C’è una partita i cui risultati stanno delineandosi, alla luce dello stato di emergenza causato dal Coronavirus. Una partita che vede giocare da un lato l’arretratezza macchinosa delle procedure del settore pubblico. E dall’altro l’efficienza pragmatica degli Over the Top che stanno di fatto dominando la scena di dati personali, apprendimento, industria, media. Analizziamo questo divario e l’impatto che rischia di avere sull’economia italiana e il progresso sociale.
Web company big player della crisi
Questo grazie a una consolidata capacità di generare crescenti profitti destinati a incrementare un fatturato che non conosce crisi. L’offerta di un’elevata varietà di servizi in regime di strapotere tecnologico coinvolge la società a vari livelli: istituzioni pubbliche, imprese, operatori privati e utenti cittadini. Tutti indotti a utilizzare – in uno stato di totale dipendenza – piattaforme, app e strumenti di video-conference sempre più indispensabili nel settore economico, educativo, dell’apprendimento formativo, delle relazioni interpersonali e nelle attività delle pubbliche amministrazioni.
Emerge un nuovo “campo di gioco” che, ponendo al centro dell’intera umanità la rilevanza strategica dell’innovazione digitale, richiede un necessario cambio di paradigma come fondamentale presupposto per adeguare il progresso generale al ritmo dell’evoluzione tecnologica.
Secondo i dati pubblicati dal Report “Global Digital 2020” – a cura di We are social in collaborazione con Hootsuite – nel 2019 sono più di 4,5 miliardi gli utenti che usano Internet (pari al 59% della popolazione globale, con un incremento del + 7% rispetto all’anno precedente), mentre gli utenti dei social media hanno superato la quota di 3,8 miliardi (corrispondente al 49% della penetrazione globale, con un + 9% rispetto al 2018). Oltre 5,19 miliardi di persone usano i dispositivi mobili per connettersi ad Internet, trascorrendo in media online quasi 7 ore ogni giorno, di cui la metà del tempo viene impiegato all’interno delle piattaforme sociali (Facebook rappresenta il social network più utilizzato con 2,5 miliardi di utenti mensili attivi, segue YouTube, WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e Instagram).
Primato delle aziende del tech
In Italia, sono quasi 50 milioni gli utenti di Internet (pari all’82% della complessiva popolazione), mentre le persone attive sui social sono 35 milioni (i social network maggiormente utilizzati in Italia nell’ordine sono: YouTube, WhatsApp, Facebook, Instagram, Facebook Messenger, Twitter e LinkedIn).
In un momento storico in cui Internet continua a crescere in maniera sempre più esponenziale, l’emergenza “Covid-19” ha reso ancor più centrale la rilevanza delle tecnologie per la maggior parte delle attività quotidiane, rafforzando il primato economico-imprenditoriale delle multinazionali digitali, con implicazioni politiche destinate a mutare il tradizionale assetto su cui si fonda la stabile articolazione di un gruppo sociale organizzato per il raggiungimento di fini collettivi.
L’impatto della pandemia sui tradizionali settori produttivi sembra già produrre effetti negativi devastanti: si profila il rischio di una grave recessione economica paragonabile a quella del dopoguerra, anche in termini di crollo del PIL che, ad esempio, in Italia, potrebbe costare una cifra pari a 170 miliardi di euro, con il conseguente collasso dei livelli di redditività del sistema generale.
In controtendenza il periodo di “lockdown” ha incrementato la percentuale dei ricavi prodotti dalle “digital corporation” grazie all’utilizzo massivo di applicazioni, sistemi di video conferenza, piattaforme di e-commerce, servizi di messaggistica e social network, al punto da spingere i “colossi del web” persino ad annunciare il ricorso a ingenti piani di assunzione per il reclutamento di centinaia di migliaia di nuovi lavoratori al fine di soddisfare l’incremento esponenziale della domanda.
Il potere dei dati personali
Alla crescita continua di profitti si aggiunge l’ulteriore massiva acquisizione di un consistente patrimonio di dati personali, da cui discende un enorme potere, gestito da imprese private che operano con l’intento di massimizzare i profitti del proprio business di advertising online, per generare un sistema di “personalizzazione” dei contenuti in grado di realizzare un tracciamento completo e dettagliato sulle preferenze e sulle abitudini delle persone. Con il rischio di influenzare, anche indirettamente, le scelte dell’opinione pubblica sul dibattito politico, grazie all’utilizzo di sofisticate tecniche di profilazione che, processando una quantità significativa di “big data”, favoriscono la circolazione di “informazioni polarizzate”, contribuendo alla diffusione incontrollata di fake news, con effetti di manipolazione sulla percezione dei contenuti accessibili online.
Allo stato attuale, non esistono strumenti adeguati per contenere la smisurata concentrazione dei dati personali nelle mani del cd. “impero” dei colossi del web, come rilevante potere politico che, pur incidendo sullo svolgimento di rilevanti attività economiche e sulle concrete modalità di esercizio di diritti fondamentali (quali l’identità personale, la privacy, la tutela del consumatore), tende a manifestarsi al di fuori degli ordinari circuiti decisionali di legittimazione istituzionale politico-democratica.
Questo anche a causa di una crisi irreversibile del ruolo delle autorità statali che, pur con la possibile tentazione di implementare strumenti tecnologici di sorveglianza generale per monitorare la vita delle persone (come preoccupante scenario di stabile controllo governativo post emergenza “Covid-19”), sembrano, in realtà, destinate a rincorrere la rapidità evolutiva dell’innovazione tecnologica, alla ricerca di efficaci procedure di adeguamento del quadro normativo per stabilire “le regole del gioco” applicabili al mondo di Internet, nel frattempo frutto dell’inesorabile processo di autoregolamentazione dei grandi player.
Lo “Stato parallelo” di Facebook
Emblematica, in tal senso, la creazione, nell’ambito del “nuovo sistema di governance” promosso da Facebook, di un’inedita struttura denominata “Oversight Board” (dotata di una carta recante linee guida sul suo funzionamento operativo), presentata come una sorta di “Corte Suprema”, attualmente composta da 20 membri (con la possibilità di un incremento futuro sino a 40 “giudici”), costituente un organo giudicante indipendente, al quale gli utenti potranno appellarsi in casi controversi di cancellazione di profili e post ritenuti ingiusti, per ottenere decisioni “definitive” e “vincolanti” sui contenuti consentiti e rimossi, con l’ulteriore compito di pronunciarsi su temi delicati e complessi come l’odio l’online, le fake news e il diritto alla privacy, mediante l’elaborazione di linee guida utilizzabili per la moderazione del flusso comunicativo condiviso su Facebook e Instagram.
Si tratta, infatti, di un’iniziativa senza precedenti realizzata da un’impresa privata che sembra plasmare la rivendicazione sovrana dei confini del proprio spazio virtuale su cui interagiscono 2,5 miliardi di utenti, come peculiare forma di cyberdemocrazia dotata di organi “para-giurisdizionali” sulla falsariga della tipica configurazione di un ordinamento statale. Anche se, rispetto agli organi istituzionali democraticamente eletti, il potere delle multinazionali digitali non è sorretto da un regime di responsabilità politica per le scelte compiute, con il paradosso di affidare a soggetti privati il compito di stabilire le “regole del gioco” da applicare all’interno delle proprie piattaforme.
Tutto ciò sembra andare nella direzione di un nuovo scenario in cui si manifestano i tratti peculiari di un’inedita governance geopolitica, fondata sul controllo strategico pervasivo della tecnologia in grado di determinare una ridefinizione dei rapporti di forza nei tradizionali assetti di equilibrio dei poteri. Questo perché, grazie all’inesorabile supremazia del digitale, gli Over the top appaiono vincenti rispetto all’esigua utilità delle politiche promosse dalle autorità statali e dagli apparati del settore pubblico, la cui incidenza per la collettività si riduce notevolmente sotto il profilo dei benefici tangibili sulla vita delle persone come inevitabile conseguenza della mancanza di una lungimirante visione organica di futuro.
Ruolo regolatorio degli Stati
Non si vede all’orizzonte una strategia operativa pianificata in anticipo e sviluppata in una sequenza sinergica di tappe definite nel breve, medio e lungo termine a fronte delle complesse sfide future che la rivoluzione di Internet pone sulle prospettive occupazionali del mercato del lavoro, sulle dinamiche evolutive della sostenibilità sociale e ambientale e sulla tenuta democratica dei sistemi politici.
Di certo, di fronte all’intraprendenza operativa dei “Colossi del web”, si contrappone un arretramento del ruolo regolatorio degli Stati che, come “stanchi giganti di carne e d’acciaio”, sembrano cedere il passo al predominio delle imprese tecnologiche dominanti, nella prospettiva di un nuovo ordine politico digitale, in cui diminuisce il peso decisionale dei governi nazionali e delle organizzazioni internazionali. Resta sullo sfondo, come sola eccezione di ciò che resta dell’egemonia delle autorità statali, la sfida – dagli incerti esiti geopolitici – fra le due principali potenze globali (Cina e USA) per la conquista del primato sul settore tecnologico soprattutto in relazione ad esigenze di sicurezza nazionale.
Nel panorama italiano, ad esempio, si assiste ad un perenne stato di aspettative da “anno zero”, che impedisce agli apparati istituzionali del settore pubblico di sviluppare efficaci processi di innovazione digitale, a causa della mancata condivisione di una visione di futuro formalizzata in una strategia a lungo termine, talvolta ricorrendo a soluzioni indifferibili non del tutto condivise: si pensi al dibattito sulla scelta dell’app Immuni, o alle implicazioni connesse allo svolgimento della didattica a distanza). Senza contare le falle del Data Breach Inps, aggravate da radicati ritardi tecnologici cognitivi e infrastrutturali, in uno scenario peraltro compromesso dal permanente stato di instabilità politica che impedisce di assicurare continuità operativa a qualsiasi progetto e permette solo il ricorso a interventi emergenziali come è accaduto durante la pandemia “Covid-19”.
Resistenza italiana all’innovazione
Che fine farebbe la Strategia Italia 2025 elaborata dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione – MID), qualora, a conclusione naturale della legislatura in corso prevista per il 2023, dai risultati elettorali emergesse una maggioranza politica diversa da quella attuale? Si assisterebbe all’ennesima riprogettazione di una nuova strategia digitale (vanificando quanto già compiuto in sede di implementazione applicativa) o si darebbe impulso ulteriore alle linee operative di intervento già adottate dal MID?
Di fronte a un imminente scenario di cambiamento epocale che proietta l’umanità in una direzione di non ritorno al passato, emerge – come principale criticità paralizzante di resistenza ostativa allo sviluppo pervasivo delle tecnologie – l’inconsistenza obsoleta delle politiche pubbliche, immobilizzate da rigide prassi burocratiche “ottocentesche”, nell’ambito di formali liturgie autoreferenziali sganciate dalla responsabilità sui risultati.
Il Report “The Future of Jobs 2018” pubblicato dal World Economic Forum traccia il quadro evolutivo delle principali figure professionali richieste nei prossimi anni, auspicando una riqualificazione della forza lavoro come indispensabile presupposto di formazione professionale della futura “classe dirigente” (entro il 2022 cesseranno di esistere 75 milioni posti di lavoro, ma ne verranno creati altri 133 milioni, con un netto di + 58 milioni di nuove opportunità lavorative collegate al digitale).
Rischio di danni per l’intera comunità
Ma nel frattempo, in Italia, si mantiene un durevole stato di inerzia in perenne attesa di avviare un processo di aggiornamento integrale del sistema educativo delle scuole e delle università, collegato a una riforma generale delle procedure concorsuali pubbliche per il reclutamento organico di esperti digitali in possesso di competenze specialistiche ICT. In questo modo va persa l’occasione di realizzare una progettazione di futuro sostenibile e innovativo in linea con le esigenze formative, professionali e occupazionali che emergono nell’attuale era, con il risultato di provocare gravi ricadute economiche e sociali in termini di costi, inefficienze e disservizi a carico della collettività.
Il vuoto creato dall’inadeguato funzionamento degli attuali sistemi politico-istituzionali rischia di lasciare spazio a un inedito ordine politico digitale. I colossi dell’hi-tech – al netto degli indiscutibili “lati oscuri” – stanno dimostrando la loro efficacia nell’accompagnare una metamorfosi evolutiva delle loro funzioni. E si profilano come insidiosi competitor degli Stati nella definizione di una prospettiva – sia pure ambigua – di visione futura. Ma la meta rischia di essere la conquista della definitiva egemonia “tecno-politica” per governare il mondo.