human smart city

Trasformare le nostre città in “human smart city”: il ruolo cruciale degli enti locali

L’ultimo miglio della digitalizzazione è rappresentato dal catasto, dall’urbanistica, dall’edilizia, dai servizi sociali, dall’edilizia scolastica, dalla sicurezza urbana. Dalla digitalizzazione dei servizi dei Comuni passa quindi la trasformazione di tutto il Paese. E il PNRR è occasione unica per colmare i gap

Pubblicato il 20 Dic 2022

Antonio Lombardo

Associate Partner at Ernst & Young. Ernst & Young

Foto di Tumisu da Pixabay

La pandemia, il cambiamento climatico e la crisi energetica stanno cambiando il rapporto tra città e cittadini. L’EY Smart  City Index ci mostra chiaramente una voglia diffusa di socialità nelle città e una disponibilità a partecipare ai processi decisionali e alle scelte che riguardano il futuro della città. Questa osservazione è confermata da una recente indagine di EY in collaborazione con SWG su un campione di 1.200 cittadini residenti nei comuni capoluogo di provincia da cui emerge che l’84% degli intervistati vuole essere coinvolto nei processi decisionali sul futuro della città. In molti casi, inoltre, i cittadini si dichiarano pronti a modificare i propri comportanti (ad esempio l’88% rinuncerebbe all’auto personale) per migliorare le condizioni della città.

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Il paradigma di “Human Smart City

Per identificare la città del futuro, un futuro ormai molto prossimo, adottiamo il paradigma di Human Smart City, per indicare la città che riprogetta infrastrutture e servizi coniugando lo sviluppo tecnologico e la sostenibilità con la centralità del cittadino.

Il lock-down, lo smart working, la DAD, lo streaming, l’eCommerce e gli altri cambiamenti verso cui cittadini e lavoratori sono stati indirizzati, non hanno solo confermato l’importanza delle nuove tecnologie, ma soprattutto ci hanno spinto e ci stanno spingendo a ridisegnare tempi e spazi nelle città, consentendo di rimettere la qualità della vita del cittadino al centro dell’attenzione delle Amministrazioni. Prendiamo come esempio lo smart working. Nella richiamata indagine EY-SWG oltre il 90% degli intervistati valuta positivamente l’esperienza del lavoro da remoto, in termini di qualità delle connessioni, rispetto delle condizioni di sicurezza, strumenti informatici a disposizione, tranquillità della postazione di lavoro. Ciò significa che i cittadini si sono generalmente abituati e apprezzano l’idea di lavorare da casa tanto che il 40% del campione ha mantenuto modalità di lavoro ibride e il 25% è disponibile a separare la propria residenza dalla sede di lavoro, pur di ottenere benefici in termini di qualità della vita. L’idea del disaccoppiamento tra il luogo in cui è situata l’azienda e il luogo di lavoro delle persone è ormai generalmente accettata e questa nuova mentalità non è neutra per i Comuni. Al contrario, richiama i Comuni sulla necessità di lavorare sulla propria attrattività per presentarsi come territorio in cui si vive bene e in cui si può lavorare bene a prescindere da dove sia situata la propria azienda.

Le opportunità della trasformazione e come coglierle

È importante che le Amministrazioni locali non considerino queste osservazioni solo sul piano sociologico, ma sappiano cogliere le opportunità insite in questa trasformazione. Infatti, che cos’è la human smart city se non la città italiana, generalmente di dimensione piccola e media che si presta meglio di altre a valorizzare la componente umana, con particolare riferimento alla prossimità dei servizi pubblici, all’accorciamento delle distanze, alla promozione dell’economia circolare. I cittadini italiani danno sempre più valore alla vivibilità delle loro città e alla prossimità dei servizi, intesa come facilità nel raggiungerli e nell’utilizzarli. Si fa sempre più forte l’esigenza di avere una città “a misura di persona” in cui vivere e lavorare. Il tema della città dei 15 minuti (uno spazio urbano progettato per consentire al cittadino di raggiungere entro 15 minuti da casa tutto quello che gli serve per vivere) risponde proprio a questa nuova esigenza. Il concetto, amplificato da Parigi e ripreso da molte città nel mondo, ispira molte iniziative di trasformazione urbana in corso anche in Italia, basate sull’accorciamento delle distanze, sulla valorizzazione delle iniziative di quartiere, sulla prossimità come elemento di sostenibilità.

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La città italiana, mediamente di piccole e medie dimensioni, è quella che meglio può interpretare questo nuovo paradigma e da “inseguitrice” di un modello di metropoli orientata esclusivamente alle tecnologie (la nuova città asiatica per eccellenza) può diventare un modello di riferimento, in cui la tecnologia costituisce la base per fornire un’esperienza di vita e di lavoro migliore ai propri cittadini e city users.

Anche una lettura attenta delle dinamiche demografiche italiane conferma le potenzialità in termini di attrattività della piccola città italiana. Non è un caso che mentre in tutto il mondo procede incessante il fenomeno dell’inurbamento e della crescita dimensionale delle città, nel nostro Paese si stia affermando un fenomeno inverso: le 15 città con più di 200.000 abitanti, dopo una forte crescita nel dopoguerra[1], successivamente perdono progressivamente popolazione (- 1,8 milioni di abitanti). Nello stesso periodo, le città più piccole (10-50.000 ab.) guadagnano 6 milioni di abitanti[2].

Le città del futuro: di medie dimensioni, connesse e digitali

Non solo i cittadini guardano con attenzione alle realtà più piccole, ma anche il decisore pubblico. Per il periodo di programmazione 2021-2027 infatti, l’Agenzia della Coesione Territoriale – e segnatamente l’Autorità di Gestione del PON Città Metropolitane – ha previsto un sostegno finanziario dedicato alle città di medie dimensioni del Sud (oltre 334 milioni di euro[3]) al fine di promuovere, in queste aree, la realizzazione di azioni coordinate per l’inclusione e l’innovazione sociale, volte al miglioramento della qualità della vita e alla riduzione del disagio sociale nei contesti periferici e marginali, attraverso il coinvolgimento attivo dei territori nel pensare interventi che siano in linea con gli specifici bisogni locali.

Se vogliamo davvero presentare al mondo il nostro assetto territoriale, fatto perlopiù di città medie e piccole, quale modello di riferimento di città del futuro (human smart city come abbiamo detto), la prima cosa da fare è rendere i nostri territori completamente connessi e digitali. Come è noto, la condizione di partenza non è ottimale, l’Italia si colloca al 18° posto sui 27 Paesi UE come livello di digitalizzazione (DESI 2022) e al 19° se guardiamo al solo segmento dei servizi pubblici. Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che questo gap si recuperi solo con l’infrastrutturazione digitale realizzata dal Governo centrale, questa rappresenta senza dubbio la necessaria precondizione, ma la sfida del digitale si vince sui servizi e soprattutto sui servizi locali, attraverso cui portiamo la digitalizzazione nel punto più vicino a cittadini e imprese. L’azione del governo centrale è imprescindibile per diffondere gli strumenti abilitanti che devono essere standard e ugualmente fruibili sul territorio nazionale (es. identità digitale, sistema dei pagamenti elettronici) e per sviluppare l’interoperabilità tra i sistemi della PA, realizzando così quell’omogeneità nei servizi pubblici digitali che rendano effettivo il principio dell’“once only” (il cittadino deve poter fornire una sola volta le proprie informazioni alla Pubblica Amministrazione).

L’indispensabile azione delle amministrazioni locali

L’azione dei territori è essenziale perché ci dà “la messa a terra”, collega quegli strumenti trasversali ai processi delle singole Amministrazioni locali consentendo di ottenere i risultati migliori per i cittadini e le imprese di quel determinato territorio. L’”ultimo indispensabile miglio” della digitalizzazione è rappresentato dal catasto; dall’urbanistica; dall’edilizia; dalla protezione civile; dai rifiuti; dai tributi; dai servizi sociali; dall’edilizia scolastica; dalla sicurezza urbana; dall’anagrafe. Dalla digitalizzazione dei servizi in capo ai Comuni passa quindi la digitalizzazione del Paese, il Governo centrale deve assumerne piena consapevolezza e agire di conseguenza. D’altra parte, i Comuni stessi devono abbandonare qualunque tentazione di considerare la digitalizzazione dei servizi pubblici locali come “un progetto bandiera” appannaggio delle città metropolitane, una sorta di “lusso” o di “sport per ricchi”. Tutti i comuni italiani, fino al più piccolo borgo delle nostre numerose e suggestive aree interne, devono agire con convinzione, consapevoli dell’importanza della partita che stanno giocando.

Dai risultati dell’indagine EY-SWG sembra che questa importanza sia ben compresa dai cittadini che dichiarano di desiderare sempre più servizi comunali accessibili online (voto 8,2 in una scala da 1 a 10), nettamente preferiti a quelli dello sportello fisico anche laddove l’ufficio di riferimento sia posto molto vicino alla propria abitazione (voto 7,3). L’aspettativa dei cittadini va anche oltre, nella direzione di una completa trasformazione di tutti i servizi in ottica smart city: vengono richiesti infatti sistemi pubblici per garantire energia sostenibile e rinnovabile (62% degli intervistati), sistemi di illuminazione smart per il risparmio energetico (61%), pannelli informativi su traffico, condizioni meteo, attività culturali ed eventi (50%).

L’opportunità del PNRR per colmare i gap digitali

Guardando all’offerta dei Comuni emerge ancora, pur in un quadro di costante miglioramento (completamento dell’on boarding di tutti i comuni italiani su ANPR; incremento nell’utilizzo dell’identità digitale – SPID/CIE – e nell’uso dell’app IO) un sostanziale divario tra le grandi città e il resto delle Amministrazioni. Lo mostra l’EY Smart City Index, che sulla digitalizzazione indica un valore doppio delle grandi città rispetto alle piccole, ma anche altre importanti analisi[4] da cui si evince che al diminuire della dimensione della città diminuiscono i servizi on line, il numero di PEC e di firme digitali assegnate, il ricorso a SPID e all’app IO. Il PNRR offre la possibilità di recuperare questo gap: dei circa 7 miliardi di investimento per la digitalizzazione della PA, rileviamo che circa 2.5 miliardi sono destinati ai Comuni con bandi già chiusi o in corso. Il prezioso lavoro di ANCI a supporto del Governo per semplificare e standardizzare le modalità di accesso ai finanziamenti aiuta i Comuni più piccoli e meno attrezzati che devono a questo punto considerare la loro partecipazione a questi bandi come una “necessità strategica” per il Paese.

Note

  1. Tra il 1951 e il 1971 passano da 8,2 a 11,5 milioni di abitanti.
  2. Passando da 15 a 21 milioni di abitanti.
  3. Fonte: sito web PON Metro, Sintesi del PN contenuta nel Rapporto preliminare ambientale http://www.ponmetro.it/home/programma/come-lavora/valutazione/vas-pn-metro-plus-e-citta-medie-sud-2021-2027/
  4. Banca di Italia, Informatizzazione nelle Amministrazione locali, gennaio 2022

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