Durante il bellissimo e interessantissimo convegno di Perugia lunedì scorso abbiamo avuto modo di conoscere qualche dettaglio in più rispetto all’intesa delle 5 Regioni del Centro Italia (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio) sul tema dell’agenda digitale.
Un Centro Italia che potremmo definire anomalo, considerando che l’Emilia-Romagna appartiene geo-politicamente al Nord-Est, ma che poi così anomalo non è se pensiamo che da almeno 15 anni esistono relazioni di collaborazione e riuso che coinvolgono almeno 4 di queste 5 Regioni.
Con questa intesa si cementa – formalizzandolo – un rapporto che va avanti da tempo e che oggi si estende ad un Lazio che si appresta a riformulare la propria digital strategy dopo qualche anno di impasse e in vista di una importante riorganizzazione del sistema delle partecipate che non potrà non investire anche LaIT, società in-house per l’innovazione tecnologica.
L’altro elemento di interesse è rappresentato dalla presenza – non solamente formale – di Agid all’interno del protocollo di intesa: l’Agenzia, già avviata sulla strada della sua territorializzazione attraverso l’apertura di sedi decentrate, collabora con le 5 Regioni secondo un modello di peering sostanziale.
Questa delle Regioni del Centro è la scintilla a partire dalla quale nasceranno ulteriori iniziative, alcune delle quali sono già in fieri. Non necessariamente rispettando logiche geo-politiche, anche se è ragionevole pensare che quella territoriale sarà una scelta prioritaria perlomeno a livello iniziale.
Probabilmente qualcuna di queste aggregazioni sarà destinata a rimanere nel dominio della “operazione di facciata”, ma è ormai scontato che questa sia la strada giusta e, comunque la si pensi, l’unica sostenibile in un contesto nel quale le singole Regioni (anche quelle tradizionalmente “in prima linea” sui temi dell’innovazione tecnologica) fanno sempre più fatica a conciliare le loro strategie digitali con problemi non banali di finanza pubblica.
Sarà anche una grande opportunità (sempre che sia colta come tale) per alcune società regionali in-house alle prese con ricavi in calo e costi molto difficilmente comprimibili.
Sarà (finalmente!) la fine della puntuale moltiplicazione per 21 di progetti sostanzialmente identici, dal bollo auto alla gestione dell’organismo pagatore in agricoltura al fascicolo sanitario elettronico e così via.
Sperando che prevalga la logica della specializzazione e l’orientamento al service provisioning. Riuscendo a rottamare una volta per sempre l’istituto del riuso così come è impostato attualmente.
Se è vero che “vale copiare”, come si dice ormai abitualmente nei convegni, allora copiamo per bene. Creando cluster specializzati che erogano servizi (infrastrutturali e applicativi) all’insieme delle 21 Regioni e Province Autonome e agli enti locali.
Un modello, ad esempio, dove un cluster si occupa di gestione amministrativo-contabile e lo fa erogando servizi a tutti; un altro si occupa di Trasporti e Mobilità, un terzo di Sanità, un quarto di Agricoltura, e così via.
Funziona così in molti Stati degli USA, in Canada, in UK. Persino in Danimarca.
Lo aveva capito bene (e gliene va dato pubblicamente atto) l’allora ministro Lucio Stanca, quando cominciò (nel 2002!) a parlare di “shared service center”.
Noi sciaguratamente traducemmo questa intuizione in quel mostro che furono i “Centri Servizio Territoriali”, poi trasformati nelle ormai sepolte “Alleanze Locali per l’Innovazione”. Buttando via qualche decina di milioni di Euro.
Il minimo che possiamo fare, è cercare di recuperare il tempo perduto.
La palla passa alle Regioni: speriamo vadano in goal.