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Trasformazione digitale, l’Italia Paese delle norme disattese: da dove (ri)partire

Sono molte le leggi che fanno dell’Italia un Paese avanzato in termini di digitale. Peccato non siano attuate o lo siano solo in parte. Prima di rivoluzionare tutto, bisognerebbe quindi fare una ricognizione dell’esistente e riflettere su come rendere effettivo il lavoro svolto dal Legislatore in questi anni

Pubblicato il 28 Ott 2019

Eugenio Prosperetti

Avvocato esperto trasformazione digitale, docente informatica giuridica facoltà Giurisprudenza LUISS

intelligence - SIpEIA

L’Italia è un Paese dotato di una legislazione avanzatissima in fatto di innovazione e digitalizzazione, peccato che molte delle norme, per quanto siano da tempo Legge vigente e cogente, non siano attuate o lo siano solo in parte. 

Vediamo allora brevemente alcuni esempi di norme della trasformazione digitale esistenti ma “ignorate” o quasi.

Cosa prevede la legislazione vigente

L’attuale legislazione, ad esempio, consente allo Stato di:

  • rendere digitale ogni aspetto del rapporto con il cittadino,
  • eliminare del tutto la carta nella PA, che rende praticamente illegale,
  • esonerare il cittadino dal conservare qualsivoglia copia di ciò che la Pubblica Amministrazione mantiene nei propri archivi elettronici,
  • fornire al cittadino un referente per le problematiche connesse al rapporto digitale con la PA in ogni ente,
  • utilizzare piattaforme centrali federate per erogare i servizi al cittadino che accede ai medesimi attraverso una identità elettronica, utilizzabile anche dalle imprese per erogare i propri servizi agli utenti,
  • utilizzare i pagamenti elettronici come mezzo, pressoché esclusivo di pagamento della propria Pubblica Amministrazione,
  • offrire ai visitatori esteri accesso ai propri servizi pubblici attraverso le identità digitali dei rispettivi Paesi ed è caratterizzato da servizi sanitari erogati sulla base di cartelle elettroniche immediatamente disponibili a qualsiasi medico curante e che raccontano tutta la storica clinica del paziente.

Leggi che, dicevamo, sono attuate, quando lo sono, soltanto in parte e per il consueto problema italiano per cui si approva la norma generale e il regolamento di attuazione non arriva mai, pur essendo questa abitudine una parte del problema.

Perché le leggi sul digitale sono disattese

Alcune volte succede che le norme sopra sommariamente descritte sono state in tutto e per tutto approvate e sono pienamente vigenti. Esse vengono però ignorate in un duplice senso: in un primo senso succede che molti soggetti tenuti ad applicare le norme non ne conoscono l’esistenza, nel secondo senso – ben più grave – succede che quelli che ne conoscono l’esistenza e, addirittura, quelli che sarebbero tenuti ad applicare la norma innovativa, semplicemente evitano di farlo; alzano le spalle e guardano dall’altra parte, facendo finta che essa non esista e, se interrogati al riguardo -come aveva fatto Paolo Coppola con la sua coraggiosa Commissione Parlamentare di Inchiesta – sostengono che si tratta di un qualcosa di “irrealizzabile”, “futuribile”, o che bisognerebbe valutare come attuare la norma, che però è già in vigore da anni.

È un fastidioso atteggiamento trasversale che accomuna soggetti appartenenti a categorie professionali diverse tra loro che si ritrovano uniti nella avversione alla trasformazione digitale o nella convinzione di non esserne parte e che trova esplicitazione in provvedimenti amministrativi, sentenze o semplice inerzia provvedimentale e procedurale.

Gli italiani e l’innovazione tecnologica

Qualcuno potrà dire che l’Italia e gli italiani, per la propria indole, non sono avvezzi a radicali trasformazioni tecnologiche e dunque ad essi non possono essere imposte norme radicalmente trasformative di prassi consolidate, quasi che ci fosse una sorta di costituzione materiale dell’amministrazione non digitalizzata.

Vorrei radicalmente contestare questo assunto.

  • Siamo il popolo che, tra i primi, ha affrontato senza traumi lo switch-off della TV analogica in un tempo molto ristretto ed ha abituato gli ultranovantenni all’uso di un oggetto sconosciuto chiamato decoder TV;
  • appena pochi mesi fa, abbiamo affrontato senza (eccessivi) traumi la rivoluzione, profondissima, della fatturazione elettronica e un processo consolidato come la fatturazione, in pochi mesi, si è radicalmente trasformato, nonostante alcune trasmissioni TV che cercavano di descriverla come un fenomeno apocalittico e che avrebbe determinato la fine del mondo conosciuto se veramente attuata.
  • La categoria professionale cui appartengo – gli avvocati – tendenzialmente cauta e conservativa nel recepire l’innovazione, ha affrontato e recepito il passaggio al processo telematico, nonostante un sistema di indubbia complessità e molto poco user friendly.
  • Le scuole sono quasi tutte passate al Registro Elettronico, nonostante le notevolissime difficoltà organizzative di molte sul piano informatico e le famiglie si sono abituate a tale innovazione.

D’altro canto, l’Italia, dove la carta di credito si usa (ancora) molto poco, è uno dei Paesi con più elevata diffusione di smartphone ed è già pratica comune nelle grandi città ordinare cibo e chiamare taxi da app.

In realtà l’Italia ha un potenziale inespresso e attende solamente che le norme della trasformazione digitale, molte delle quali già esistenti, divengano realmente applicate.

Per far ciò occorre una capillare opera di informazione e occorre percepirne chiaramente la finalità ed il vantaggio reale per il cittadino, che non deve sentirsi lo sperimentatore di un sistema su cui l’Amministrazione è incerta o che viene utilizzato a macchia di leopardo.

È per questo che, vista la (incoraggiante) creazione di un Dipartimento per l’Innovazione e la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio, con a capo – stavolta – un vero e proprio Ministro, il compito di rendere concrete le norme esistenti potrebbe trovare, stavolta, vera attuazione. Non bisogna però commettere l’errore di buttare – come fu fatto in passato – nuovamente tutto all’aria e riscrivere da capo la normazione.

Da dove (ri)cominciare

Vediamo allora brevemente alcuni esempi di norme della trasformazione digitale esistenti ma “ignorate” o quasi.

Il domicilio digitale

Anzitutto il domicilio digitale (art. 3-bis comma 4 del CAD).

La situazione è assai curiosa perché i cittadini che per motivi professionali hanno dovuto registrare la propria PEC in un registro pubblico (INI-PEC) hanno già ufficialmente domicilio digitale ma, tale domicilio, che sarebbe obbligatorio per tutte le Amministrazioni, è abitualmente frequentato solo dall’Agenzia delle Entrate. Cosa aspettano le altre Amministrazioni ad utilizzarlo?

Perché la Corte dei Conti non si interessa dello spreco di carta e soldi per notifiche che le Amministrazioni che potrebbero usarlo compiono, evitando di acquisire il domicilio digitale già dichiarato e continuando ad inviare comunicazioni cartacee o presso i propri portali? Alcuni comuni e scuole addirittura sembra che usino sistemi di chat proprietari, come Whatsapp e similari per comunicare con l’utenza, in totale spregio alla normativa.

Per rendere operativo il domicilio digitale, i comuni (specie quelli già passati in ANPR) dovrebbero dare ai propri cittadini la possibilità di comunicarlo.

Le Amministrazioni dovrebbero invece imparare e incorporare nelle proprie procedure la verifica del medesimo. Nessuno inoltre, per quanto noto a chi scrive, ha mai fatto valere la norma per cui la comunicazione ricevuta su un domicilio diverso “non può produrre effetti pregiudizievoli”. E’ poco noto e poco invocata e lo dovrebbe essere maggiormente.

Sarebbero benvenuti chiarimenti su tale norma che potrebbero molto contribuire all’effettività del domicilio digitale.

Se un Comune notifica una multa in cartaceo a un cittadino con domicilio digitale, la multa deve essere pagata o la notifica è nulla?

Se una municipalizzata invia la tassa rifiuti in cartaceo a un cittadino con domicilio digitale deve essere pagata?

Già chiarire questi aspetti potrebbe sensibilizzare molto sulla necessità/opportunità di utilizzare e dichiarare il domicilio digitale.

Obbligo di conservazione dei documenti digitali

C’è poi l’innovativa quanto disattesa e sconosciuta norma del CAD che prescrive che cessa l’obbligo di conservazione per i cittadini e le imprese dei documenti informatici conservati per legge dalla PA.

Cittadini e imprese possono in ogni momento richiedere l’accesso al documento alle PA e le PA non possono dunque pretenderne l’esibizione da parte del cittadino.

Vuol dire che ricevute di pagamento, mappe catastali, trascrizioni immobiliari, autorizzazioni varie e altro ancora non possono essere più pretesi e non devono essere più esibiti, la P.A. dovrebbe richiederli a sé stessa.

Già solo rendere effettiva questa norma – ripeto già vigente – vuol dire trasformazione digitale.

Sono solo due esempi che rendono la chiara idea della necessità, prima di rivoluzionare tutto, di fare una ricognizione dell’esistente e riflettere su come rendere effettivo il lavoro già svolto dal Legislatore in questi anni.

È un suggerimento che si spera che il nuovo Ministro vorrà recepire nel determinare l’indirizzo prossimo venturo dell’azione del neo-costituito Dipartimento.

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