La nostra scuola è vecchia e come tutti gli organismi vecchi si muove con lentezza ed è reticente al cambiamento: con l’attuale tasso di diffusione delle tecnologie digitali sarebbero necessari altri 15 anni per raggiungere i livelli di diffusione registrati, ad esempio, in Gran Bretagna, dove l’80% delle classi può contare su strumenti didattici informatici e digitali. 15 anni di ritardo non si recuperano facilmente, anzi si moltiplicano nel tempo con effetti devastanti.
Alla disoccupazione giovanile si deve sommare, dunque, una generazione che non potrà godere di una preparazione all’altezza dei colleghi europei: la competizione globale si gioca su un ring digitale e se noi non abbiamo le competenze e le abilità richieste siamo, un’altra volta e per una ragione in più, esclusi dal mondo del lavoro. Nel 2013, oltre due milioni di famiglie sono sotto la soglia di povertà, in aumento rispetto a cinque anni fa. In base alle valutazioni di Svimez riferite al 2013 il Mezzogiorno si affaccia a una “desertificazione industriale, sociale e umana”: sono meno di sei milioni gli occupati, sempre meno, il pil è crollato del 3,5 per cento e le donne sono le meno lavoratrici d’Europa. Inermi, deresponsabilizzati e ormai abituati, gli italiani continuano a guardare questi dati devastanti: l’Italia cade a picco persa nell’execution di piani mirabolanti, travolta dalle contraddizioni dei mille campanili.
La digitalizzazione dei processi non sarà certamente la panacea di tutti i mali, ma senza dubbio aiuta. Partiamo da questo: ammoderniamo, digitalizziamo, e diamo più ampio respiro alla nostra scuola.
Cosa fare lo sappiamo bene: lo dice l’Agenda per nuove competenze e nuovi lavori”, della “strategia Europa 2020 e lo spiega nel dettaglio il DEF 2014 sia lato efficientemento scolastico, sia lato infrastrutturale – dando, in questo caso, priorità al piano banda ultralarga per portare a tutti i cittadini 30 mbps e alle sedi strategiche della PA 100 mbps. Ove fra tali sedi strategiche le scuole figurano subito dopo gli ospedali. Ovviamente non è sufficiente portare la rete nelle segreterie delle scuole, ma serve raggiungere anche tutte le classi e, per fare questo, è necessario dotare tutte le aule di connessione wifi.
Tutte le scuole sono connesse a banda larga, ma spesso la banda è così ridotta da non permettere il collegamento wifi in tutte le classi. Con il Piano Banda Ultralarga tutte le scuole potrebbero essere raggiunte entro il 2017 ad almeno 30 mbps. Dico potrebbe perché ovviamente dipende dalla volontà di ogni Regione a partecipare al Piano destinando le risorse necessarie per la sua attuazione. Se però vogliamo competere con l’Europa dobbiamo saper guardare ai 100 mbps per tutte le scuole. Il Sud, soprattutto, deve saperlo fare e ne avrebbe anche la disponibilità finanziaria a valere sulle risorse comunitarie 2014-2020. Campania, Calabria, Sicilia e Puglia pare ci stiano lavorando e, con una forte cooperazione di tutti gli attori pubblici e privati, potrebbero farcela.
La spesa pubblica nazionale per questo tipo di attività è al di sotto della media europea e questo non è un virtuosismo, ovviamente, ma un dato in più che ci deve far capire che dobbiamo investire per una scuola migliore e dobbiamo investire meglio, ovvero garantendo una forte sinergia fra pubblico e privato, ove il primo agisce sussidiariamente al secondo, e sinergie fra pubblico e pubblico. In altre parole, risparmiamo se facciamo un unico Piano nazionale per la banda ultralarga, risparmiamo se tutti gli enti coinvolti collaborano al progetto e rispettano i tempi per la permissistica necessaria, risparmiamo se la dotazione infrastrutturale e il servizio di connettività sono gestiti insieme, ovvero se abbiniamo, per esempio, il costo della predisposizione in wifi di tutte le aule alla gara per l’operatore che fornisce la connettività alle scuole. Risparmiamo se queste attività rientrano nel piano per l’edilizia scolastica (che già contempla il wifi).
Ad oggi, il 46 per cento di aule già risulta connesso in rete con uno sforzo pubblico potremmo portare in tre anni il 100 per cento delle aule a 100 mbps. Un salto di qualità fondamentale – come lo definisce la Commissione Europea – perché anche in questo, chi ha più bisogno di essere aiutato e di essere iperconnesso sono proprio le realtà più piccole, le scuole dei piccoli Paesi alle quali davvero apriremmo una finestra sul mondo. È questo, e molto altro, che fa il piano di riqualificazione delle aree interne coordinato dal da Fabrizio Barca: immaginiamo, per esempio, una scuola di un paesino del Sud, uno di quei luoghi senza futuro, abbandonati da tutti, ormai anche dagli uffici postali. Paesini in cui è rimasta solo la scuola elementare e per frequentare le medie i ragazzini si devono svegliare ogni mattina alle 5 e raggiungere le città più vicina. Pensiamo se quei paesini avessero i 100 mbps, se quella scuola elementare potesse connettersi e vivere, per esempio le lezioni di inglese della scuola di un’altra città. Pensiamo se i bambini ospedalizzati potessero seguire le lezioni direttamente nel reparto o, ancor meglio da casa propria. Infinite sinergie e commistioni possibili per incalcolabili benefici.