Nuovo governo

Strumenti di project financing per lanciare l’Agenda

Senza investimenti, la Pa non si modernizzerà mai. Adesso bisogna individuare un punto di attacco, per un rapido avvio. Esperienze estere e in Emilia Romagna dimostrano che il ritorno è in tempi brevi. Si parta subito con la Sanità e con la razionalizzazione dei datacenter

Pubblicato il 14 Mag 2013

Gabriele Falciasecca

Università di Bologna

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E’ ormai da anni che si susseguono interventi sulla strategia che l’Italia dovrebbe seguire per arrivare alla tanto auspicata digitalizzazione, in particolare della Pubblica Amministrazione, e sugli straordinari vantaggi che si avrebbero se l’obiettivo fosse raggiunto. Oggi poi, avendo finalmente un governo in carica, è il momento delle preoccupazioni e dei suggerimenti, alcuni dei quali non privi di interessi particolari. Aggiungerò dunque anche i miei, di suggerimenti, non tanto sulle strategie, ovvero sugli obiettivi, scontati, quanto su alcuni elementi tattici che possono aiutare a mettere in moto il processo. E confesso il mio interesse di parte: che dalle chiacchiere e dagli scritti si passi ai fatti e che si ricominci dunque ad immettere giovani preparati nel sistema dell’ICT italiana offrendo loro un futuro.

Avendo vissuto da universitario la stagione delle riforme a costo zero e avendo quindi sperimentato sulla mia pelle, e su quella degli studenti, la inconsistenza di questo approccio, do per scontato che senza investimenti il processo di digitalizzazione della PA difficilmente si avvierà. Di conseguenza senza investimenti non avremo risparmi e aumento di efficienza, né un mercato in crescita. Ma come e dove trovare i danari necessari? Perché ci fu un tempo in cui il pubblico poteva permettersi di destinare ingenti somme il cui effetto si sarebbe visto nel tempo e ciò ha consentito per esempio alla Regione Emilia-Romagna di costruire la rete in fibra ottica Lepida che oggi non solo ha risolto il problema della NGN per gli enti pubblici della regione, ma consente anche di risparmiare svariati milioni di euro all’anno. Oggi nella stessa regione per avviare nuovi progetti ci vuole non solo più determinazione ma anche più fantasia per reperire le risorse. Quindi ormai chi ha fatto ha fatto…. Con limitate eccezioni per alcune province autonome.

Per avviare il processo, nella speranza che poi cominci ad autoalimentarsi, si deve individuare un punto di attacco, che consenta un rapido avvio. Un modello interessante da proporre è quello che ha consentito ad alcuni comuni di introdurre i cosiddetti “lampioni intelligenti”. Attraverso un “project financing” privato si è fatto l’investimento sulla nuova infrastruttura che poi fin dal primo anno ha consentito all’amministrazione comunale di risparmiare sui costi di illuminazione e quindi di remunerare l’investitore in modo regolare e adeguato senza uscire dai lacciuoli dei vari vincoli.

Oggi non è facile, ma è pur sempre possibile, trovare altri esempi di tal genere, ma soprattutto non è facile trovare il privato che investa a medio termine. Si fa però oggi un gran parlare della liquidità presente sul mercato, per l’intervento delle varie banche centrali, certamente in USA e Giappone dove si stampa grande quantità di moneta, ma indirettamente anche in Europa. Tale liquidità però cerca impieghi a rischio pressoché nullo e dunque spesso finisce solo sui vari titoli di stato. Ma un impiego in iniziative come quella prima descritta sarebbe egualmente a rischio pressoché nullo, perché in compartecipazione con il cliente finale che assicurerebbe l’impiego. Perché non provare a creare strumenti in grado di operare in tal senso? Si ricordi che comunque tutti gli investimenti di cui si parla per l’ICT sono quasi trascurabili se paragonati a ciò che serve per altre opere pubbliche, quindi non si metterebbe in pericolo l’approvvigionamento dello stato.

Un altro settore dove si verifica una situazione simile è quello della razionalizzazione dei Data Center della PA. Oggi sono tantissimi, inefficienti e costosi: potrebbero diventare pochi e più efficienti con risparmio di costi e più ecologici. Esperienze estere hanno mostrato che il ritorno è in tempi straordinariamente brevi e in regione Emilia-Romagna la si sta avviando. In questo campo l’Agenzia per l’Italia Digitale – se finalmente sarà in condizioni di operare – potrà forse avviare l’iniziativa a livello nazionale con fondi propri, trasformando le spese correnti in investimenti e approfittando della possibilità di avviare collaborazioni pubblico privato su scala locale, con il contributo delle regioni. Ma se fosse necessario reperire fondi anche questa è una iniziativa a rischio zero.

Da ultimo, ma non per importanza, vi è un altro settore dove il rischio è nullo e le prospettive allettanti: è quello sanitario. Si può con le tecnologie ICT passare dalla stagione dei tagli a quella degli investimenti realmente produttivi, valutati di volta in volta nelle varie aree portanti del sistema. Qui si tratta di riorganizzarsi in modo che progetti come il fascicolo sanitario, la expertise in rete, la valutazione in mobilità dello stato di un paziente per valutarne le necessità di ricovero ecc. che a livello nazionale o locale sono avviati, abbiano le risorse per pervadere tutto il paese. I ritorni sono certi ma si deve potere fare investimenti a medio termine perché le strutture possano adeguarsi in termini di personale e apparati. Poi restituiranno con gli interessi.

Non si confonda questa idea con quella di un fondo per le grandi infrastrutture, perché qui i progetti sono diversificati, con tempi di realizzazione molto contenuti e la fase di rientro molto chiara. Il riferimento eventualmente può essere semmai verso alcuni fondi privati che già esistono. Ma la garanzia del rendimento deve essere accompagnata da una maggior morbidità nel rientro. La metodologia deve essere generale e correttamente individuata, ma poi deve essere offerta ai vari attori in campo – comuni, regioni ecc. – in modo che siano responsabilizzati e creativi.

Concludo allora incoraggiando gli esperti di servizi ed infrastrutture a mettere in fila le occasioni che ci sono nella PA per creare l’elenco degli investimenti a rischio bassissimo e gli esperti finanziari ed economici ad immaginare lo strumento più adatto per fare da cerniera tra il pubblico e il privato, dando le necessarie garanzie ad ambo le parti.

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