HTA

Valutare i software in Sanità, la nuova sfida: come affrontarla

Sarebbe ragionevole avviare l’introduzione dei software in sanità. Di fatto, però, ad oggi mancano probabilmente dati di evidenza sui quali basare le valutazioni. Occorre, quindi, fare qualche tentativo, provare ad applicare il tutto a casi reali anche per creare conoscenza negli operatori e nei decisori

Pubblicato il 20 Nov 2017

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L’informazione determina sempre di più la nostra vita e, anche quando non ne avremmo bisogno, il “conforto” di ulteriori informazioni e conoscenze aggiuntive è di aiuto nella vita personale e lavorativa.

Di pari passo gli strumenti per gestire queste informazioni hanno avuto un importante sviluppo, compresa la possibilità di essere raggiunti in ogni luogo. La sanità non è da meno, a maggior ragione se si considera il fatto che da sempre per un clinico più informazioni sono disponibili meglio è (naturalmente fino al limite delle troppe informazioni che generano poi “confusione”).

Oggi quindi nelle strutture sanitarie (ma in generale nella gestione della salute) è sempre più pressante una richiesta di sistemi informatici più o meno complessi destinati a dare un supporto all’attività di cura all’interno e all’esterno degli ospedali.

Questo fenomeno è un’ulteriore variante di quanto già vissuto storicamente dagli Ingegneri Clinici all’interno degli ospedali. Nella gestione del parco tecnologico abbiamo governato (o subito in alcuni casi, è giusto ammetterlo!) una crescente evoluzione delle apparecchiature sia in termini di numero che in termini di connettività, assistendo di fatto ad un aumento delle possibilità cliniche come risultato di una crescente interoperabilità e possibilità di scambio dei dati tra i sistemi. Parallelamente, l’aumento del numero delle apparecchiature ha imposto agli ingegneri clinici l’individuazione di un metodo per la valutazione e la prioritizzazione delle tecnologie da acquisire all’interno della struttura sanitaria, pena l’impossibilità di governare il sistema ben prima della contrazione delle disponibilità economiche.

Ulteriore evoluzione, proprio nell’alveo della gestione delle informazioni, è rappresentato dalle possibilità di gestione delle apparecchiature attraverso la rete informatica e dei software.

Per la prima si tratta di fatto di imparare a gestire la tecnologia sfruttando le possibilità di comunicazione, cioè il fatto che le macchine possono essere impostate per trasferire a server dati relativi al loro funzionamento, in modo del tutto simile a quello che succede in aeronautica (pensiamo ad esempio alle missioni spaziali) o negli sport che contemplano una componente tecnologica (ad esempio la telemetria in uso nelle gare di automobilismo). La capacità di acquisizione, analisi e interpretazione dei dati rappresenta uno strumento potente per la gestione dell’apparecchiatura il cui risultato più evidente è la cosiddetta “manutenzione predittiva”, ovvero il fatto di conoscere con anticipo – ovviamente su base statistica – quale componente fallirà e quando.

Nel secondo caso, occorre ricordare che i software che vengono utilizzati per le decisioni cliniche sono a tutti gli effetti Dispositivi Medici e come tali devono essere gestiti. L’approccio al dispositivo medico, ormai entrato nel DNA dell’ingegnere clinico, può essere sinteticamente rappresentato dalla locuzione “life critical”, in quanto ogni malfunzionamento o fallimento può avere ripercussioni anche molto gravi (la morte) sulla salute del paziente. Di conseguenza le logiche di gestione – tempi di intervento, qualità della documentazione a supporto, attività di manutenzione a garanzia del funzionamento – sono decisamente diverse da quelle di un normale software gestionale, che per definizione è “mission critical” ovvero legato al buon funzionamento e alla buona immagine della struttura, ma non assolutamente imprescindibile.

È in questo senso che si parla di convergenza tra Ingegneria Clinica e ICT. Non è un problema di organigramma o di “linea di comando”, ma un percorso inevitabile nella gestione di un sistema complesso.

E i sistemi complessi richiedono la capacità di valutazione dell’innovazione, di ciò che si vorrebbe introdurre nella struttura. Anche l’ICT ormai vive di sistemi complessi. Sistemi che impattano sull’esito finale (la salute del paziente), sui processi interni alla struttura e sulla qualità del lavoro degli operatori sanitari, sulla modalità e possibilità di accesso alle cure da parte del cittadino. Richiedono inoltre sicurezza dei dati (siamo a conoscenza dei problemi di cyber security ormai all’ordine del giorno), etc..

Da ultimo, rappresentano un significativo investimento per il sistema sanitario nazionale, investimento accentuato dall’evoluzione continua dei sistemi che richiede un livello di spesa continuo per certi versi più importante della sola manutenzione.

Ma allora, come valutare questi sistemi?

Il sintetico elenco di campi di valutazione riportato nelle righe precedenti richiama i domini normalmente utilizzati nel mondo dell’Health Technology Assessment (HTA). La cosa non deve stupire, in quanto la metodologia del Technology Assessment, poi diventato HTA quando applicato alla sanità, si configura come una metodologia di analisi per fornire informazioni strutturate, imparziali e multidisciplinari ai decisori affinché la decisione presa sia basata su elementi oggettivi. Quindi non è limitato a farmaci e dispositivi, ma può essere utilizzato anche per processi e sistemi complessi. L’applicazione dell’HTA non si ferma poi solo alla valutazione iniziale, ma può essere estesa anche alla verifica in fase di utilizzo attraverso la definizione di criteri (o KPI) basati sempre sulle dimensioni della valutazione e alla fase di dismissione, attraverso quello che dalla letteratura viene definito “disinvestimento”.

La domanda resta comunque: è possibile applicare i metodi dell’HTA ai sistemi ICT?

In linea teorica sì e sarebbe probabilmente ragionevole viste le ricadute organizzative ed economiche dell’introduzione dei software in sanità. Di fatto, però, ad oggi mancano probabilmente dati di evidenza sui quali basare la valutazione e, soprattutto, è impossibile effettuare una valutazione non contestualizzata, essendo i software quasi sempre dipendenti dall’organizzazione locale e dalle necessità specifiche del singolo centro.

In sintesi quindi, il metodo può funzionare e chi lo usa da tempo, come gli IC, potrebbe fornire un contributo quantomeno metodologico a partire da un modello che deve essere sicuramente adattato alle necessità specifiche dell’ICT. Occorre però fare qualche tentativo, provare ad applicare il tutto a casi reali anche per creare conoscenza negli operatori e nei decisori, poco abituati ad un metodo così oggettivo e oggettivabile in questo particolare settore.

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