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Strategia digitale 2025, IA e Open data: come vincere l’inerzia dell’Italia

La “Strategia per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione del Paese” ha il merito di indicare bene su cosa la politica e il governo intendano muoversi nei prossimi anni. Serve però trasformare le azioni in un piano operativo e in progetti dettagliati. E poi avere sufficienti risorse per realizzare i progetti. 

Pubblicato il 14 Feb 2020

Vincenzo Patruno

Data Manager e Open Data Expert - Istat

interoperabilità

La “Strategia per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione del Paese” presentata dalla Ministra dell’Innovazione Paola Pisano sul finire del 2020 – al di là del clamore suscitato dal ringraziamento verso Davide Casaleggio – ha  sicuramente il merito di mettere insieme vari pezzi di questo grande puzzle che è fare Innovazione nel nostro Paese. Soprattutto, ha il merito di indicare bene su cosa la politica e il governo intendano muoversi nei prossimi anni.

Il piano, a mio avviso, è senza dubbio molto attuale e in linea con quello che è da un po’ di tempo il dibattito in corso sull’innovazione tecnologica e la digitalizzazione. Vengono infatti indicate azioni strategiche su temi su cui si sta ragionando da tempo. In alcuni casi si fa riferimento a progetti già avviati e tutt’ora in fase di realizzazione.

Il piano strategico e gli open data

In genere mi occupo di dati e perciò proverò qui a esaminare il piano strategico proprio da questo punto di vista.

Il piano è articolato in sfide ed azioni. Vengono proposte tre sfide, di cui la prima è sulla realizzazione della “Società Digitale”, una società in cui cittadini e imprese interagiscono con la Pubblica Amministrazione attraverso servizi digitali erogati dalla stessa PA. Ritengo che questa sia senza dubbio la sfida più impegnativa. Nella sfida si fa riferimento agli Open Data, e se ne parla sia in una logica di miglioramento dei servizi esistenti oppure di sviluppo di nuovi servizi digitali. Si dice abbastanza genericamente che gli Open Data vanno valorizzati. Ok, il piano strategico si chiama così perché serve a presentare la visione e la strategia, per cui tante cose vengono necessariamente riportate in modo sintetico, ma qui vorrei fare qualche considerazione.

I due tipi di dati della PA

Non ci sono dubbi che quando si parla di servizi digitali si parli implicitamente anche dei dati su cui questi servizi sono costruiti. Ora, i dati che la Pubblica Amministrazione produce quando svolge le proprie funzioni istituzionali possono essere essenzialmente di due tipi.

Possono essere dati che è possibile rilasciare come Open Data, dati cioè che rivestono in qualche modo un interesse pubblico e che non hanno problemi di confidenzialità e riservatezza.

Oppure possono essere dati che magari non sono Open ma che possono essere di interesse per consentire ad altre Pubbliche Amministrazioni di sviluppare nuovi servizi o migliorare quelli già esistenti. Stiamo in ogni caso parlando di dati pubblici, ossia prodotti da enti pubblici, che possono essere sia Open che non Open.

Riassumendo: la PA per generare servizi digitali a cittadini e imprese ha bisogno di dati che possono essere sia Open che non Open. Non ci sono particolari problemi se i dati necessari sono gestiti da quella stessa PA e il servizio è quindi di tipo “verticale” su quella PA.

Il problema dell’integrazione dei dati

I problemi cominciano a manifestarsi quando per generare un servizio si ha necessità di integrare tra loro dati di fonte diversa. Oggi le Pubbliche Amministrazioni hanno molte difficoltà ad accedere in maniera agevole a dati che sono generati da altre PA e che invece diventano e saranno sempre più importanti non solo per migliorare i servizi esistenti ma soprattutto  per progettare e sviluppare i nuovi servizi del futuro, ossia servizi integrati tra PA diverse.

La necessità di utilizzare dati di altre PA è una cosa che conosciamo bene già da un po’, in particolare da quando abbiamo cominciato a parlare di “silos” di dati e della necessità di rendere i dati interoperabili. Ed è stata proprio questa necessità a spingere tante PA a sottoscrivere accordi ad hoc per consentire il “data sharing”, ossia la condivisione dati tra PA utilizzando anche soluzioni di cooperazione applicativa. Quando parlo di queste cose mi viene inevitabilmente in mente la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) (vedi piano triennale AGID per l’informatica nella Pubblica Amministrazione). Se pensiamo ad una infrastruttura di riferimento per il data sharing di dati Open e non Open della Pubblica Amministrazione allora bisogna passare necessariamente da qui.

L’intelligenza artificiale nei procedimenti giudiziari

Non solo, però, servizi a cittadini e Imprese. Lo Stato può infatti beneficiare delle potenzialità dei dati, dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale per rendere più efficienti tanti procedimenti amministrativi e più in generale tanti aspetti relativi alla gestione dello Stato.

Direi che quello di avvalersi di tecniche evolute di AI anche all’interno della PA è un passaggio sempre più necessario. In particolare nel piano strategico si parla di avviare una prima applicazione dell’intelligenza artificiale all’interno dei procedimenti giudiziari. Trovo sinceramente giusti ma un po’ eccessivi i timori che sono stati evidenziati su questo aspetto. Se ne è infatti parlato essenzialmente evidenziandone i rischi, un po’ meno invece mettendo in risalto le tantissime opportunità dell’Intelligenza artificiale. Che non vuol dire affidare “tout court” i procedimenti giudiziari ad algoritmi, ma fare invece in modo che la magistratura possa avvalersi del supporto di strumenti evoluti. Identificare ad esempio nell’immensa mole di dati della nostra giurisprudenza quei procedimenti che abbiano una elevata “similarità” con quello in esame penso sia una interessante opportunità.

E’ ovviamente necessario che questi strumenti siano anche eticamente “corretti”, e questo viene previsto quando nel Piano viene evidenziato molto bene  che tutto ciò verrà fatto nel rispetto dei principi etici e giuridici e su cui lavorerà l’”AI Ethical Lab-El”, una sorta di laboratorio per l’Intelligenza Artificiale sostenibile. E’ infine evidente che per fare tutto ciò non sono più ammessi faldoni cartacei: è infatti necessario che tutti i dati necessari siano in formato digitale, disponibili e accessibili. E già solo questa è una bella impresa.

Ma si parla di dati e di intelligenza artificiale anche nella seconda delle sfide, in cui vengono  proposte alcune azioni in grado di sviluppare l’innovazione all’interno del sistema produttivo del Paese. Si punta così sulla robotica, sulla mobilità del futuro, sull’intelligenza artificiale e sulla cyber security. I dati li ritroviamo un po’ ovunque, in particolare quando si parla di “Dati per la città del futuro”.

In breve si chiede ai fornitori di servizi pubblici che operano nelle città di rilasciare come dati aperti quelli generati e raccolti nell’ambito dell’esercizio della loro attività. Pensiamo ai trasporti e alla mobilità, ai parcheggi, alla raccolta rifiuti, ma anche all’energia elettrica, al gas, all’acqua, a tutta la sensoristica delle Smart City e così via. Questa è una cosa che giustamente si vuole normare a livello nazionale e rendere obbligatoria. Mi auguro che ciò non si riduca al rilascio di un report annuale contenente un po’ di statistiche ma che siano invece tutti dati elementari (al netto di eventuali problemi di privacy) rilasciati in tempo reale e consultabili “on demand” attraverso API.

Le tre sfide del Piano

Le sfide proposte nel Piano del Ministero sono complessivamente tre (la terza riguarda lo Sviluppo Inclusivo e Sostenibile) e sono  articolate in venti azioni, alcune delle quali sono sicuramente impegnative. Da più parti, sia nella giornata in cui il piano è stato presentato, sia nei giorni successivi, è stata sollevata una domanda. E la domanda è stata: “come facciamo tutto questo?”.

Serve infatti trasformare le azioni che nel piano sono soltanto descritte in modo sommario in un piano operativo e in progetti dettagliati. Serve poi avere sufficienti risorse per realizzarli questi progetti.  E non dobbiamo dimenticare che bisogna sempre fare i conti con la prima legge di Newton, che dice che “un corpo non soggetto a forza permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme” (Inerzia). Il principio di Inerzia non vale infatti solo in fisica ma lo possiamo estendere praticamente a  qualunque tipo di sistema, anche a sistemi economici e sociali.

Introdurre, avviare e mettere in movimento qualcosa che è fermo richiede sempre un sforzo (in fisica una forza), così come apportare cambiamenti a sistemi che si “muovono” sempre allo stesso modo. Alzi la mano chi non ha mai sentito la frase abbiamo sempre fatto così!e quanto sia difficile in contesti come questo il cambiamento. La fase di startup di qualunque progetto richiede pertanto uno sforzo organizzativo ed economico in assenza del quale quel determinato “sistema” resta immobile. Mi auguro quindi che i progetti che scaturiranno dalle azioni proposte trovino un adeguato supporto organizzativo e finanziario.

PS: In riferimento alle polemiche legate al ringraziamento a Davide Casaleggio, personalmente credo sia sempre doveroso non solo ringraziare chi fornisce suggerimenti e idee, ma soprattutto, come in questo caso, coinvolgere chi è dentro e lavora nel mondo dell’Innovazione e soprattutto ha qualcosa da dire.

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