il bilancio

Un anno di piano triennale ICT della PA: tante cose fatte, effetti minimi

Un bilancio del primo anno del piano triennale ICT della PA, al 31 maggio. Il lavoro fatto e quello che c’è ancora da fare. Il (debole) impatto su PA, cittadini e imprese. Il peso dell’incertezza politica e il rischio di dover ripartire da zero. E che fare per una svolta

Pubblicato il 30 Apr 2018

Andrea Nicolini

Project Manager per TrentinoSalute4.0

servizi pubblici digitali

Ci stiamo avvicinando velocemente alla conclusione del primo anno del piano triennale ICT della PA che, ricordiamo, è stato emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 31 maggio 2017. E’ quindi possibile, a questo punto, tracciare un primissimo bilancio dell’impatto di questo importante strumento di programmazione.

Un anno di piano triennale, un bilancio complesso

Il bilancio di qualunque azione nel digitale, soprattutto nella PA, negli ultimi 20 anni ha sempre offerto il fianco ad essere interpretato in vari modi a seconda del punto prospettico dal quale lo si valuta, quasi sempre se il bilancio si basa sui risultati finali di una PA digitale è fortemente negativo, al contrario se lo si valuta dal punto di vista delle attività svolte è sempre positivo.

Il primo anno del piano triennale ICT della PA non si sottrae a questa logica, se lo valutiamo solo dai risultati finali vedremo che gli stessi sono deludenti, certo gli utenti SPID sono aumentati, come i servizi, al pari dei pagamenti elettronici con PagoPA e così via. Il cittadino o l’impresa comune se interpellati vi diranno tuttavia che non hanno visto sostanziali miglioramenti o cambiamenti nella PA digitale.

Il rischio di dover ripartire da zero

Ma se lo valutiamo dalla quantità di attività svolte e dal loro potenziale per gli anni futuri allora il bilancio diventa positivo. Vero è, anche, che al termine del primo anno ci troviamo in una situazione di grandi incertezze (cambio di governo, scadenza dei mandati ai vertici del Team per la trasformazione digitale e di AgID) e quindi il rischio che tutto il potenziale accumulato venga disperso perché qualcuno avrà la tentazione di ripartire da zero è molto alto.

Ecco il problema è proprio questo, non è che siamo all’anno zero del digitale nella PA (ed in Italia in generale) come troppo spesso abbiamo sentito dire, è che ad ogni cambio di governance del digitale ripartiamo da zero. E’ stato così negli anni scorsi (piani di e-government, le 6 versioni del CAD, l’agenda digitale, ecc.) e sarebbe un gravissimo errore se lo fosse anche quest’anno per il piano triennale ICT per la PA.

Le attività fatte nel primo anno del Piano Triennale ICT per la PA: infrastrutture

Nel primo anno del piano sono state realizzate tantissime attività da parte del Team Digitale e di AgID, è innegabile. Per chi non ne avesse evidenza proviamo a fare un sintetico quadro della situazione, partendo quindi dal punto di vista positivo del lavoro fatto.

Al livello delle infrastrutture materiali digitali si è lavorato sia sullo sviluppo del cloud (linee guida per la qualificazione dei servizi Saas, linee guida per la qualificazione dei Cloud Service Provider ed in qualche misura rientrano nella categoria anche le linee guida per il riuso), che sulle infrastrutture digitali vere e proprie con lo svolgimento di due censimenti sui data center o meglio sul patrimonio ICT, il primo rivolto alle Regioni ed alle città metropolitane, il secondo, avviato da poco, rivolto a tutte le pubbliche amministrazioni locali.

Il lavoro fatto su piattaforme abilitanti

A livello delle piattaforme abilitanti o infrastrutture immateriali le principali attività hanno riguardato: Anpr che è stata rilanciata con il subentro dei primi comuni (ora 136 a fine aprile) e circa un migliaio sono in subentro, PagoPA che è stata fortemente ammodernata ed ha accresciuto il numero di transazioni e di enti e PSP aderenti, SPID che ha aumentato il numero di servizi che lo utilizzano ed il numero di identità registrate, il DAF che ha cominciato a prendere vita con le prime implementazioni sperimentali e così via.

Gli ecosistemi digitali e sicurezza

Al livello degli ecosistemi digitali si sono avviate le attività di redazione delle linee guida per l’interoperabilità, prossime alla pubblicazione, che sono la base per poter realizzare ecosistemi digitali interoperabili e capaci di garantire a cittadini e imprese servizi finali facilmente fruibili ed integrabili. In molti ambiti sono state avviate le attività per la definizione delle Api standard che tutti i soggetti che concorrono all’ecosistema dovranno esporre. Ricade in questa categoria tutto il lavoro fatto dal Dipartimento della Funzione Pubblica per la semplificazione attraverso la creazione della modulistica unificata per diversi procedimenti, definita con il dettaglio tecnico necessario all’elaborazione automatizzata.

Tanto lavoro fatto, cui bisogna aggiungere molte altre attività, sulla sicurezza in primis, fra queste l’avvio dell’aggiornamento del piano stesso che è triennale a scorrimento annuale e quindi ogni anno va aggiornato e lo sviluppo e l’imminente rilascio di IO in estate (in versione sperimentale), una prima app di “cittadinanza digitale”, che consente al cittadino di accedere, sfruttando le piattaforme abilitanti e la banche dati di interesse nazionale, ai principali propri dati detenuti dalla PA.

Certo vi sono anche evidenti ritardi, molte linee guida previste per fine 2017 non sono state ancora emanate e il quadro delle azioni del Team indica tre sole azioni completate su 67, ma resta un bilancio positivo del lavoro fatto.

Per cittadini e imprese il bicchiere è mezzo vuoto

Ma se guardiamo tutto questo con gli occhi dei cittadini e delle imprese tutto il quadro diventa negativo o quanto meno molto meno positivo.

Il cittadino solo saltuariamente è entrato in contatto con i servizi evoluti (18app, bonus agli insegnanti, pagando qualche tributo o servizio alla PA con PagoPA) e solo pochissimi potranno utilizzare IO, essendo prerequisito il possesso di una identità SPID (quindi in teoria 2 milioni di cittadini) ed essere residente in un comune subentrato in ANPR, quindi assumendo una distribuzione uniforme delle identità Spid solo circa centomila (<0,1%) cittadini italiani potranno da subito utilizzare IO.

Situazione analoga per le imprese, per le quali tuttora le identità SPID possono essere utilizzate veramente in pochi, pochissimi servizi online, così come sono contenuti per ora gli effetti finali dell’azione di semplificazione e di fatto l’unico segno tangibile dell’azione digitale della PA è la fatturazione elettronica.

Nell’ambito delle imprese anche gli operatori di mercato del settore ICT non possono avere una percezione assolutamente positiva del piano, per ora infatti gli effetti sono minimali, certo esistono le linee guida per la qualificazione dei servizi cloud Saas e per la qualificazione dei Cloud Service Provider, ma un eventuale  rinnovo dell’offerta commerciale orientata al cloud sarebbe poi vanificato dall’assenza di un marketplace (previsto dalle linee guida sull’interoperabilità non ancora emanate) e dal codice appalti che ad oggi non prevede semplici modalità di acquisizione di tali servizi, oltre che dalla presenza di contratti quadro Consip come quelli SPC cloud nati prima dell’attuale piano triennale ICT e chiaramente orientati alle sole grandi amministrazioni centrali, anche se nel combinato disposto dei vincoli alla spesa ICT e del codice appalti alla fine diventano condizionanti anche per le piccole PA.

L’impatto del piano per la PA e il peso dell’incertezza politica

Ma nemmeno per le PA stesse il piano per ora ha prodotto risultati che consentono di operare sul digitale in modo chiaro e rapido, anche tralasciando per un momento i vincoli della razionalizzazione della spesa ICT appena citati, non vi è ancora chiarezza sul futuro delle infrastrutture digitali, i poli strategici nazionali non è ancora chiaro cosa faranno e la vera migrazione al cloud soffre dell’assenza già indicata di procedure di procurement adeguate e di uno o più marketplace di soluzioni qualificate, le piattaforme abilitanti non sono ancora completamente mature, soprattutto SPID (non è possibile assegnare una identità ad un minorenne e non esiste la possibilità di gestire le deleghe e le tutele che sono essenziali per molti servizi online che quindi non possono effettuare lo switch a SPID) ed infine l’assenza delle regole di interoperabilità impedisce di avviare un vero ammodernamento dei servizi in essere.

Cosa serve per garantire risultati concreti

Il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto per di più condizionato, per gli sviluppi futuri, dalle incertezze legate alla politica (governo), per le quali altri hanno indicato chiaramente cosa è necessario fare ad inizio della nuova legislatura. Ma non è sufficiente agire a livello politico se si vuole migliorare la “messa a terra” del grande potenziale creato, lo squilibrio evidenziato fra il lavoro fatto ed i risultati raggiunti deve far riflettere sul perché la situazione sia questa.

Se si vogliono raggiungere risultati concreti nella crescita digitale, forse serve un vero lavoro di squadra. Sono stati sottoscritti accordi di collaborazione con alcune amministrazioni ai vari livelli (PAC, Regioni e PAL), ma bisogna che gli stessi si traducano non in articolati sistemi di monitoraggio amministrativo, come fatto fino ad ora, ma in tavoli di collaborazione vera interistituzionale nei quali si condividano preventivamente gli indirizzi di quanto in corso di redazione (linee guida, circolari, ecc.) e si risolvano i problemi attuativi che via, via si incontrano. Bisogna ridurre la lunghezza della cinghia di trasmissione fra chi governa il piano e chi lo deve attuare. E’ riduttivo pensare che sia sufficiente elaborare linee guida in stanze chiuse, metterle in consultazione pubblica, per poi vederle attuate in poco tempo da una realtà complessa ed articolata come la PA italiana. Servono tavoli di confronto nei quali si possano trasferire le motivazioni delle scelte fatte e nei quali si possano creare quelle sintonie di visione che sono alla base di una vera coerenza e continuità fra chi elabora le regole tecniche e chi le deve attuare.

Il piano triennale ICT della PA e più in generale la crescita digitale, non sono semplici implementazioni tecnologiche di volontà politiche, sono azioni corali polifoniche paese che devono modificare in profondità il modus operandi in primis della pubblica amministrazione e del mercato ICT e come tali necessitano di un maestro di coro e di tanti coristi che con una grande moltitudine di prove ed incontri realizzano l’opera all’unisono trasferendo tutto il potenziale dell’opera agli spettatori.

Piano Triennale ICT Agid, ecco l’accordo Stato Regioni per l’attuazione

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