consigli per il cambiamento

Cosa c’è e cosa ci manca per trasformare la PA col digitale

Nessuno ha una ricetta mirabolante in tasca per completare, finalmente, la trasformazione digitale della PA e del Paese. Forse, allora, bisognerebbe concentrarsi di più su quel paio di ingredienti che mancano per accelerare il processo di cambiamento con quello, molto, che si ha a disposizione. Vediamo quali sono

Pubblicato il 13 Giu 2018

Andrea Nicolini

Project Manager per TrentinoSalute4.0

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Perché il digitale riesca a svolgere la funzione di facilitatore del cambiamento, sarà fondamentale che la responsabilità del coordinamento politico dell’attuazione delle politiche digitali sia attribuita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o ad altra figura del governo delegata, perché il Paese ha un bisogno estremo di fare squadra sul digitale. Pur non avendo un piano definito, il governo del cambiamento potrebbe garantire quel cambio di marcia il Paese tenta da tempo senza troppo successo, evitando soprattutto quell’eterno ripartire da zero o rivoluzione che troppo spesso ha limitato l’efficacia dell’azione. Ecco quindi qualche spunto operativo indirizzato a chiunque dovrà e potrà agire nell’ambito delle politiche digitali.

Quello che non si dovrebbe fare

In questo senso potremmo facilmente subito dire cosa non serve.

  • Seppur non sia ottimale, è inutile pensare di aggiornare di nuovo o riscrivere il CAD, la sproporzione fra il tempo e lo sforzo amministrativo richiesto per apportare le modifiche e i risultati ottenuti, è sotto gli occhi di tutti. Un codice esiste e quindi concentriamoci sul farlo rispettare, pur nei limiti e nelle contraddizioni che contiene.
  • La stessa cosa per la strategia del digitale nella PA, esiste il piano triennale, con scorrimenti annuali, lasciamo che gli stessi maturino anno per anno migliorandolo, evitiamo assolutamente di pensare di riscriverlo, concentriamoci anche in questo caso sulla sua attuazione.

Il contesto operativo del digitale

Non è necessario fare altro? Certo che sì: ci sarebbe molto altro da fare, ma per capire bene cosa serve, sarebbe opportuno provare a descrivere in modo abbastanza organico quale sia il contesto complessivo che insiste su un’amministrazione pubblica o un’impresa che deve attuare il cambiamento al digitale, evitando la visione teorica, ma descrivendo la situazione reale operativa.

Esattamente cosa deve tenere presente nel suo operare quotidiano un responsabile della trasformazione digitale di una PA o più semplicemente un responsabile di sistema informativo o come si diceva una volta un responsabile CED? Qual è il suo contesto di riferimento?

Di seguito un elenco puntato di quelli che sono i suoi riferimenti principali:

  • In primis ha la realtà della propria pubblica amministrazione o impresa, che in generale sarà abbastanza informatizzata, magari con qualche settore ancora refrattario quasi in toto al digitale e un vertice dell’amministrazione o dell’impresa che se l’ha nominato come responsabile della trasformazione digitale un interesse per il cambiamento l’ha, anche se ragionevolmente non è fra gli interessi primari;
  • Una serie di norme e regolamenti da attuare da far tremare i polsi, fra questi i principali, ma non unici sono: il CAD (per le PA, ma non solo), esageratamente ampio e probabilmente attuato solo in minima parte; il piano triennale per l’informatica nella Pubblica amministrazione, una vera roadmap per lo sviluppo dei sistemi informativi, ma costruito sull’esistenza di presupposti che non sempre ci sono o non sono completi, come una rete a banda ultra larga, un mercato cloud e un insieme di piattaforme abilitanti (Spid, PagoPA, ecc.), inoltre prevede una serie di linee guida, circolari o regole tecniche che solo in parte sono state emanate al termine del primo anno; il GDPR, di recente applicazione, con un vecchio impianto per la privacy, da rivedere e adattare e quindi da cambiare con tutti gli annessi e connessi; le norme sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza (per la PA) con un forte impatto sulla trasformazione digitale e infine un vincolo alla spesa ICT imposto dalla legge finanziaria per la PA e dalla crisi per le imprese;
  • Una serie di strumenti per la trasformazione digitale inadeguati alla missione, soprattutto per le piccole amministrazioni (solo PA): come gli accordi quadro e le gare delle centrali d’acquisto, quasi sempre pensate per le grandi amministrazioni e difficilissime da attuare nelle piccole; più in generale l’intero codice degli appalti non sembra poter accompagnare agilmente la trasformazione digitale, soprattutto in logica cloud; l’assenza di strumenti operativi per agire nell’amministrazione e premiare chi maggiormente adotta il digitale e infine la quasi impossibilità di finanziare azioni formative per la crescita delle competenze digitali o l’acquisizione diretta di nuove competenze;
  • Un mercato ICT per la PA e per le imprese che per troppi anni ha preferito monetizzare le soluzioni realizzate, invece che supportare l’innovazione, accontentandosi della fetta di mercato conquistata e fidelizzata, piuttosto che favorire una vera concorrenza che potesse stimolare un rinnovo costante dell’offerta e quindi anche una maggiore attenzione al digitale del settore privato che al pari della PA ha accumulato significativi ritardi.

In questa situazione affrontare la sfida quotidiana della trasformazione digitale rischia di diventare un’impresa titanica, ma ancora una volta il bicchiere è anche mezzo pieno, le norme ci sono, una strategia nazionale anche ed una sensibilità sempre maggiore verso il digitale a tutti i livelli è abbastanza evidente.

Gli ingredienti mancanti per la trasformazione digitale

Senza avere la presunzione di sapere esattamente cosa sia necessario fare e senza semplificare troppo con ricette mirabolanti, credo di poter affermare che in questi ultimi venti anni di trasformazione digitale in Italia quello che è sempre e costantemente mancato sono due ingredienti: un vero piano di accompagnamento delle norme e regole emanate con formazione e acquisizione di nuove competenze e una vera capacità di fare sistema dal livello centrale fino alle piccole amministrazioni e imprese del territorio.

Formazione e nuove competenze

La Pubblica Amministrazione e le imprese hanno un bisogno incredibile di nuove giovani risorse professionali che con grande energia ed adeguate competenze sappiano aiutare ed accelerare il lento e continuo processo di cambiamento in atto, un piano in tal senso nella PA non è più rinviabile e dovrebbe avere la precedenza rispetto alle normali politiche di rinnovo del personale, perché ridarebbe slancio e speranze anche ad una (forse due) generazioni di giovani che da tempo non vedono più, se non in rarissimi casi, la Pubblica Amministrazione come un settore importante e strategico nel quale investire la propria professionalità.

Fare sistema, ascoltare, accompagnare

Il digitale in Italia ha però anche bisogno di trovare un meccanismo nuovo e sostenibile di fare sistema, anche fra pubblico e privato, perché i responsabili della trasformazione digitale troppo spesso sono soli, non sono messi in rete tra loro e non hanno luoghi nei quali contribuire con le loro esperienze al cambiamento, eppure sono loro gli attori in prima linea e il paese dovrebbe essere capace di ascoltarli. Perché se non vi è comunicazione, non vi è collaborazione, non vi è cooperazione e soprattutto non si arriva davvero al cambiamento senza una vera capacità di ascolto a tutti i livelli. Insomma ascoltare ed accompagnare, ma forse questa sarebbe già una piccola rivoluzione.

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