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Trasformazione digitale, Galdi: “E’ tempo di consolidare coinvolgendo i territori”

Per poter garantire una diffusione omogenea ed effettiva dell’innovazione nei territori è cruciale innescare un processo di contaminazione e supporto tra Pubbliche Amministrazioni. Vediamo i problemi aperti e le possibili soluzioni, per lo sviluppo della PA digitale, fibra e 5G

Pubblicato il 08 Mag 2019

Antonella Galdi

Vice Segretario Generale, ANCI

domicilio-digitale

L’Italia non ha bisogno di nuove norme o strategie per la digitalizzazione della PA. Fin dagli anni ’90 erano infatti stati fissati obiettivi ben chiari: semplificazione, interoperabilità ed integrazione. A non essere sempre chiaro e coerente, negli ultimi due decenni, è stato il percorso intrapreso per raggiungerli: ora è il tempo di consolidare le attività avviate e trasformare realmente la nostra macchina amministrativa.

E’ pertanto apprezzabile che il Piano Triennale per l’informatica nella PA 2019 -2021 – documento molto complesso, articolato, ambizioso – pur confermando il modello complessivo precedente, introduca finalmente con maggiori elementi di concretezza e pragmatismo: procedere con maggiore determinazione alla razionalizzazione dei data center pubblici, concentrare il lavoro sugli Open Data perché siano in grado di generare impatto sociale ed economico, ritornare ad occuparsi delle Città Intelligenti, ora con un approccio più ampio denominato “Smart Landscape“. Tutto questo nel nuovo Piano c’è e, ancor più importante, troviamo finalmente la consapevolezza di dover prevedere misure di accompagnamento per le amministrazioni comunali affinché possano realmente raggiungere questi obiettivi.

Facciamo allora il punto sui principali progetti nazionali e proviamo a indicare delle possibili soluzioni per garantire una diffusione il più possibile omogenea dell’innovazione nei territori, tenendo conto delle forti disparità che li caratterizzano.

Spid, Cie, Anpr, PagoPA, fattura elettronica: lo stato dell’arte

Partiamo allora dai dati relativi ai principali progetti nazionali, perché ci chiariscono l’urgenza di dover intervenire immediatamente sulle misure di supporto (ed evitarci il prossimo anno il commento ad un nuovo Piano, sempre più ambizioso e sempre più lontano dalla realtà).

Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente: circa 2.000 i Comuni migrati, per una popolazione di circa 22 milioni di abitanti.

Carta d’Identità Elettronica: ormai tutti i Comuni italiani sono dotati di almeno una postazione per la richiesta di emissione della CIE al Ministero dell’Interno e ad oggi sono state emesse circa 9.000.000 di carte.

PagoPA: la Piattaforma nazionale dei Pagamenti Elettronica conta circa 7.000 Comuni aderenti di cui il 60% attivo e operativo.

Fatturazione Elettronica: 119 milioni di fatture gestite, per un totale di circa 23.000 Amministrazioni censite sull’Indice delle Pubbliche Amministrazioni.

Identità digitale SPID: 4.000 Amministrazioni attive per un totale di circa 3.800.000 identità erogate.

Sicuramente il trend è positivo, ma c’è ancora tanto lavoro da fare per far sì che tutti i Comuni siano a regime su questi asset abilitanti. Le disparità territoriali sono decisamente forti, perché sono enormemente diversi i livelli di partenza dei singoli enti sia sul fronte infrastrutturale sia in termini di competenze interne.

È allora necessaria un’azione sinergica tra PA centrale e Regioni affinché nei territori sia garantito lo stesso livello di servizio digitale di base. Perché l’evoluzione degli stili di vita e delle abitudini di fruizioni dei servizi è sempre più rapida e le risposte da parte degli enti pubblici devono tener conto di questi cambiamenti.

Il modello “Once and only” non è più rinviabile

Possibili soluzioni per una innovazione omogenea

Cosa si può fare?

E’ cruciale innescare un processo di contaminazione e supporto tra Pubbliche Amministrazioni per poter garantire una diffusione omogenea ed effettiva dell’innovazione nei territori: prendere spunto dai modelli efficaci che sono già operativi, divulgarli e supportare le amministrazioni attraverso l’aggregazione territoriale sono i passaggi chiave per integrare anche i Comuni in condizioni di maggiore fragilità, sia in termini di competenza, sia di risorse. Prendendo spunto dalle linee di intervento individuate nel Piano per il coordinamento sul territorio, stiamo definendo con AGID una collaborazione istituzionale che possa valorizzare il ruolo di alcune città medie in un’ottica di funzione di servizio ai Comuni limitrofi e cominciare a sperimentare i cosiddetti Laboratori digitali per i territori a partire dai piccoli Comuni.

Dobbiamo sempre ricordare, infatti, che il nostro Paese si caratterizza per le dimensioni contenute della maggioranza dei suoi Comuni e delle imprese che costituiscono il suo tessuto produttivo: bisogna quindi imparare a coniugare in base a questa realtà i grandi obiettivi strategici dell’innovazione.

In questo contesto, l’idea di sperimentare il Servizio Civile digitale per supportare gli enti che non hanno a disposizione personale con competenze adeguate, sia per la formazione, sia per un servizio di assistenza, è innovativa e può coadiuvare altre iniziative più strutturate in quei territori. 

La sfida posta dal Piano triennale non ha come snodo fondamentale solo l’impatto che deve generare per i piccoli Comuni ma, necessariamente, deve occuparsi di supportare e sviluppare l’innovazione degli strumenti amministrativi.

La partnership pubblico privata rimane una modalità chiave per le Pubbliche Amministrazioni per poter fare realmente innovazione. In quest’ambito, ormai da alcuni anni, si sono sviluppati  strumenti innovativi che dovrebbero favorire lo sviluppo di servizi più corrispondenti alle reali esigenze della comunità e degli enti: penso agli appalti pre-commerciali, al dialogo precompetitivo e a tutte quelle nuove forme di relazione con il mercato che, in alcuni ambiti, potrebbero snellire le procedure di acquisizione di servizi innovativi.

Purtroppo le norme cosi come sono state congegnate rendono di fatto arduo e rischioso l’utilizzo di questi strumenti: sarebbe quindi utile un serio ripensamento delle disposizioni previste nel Codice degli Appalti e dei profili di responsabilità amministrativa, perché senza strumenti operativi snelli ed intelligenti le amministrazioni pubbliche, nonostante tutte le tecnologie disponibili, non potranno mai perseguire la strada dell’innovazione.

Il nodo delle infrastrutture e dei servizi ultrabroadband

Vorrei ora fare alcune considerazioni rispetto ad altre azioni strategiche che sono strettamente connesse con l’attuazione dell’agenda digitale e riguardano il dispiegamento infrastrutturale della banda ultra larga,  precondizione abilitante per i servizi digitali.

Il Piano BUL, dopo alcuni ritardi iniziali, sta ora procedendo con regolarità. Nei cluster C e D (aree bianche a fallimento di mercato) sono stati ormai attivati più di 1.000 cantieri per la posa della fibra ottica. Dal punto di vista procedurale, a detta degli stessi operatori i Comuni stanno registrando buone performance in termini di modalità e tempistiche di rilascio delle autorizzazioni, mentre rimangono alcune criticità nei casi in cui c’è la necessità di andare in conferenza dei servizi laddove bisogna acquisire pareri da più enti. E’ dunque necessario arrivare quanto prima alla definizione della modulistica unica per le comunicazioni elettroniche per migliorare il lavoro dei SUAP.

Insieme all’avanzamento dei lavori di infrastrutturazione, però, sta emergendo il tema dell’attivazione dei servizi: cominciano ad essere numerosi i Sindaci che ci segnalano che, a fronte della conclusione dei lavori di posa della fibra ottica, gli operatori non attivano comunque offerte commerciali per offrire connettività alla cittadinanza, alle imprese e alle PA.

Lo stesso COBUL (il Comitato sulla banda ultra larga) ha sollevato il problema qualche mese fa, sottolineando come in circa 150 Comuni interessati da precedenti interventi diretti l’infrastruttura BUL è stata completata, ma si è ancora in attesa della fornitura di servizi agli utenti. Sono situazioni localizzate in diverse aree del Paese, in particolare Abruzzo, Calabria e Sardegna. Cito per tutti i casi del Comune di Pompu, dove non si è riusciti ad attivare una linea per un museo locale con annesso bed&breakfast che costituisce un’occasione di sviluppo per quel territorio, o quello di Micigliano, Comune del reatino all’interno del cratere sismico, dove non c’è addirittura il servizio di telefonia mobile, cruciale per le situazioni di emergenza.

Si tratta di un aspetto delicato che, oltre a privare molti cittadini di diritti fondamentali, mina la possibilità di raggiungere gli obiettivi definiti a livello europeo e nazionale e di conseguenza l’efficacia dell’importante investimento di risorse pubbliche fatto con il piano BUL stesso. Oltre all’immaginabile malcontento generato nella popolazione, è una criticità che si riverbera direttamente nella stessa azione dei Comuni coinvolti, che non sono messi nelle condizioni di rispettare i sempre più numerosi adempimenti legati ai progetti dell’agenda digitale e che, inoltre, vengono esclusi anche dalla possibilità di sfruttare le opportunità offerte da specifici programmi nazionali o europei, quali ad esempio WiFi4EU, che prevede un meccanismo a sportello dove vince chi si candida per primo, o Piazza WiFi Italia che, a fronte della fornitura degli apparati, prevede che il Comune garantisca la connettività per tre anni. Connettività che appunto alcuni non hanno a disposizione.

Per ovviare a questo problema, su cui inevitabilmente impatta anche la particolare fase che sta vivendo il settore con una concorrenza sui prezzi sempre più forte, riteniamo necessaria un’azione di supporto alla domanda espressamente pensata per le aree a fallimento di mercato (i famosi voucher, dati da anni per imminenti, ndr.) o un intervento regolatorio che stimoli l’attivazione dei servizi da parte degli operatori.

Il 5G e i Comuni

Considerato che il Piano ha ridato spazio all’approccio Smart delle città e dei territori, vorrei concludere con una riflessione sul 5G, un’evoluzione che impatterà direttamente sulle città, sui loro servizi, sulla qualità della vita.
Sarebbe opportuno che su questo aspetto si sviluppasse una riflessione ampia, per non far sì che l’evoluzione tecnologica proceda a velocità troppo differente rispetto alla capacità del sistema pubblico di gestirla.
L’aspetto più immediato che riguarderà i Comuni sarà comunque di tipo operativo, e riguarderà l’aumento esponenziale delle richieste di installazione di apparati radio necessari a strutturare la nuova rete.

Per affrontare in maniera il più possibile ordinata questo aspetto – mettendo anche nelle condizioni i Sindaci di rispondere in maniera puntuale e informata alle paure relative all’aumento dei campi elettromagnetici che alcuni comitati cittadini stanno già manifestando nei territori coinvolti dalle prime sperimentazioni – crediamo sia necessario un aggiornamento delle
norme che regolano il settore, mettendo in condizione i Comuni di attivare strumenti di pianificazione che possano contemperare con equilibrio il diritto alla fruizione di servizi avanzati, quello alla salute e quello alla concorrenza fra operatori

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