Sanità digitale

Telemedicina: il 2016 l’anno della svolta. Davvero: ecco perché

La penalizzazione tariffaria dei ricoveri inappropriati e delle dimissioni ritardate per eccesso di cautela può fare la differenza, per il decollo della telemedicina. Sul piatto della bilancia, un mercato che può diventare miliardario in pochi anni. Ma l’offerta è inadeguata

Pubblicato il 09 Lug 2015

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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“Quello che viene sarà l’anno della telemedicina”. Alzi la mano chi non ha mai sentito pronunciare questa affermazione, negli ultimi 5 anni.
E non è mai successo niente: sperimentazioni, macchie di leopardo e/o giaguaro, bicchieri mezzo vuoti o mezzo pieni, tartine di salmone ai convegni, donne e uomini di marketing sacrificati sull’altare delle previsioni di mercato.

Quello che viene sarà l’anno della telemedicina. Nel 2016, si parte per davvero. Lo dice l’Osservatorio Netics, nella sua Market Overview Telemedicina 2015: l’anno prossimo sarà quello che vedrà finalmente decollare i servizi di telemedicina, a partire da quelli per la teleassistenza domiciliare e il teleconsulto.
Numeri ancora piccoli, ma in continua crescita.

Perché crederci, questa volta? Cosa c’è di veramente differente rispetto al passato?
La risposta sta negli orientamenti strategici del Servizio Sanitario Nazionale e nelle misure di penalizzazione previste per ricoveri inappropriati e dimissioni ospedaliere ritardate.
Un vero e proprio freno al ricovero facile e all’eccesso di prudenza in funzione del quale un ricoverato viene dimesso un paio di giorni dopo il dovuto “tanto per stare dalla parte della ragione”.
Finalmente, si agisce sull’unica leva sensibile: i soldi. Tagli tariffari dal 50 al 60% per chi non si adegua, punto.

Tanto per contestualizzare: stiamo parlando di parecchi miliardi di euro, se è vero (come è vero) che l’area del sospetto di inappropriatezza corrisponde al 25% del totale della spesa ospedaliera (44 miliardi l’anno).
Questa fortissima (e irreversibile) spinta alla domiciliarizzazione dei pazienti rappresenta il vero driver per l’affermazione della teleassistenza domiciliare, segmento principale (in termini quantitativi) della telemedicina.
L’assistenza domiciliare “tradizionale”, non adeguatamente supportata dalle tecnologie, difficilmente riesce a garantire prestazioni equivalenti all’assistenza ospedaliera a prezzi inferiori. Lo dimostrano parecchi studi, soprattutto internazionali (Spagna, Francia, Canada), condotti prima di dar vita a un piano intensivo di telemedicina.
La teleassistenza domiciliare di tipo “telericovero”, qui intesa come supporto tecnologico all’ospedalizzazione domiciliare, consente la realizzazione di economie gestionali significative a invarianza di qualità del servizio reso al paziente: in funzione delle differenti patologie, la gestione di un paziente “ricoverato” in un “reparto virtuale” costa al SSN dai 140 ai 260 euro/giorno. Decisamente molto meno di quanto costa un ricovero ospedaliero, anche nel migliore dei casi.

I conti tornano, quindi. E quando tornano, verrebbe da dire che il mercato si sviluppa. Le premesse ci sono tutte, per uno sviluppo del business correlato ai servizi di telemedicina.

A sbagliare, a questo punto, non può essere che l’offerta.

Fino a quando si continuerà a pensare alla telemedicina come a un “prodotto tecnologico”, fino a quando i vendor di tecnologie continueranno a illudersi che dall’altra parte del banco del mercato ci siano Regioni, ASL e ospedali disposti a comprare hardware, software e progetti, non andremo da nessuna parte.
Lo hanno capito molto bene i principali Telemedicine Service Provider (TSP) internazionali, che si stanno timidamente affacciando in casa nostra per cogliere un’ottima opportunità. Sondaggi, carotaggi di mercato, per ora: ma non è che l’inizio.
La catena del valore della telemedicina, così come l’abbiamo pensata sinora, non funziona più. O meglio: non ha mai funzionato, solo che non ce ne siamo potuti accorgere in un bailamme di sperimentazioni finanziate a pié di lista.
I vendor di tecnologie per la telemedicina hanno di fronte a loro un bivio: insistere nel sognare un mercato che non esiste, fatto di compratori pubblici interessati ad acquistare tecnologie per poi assemblare servizi ai pazienti, oppure diventare interlocutori dei TSP nazionali e internazionali e giocarsi la partita in seconda fila.

Che è un po’ come dire: meglio la seconda fila di una partita di Champions che la Tribuna Vip allo stadio di Frosinone.
Con tutto il rispetto per il Frosinone.

Senza dimenticare il problema della banda: e qui, ovviamente, la palla è in mano alle telco. Le quali, non a caso, guardano con sempre maggiore interesse alla sanità come a un mercato promettente.
Telecom Italia, dopo essere partita forse troppo in anticipo qualche anno fa, deve riprendere il posizionamento che le compete. Anche perché può mettere in campo una serie di asset collaterali non secondari, a partire dal presidio capillare del territorio attraverso i suoi negozi.
L’aspetto logistico correlato alla gestione della telemedicina su utenti “one shot” (situazioni di post-acuzie) rappresenta infatti un problema non banale, e non risolvibile da soggetti frammentati sul territorio se non a pena della profittabilità.
E se non sarà Telecom, sarà qualcun altro.

Perché davvero, nel 2016, la telemedicina partirà. L’alternativa è il salto del banco del Servizio Sanitario Nazionale. E non ce lo possiamo permettere.

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