Dopo l’approvazione della legge di conversione del decreto “Crescita 2.0” ( legge n° 179 del 18/10/2012) che ha sancito di fatto l’obbligatorietà della pubblicazione dei dati in possesso delle amministrazioni, il tema sul tavolo non è più “se” deve essere perseguita una politica di promozione degli open data ma “come” farlo. A partire dalla consapevolezza dell’enorme potenziale che questo passaggio ha sia per l’evoluzione democratica, sia per l’efficienza della macchina amministrativa sia per lo sviluppo del settore IT:
· dal punto di vista dell’evoluzione democratica, perché l’apertura dei dati consente una forte accelerazione nel processo di trasparenza che è nei principi di base della partecipazione democratica, dell’Open Government, consentendo ai cittadini non solo scelte consapevoli sui servizi pubblici (si pensi al progetto della “Scuola in Chiaro”) ma anche capacità di controllo sull’operato di chi amministra e governa, fino al controllo dei bilanci e delle operazioni di spesa (come è possibile con il progetto “Open Coesione”);
· dal punto di vista dell’efficienza amministrativa, perché la pubblicazione dei dati “by default” obbliga le amministrazioni ad esporsi verso gli utilizzatori assumendosi la responsabilità della qualità dei dati e acquisendo la capacità di gestire il feedback da chi (enti e imprese) può utilizzarli per i propri prodotti e servizi;
· dal punto di vista dello sviluppo del settore IT, perché la disponibilità ingente di dati sul territorio consente l’incremento esponenziale di generazione di idee di sviluppo di applicazioni e di servizi per organizzazioni e cittadini.
Siamo consapevoli che questa è una grande opportunità non solo per cambiare nel profondo il rapporto tra cittadini e istituzioni, ma anche per la riorganizzazione dei processi delle amministrazioni pubbliche, e per favorire lo sviluppo e la crescita di iniziative imprenditoriali ICT.
Per sfruttare appieno l’opportunità occorrono però alcuni ingredienti fondamentali, che ancora non sono presenti e che sono stati tra i temi affrontati nella giornata del 23 febbraio dedicata agli Open Data in 13 città italiane, in un grande evento-Paese:
· la definizione di una strategia e di un progetto di cambiamento che consenta alle pubbliche amministrazioni di essere soggetto trainante e non trainato, anche indicando le priorità sui dati da rendere fruibili;
· una linea di indirizzo operativo che consenta alle amministrazioni di disporre di indicazioni sui vari aspetti normativi e tecnici dell’apertura dei dati, allo stesso tempo acquisendo la consapevolezza dei benefici che questa può dare, avviando la riorganizzazione dei processi di produzione dei dati in modo da renderli “nativamente apribili”;
· una governance che favorisca la condivisione di esperienze e risultati tra le amministrazioni, indirizzato al loro riutilizzo;
· un luogo che favorisca lo scambio tra amministrazioni, imprese, università, associazioni, in una logica di open innovation
L’importanza del metodo
La giornata dell’Open Data del 23 febbraio è stata una prima sperimentazione di quest’ultimo punto. Nei mesi di preparazione, 7 gruppi di lavoro hanno discusso in rete e in presenza sui principali temi connessi agli Open Data, hanno realizzato contenuti e prodotti nella logica ricca e per certi versi innovativa dello scambio che produce valore. In modo non preordinato, ma costruito operativamente, è stato così impostato un percorso di collaborazione implicitamente ma chiaramente orientato oltre l’evento. Secondo il metodo della condivisione e dell’integrazione delle conoscenze, l’unico che può consentire una crescita di competenze omogenea e rapida su tutto il territorio nazionale. Perché è troppo forte l’esigenza di rendere sistematico lo scambio di esperienze e di fare rete tra le imprese che operano nel campo degli Open Data, e tra queste e le pubbliche amministrazioni, e tra tutti gli attori, naturalmente cittadini inclusi.
Perché un Istituto (privato, indipendente e no-profit)
La prima sperimentazione di un luogo a supporto dello scambio e dell’open innovation è andata oltre le migliori aspettative, con una partecipazione, un entusiasmo e una volontà di collaborazione difficili da prevedere solo qualche mese fa.
Da qui la necessità di dare continuità e forza al percorso, e quindi dotarsi di un organismo che sia catalizzatore di energie e capacità e di raccordo tra i diversi attori, per favorire l’incontro tra domanda e offerta, lo scambio e la condivisione di pratiche, strumenti, tecnologie. Una necessità che deve essere soddisfatta al più presto, perché questo è il momento giusto: la nascita dell’Agenzia per l’Italia Digitale e la legge che ha sancito l’Open By Default possono costituire le premesse per un significativo salto di qualità.
Da qui nasce l’idea di avviare il cantiere di progettazione di una sorta di “Istituto per gli Open Data”. Un organismo che deve essere indipendente e no-profit, che possa essere uno strumento di formazione e stimolo di una più ampia e solida “domanda” di dati per la realizzazione di servizi innovativi, in grado di innescare un circolo virtuoso di convenienze reciproche tra chi favorisce la distribuzione di dati, ricevendone in cambio nuovi servizi e nuovo valore, e chi quei dati utilizza per ampliare la propria “offerta” imprenditoriale. Un organismo privato, che non va ad aggiungersi o a sovrapporsi agli organismi pubblici già in campo, ma che si colloca nello spazio bianco che crea rete e valore tra pubblico, ricerca, mercato.
Un organismo che quindi possa anche sostenere e supportare le iniziative degli specifici soggetti istituzionali, come l’Agenzia per l’Italia Digitale, senza rischiare sovrapposizioni, ma anzi creando un luogo di interscambio in cui possano a ritrovarsi con le loro competenze e proposte anche organizzazioni pubbliche come Formez e Istat che hanno un ruolo fondamentale nella crescita della consapevolezza di questo tema in Italia. Un organismo che si rivolge principalmente a tre categorie di interlocutori:
· le associazioni e i centri di studio e ricerca, che sono i “naturali” compagni di viaggio di questa iniziativa;
· le imprese, che dovranno sostenere, economicamente e con la realizzazione di progetti comuni, la vita dell’Istituto;
· le pubbliche amministrazioni e i grandi fornitori di dati, infine, che sono la controparte attiva della attività dell’Istituto, il terminale di quella domanda che l’Istituto dovrà contribuire a formare.
Tante le iniziative che l’Istituto dovrebbe farsi carico di realizzare, prendendo ad esempio di riferimento quanto sta realizzando l’Open Data Institute nel Regno Unito, ma chiaramente adattato e sviluppato sulle specificità della realtà italiana, tra queste:
1. la costruzione di strumenti e processi di condivisione a livello di politiche, di metodologie, di tecniche e di soluzioni tra tutte le organizzazioni e i soggetti individuali partecipanti;
2. la disseminazione e la diffusione del tema degli Open Data, anche attraverso lo sviluppo della comunità degli Open Data in Italia in stretta connessione con il movimento Open Data internazionale, attraverso eventi, forum, social network, organizzando l’evento hub italiano dell’international open data day e realizzando progetti e materiali di divulgazione per i cittadini e per le scuole;
3. lo sviluppo delle competenze sugli Open Data, anche attraverso partnership con Università e Centri di ricerca per la costituzione di Master, Corsi universitari e Gruppi di Ricerca sulle tecnologie dei Dati Aperti;
4. la promozione e il supporto tecnico per favorire la nascita e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali basate sulla tecnologia dei Dati Aperti, anche attraverso gruppi di lavoro focalizzati ad affrontare problematiche tecnologiche, creando le condizioni per l’open innovation e per la collaborazione progettuale;
5. il supporto allo sviluppo delle politiche pubbliche in tema di Dati Aperti, a partire da quanto è ancora deve essere definito a valle della legge 179.
Prime idee dalle quali partire. Sapendo che solo con un’azione a più livelli e ampia (pubblica, privata, diffusa, amministrativa e produttiva, formativa, ..) si può puntare ad un cambiamento che dia valore al Paese. Agendo con approcci diversi dagli attuali.
Perché l’innovazione richiede un cambio di modello.