri conferiti all’ANAC “all’esclusivo fine di ridurre gli oneri gravanti sulla PA” di ridurre ulteriormente e sintetizzare gli obblighi di pubblicazione obbligatoria o di determinare il periodo di pubblicazione inferiore ai cinque anni “sulla base di una valutazione del rischio corruttivo” .
A chi gioverà il FOIA? Di sicuro agli avvocati. La trasparenza implica scelte legislative semplici, chiare e coraggiose che forniscano agili strumenti di controllo e partecipazione ai cittadini senza deleghe ad intermediari che possono assumere aspetti censori anche su informazioni che di fatto non ledono alcun diritto fondamentale costituzionalmente garantito. Il mio giudizio critico è frutto dell’esperienza maturata sia come cittadina che ha sperimenta e condiviso in modo volontario e con esito positivo numerosi accessi civici ai sensi del decreto 33/2013 , sia come funzionaria pubblica e dirigente sindacale.