Quali sono le ragioni che mi hanno spinto a candidarmi al vertice dell’Agid? Un Direttore generale della Presidenza del Consiglio, infatti, di solito aspira piuttosto a candidarsi a capo dei Dipartimenti che forniscono gli indirizzi di policy, non al vertice di una Agenzia, per sua natura orientata piuttosto al deployment. E tanto più nel caso di un Direttore generale dal profilo marcatamente generalista.
Il contributo per fare l’Italia digitale
Ma bisogna considerare il mio percorso, soprattutto il più recente. Il mio orientamento a considerare sempre per prima cosa, nella definizione di una policy o nella redazione di una norma, l’attitudine della prima o della seconda a funzionare in maniera adeguata allo “stato della tecnologia”, e non nel vuoto pneumatico di un giuridicismo atemporale che pare immaginare perennemente una amministrazione pubblica col pennino d’oca in mano.
Nel draft di candidatura, previsto dal bando e pertanto da tenere, allo stato, ancora rigorosamente riservato, ho potuto presentare il mio profilo in modo argomentato; e di questo sono molto grato agli estensori della procedura di scelta.
Senza violare questa riservatezza, credo però di poter sintetizzare la mia visione dei problemi e il contributo che voglio credere di poter dare a una battaglia molto difficile, qualora si ritenesse il mio nome adatto a combatterla.
Combattere la cultura della separatezza
L’Italia è in fondo a tutte le principali graduatorie e rating europei sullo sviluppo digitale.
Credo che questa non lusinghiera posizione derivi in misura assorbente dalla permanenza di una cultura della separatezza delle amministrazioni dagli attori sociali e produttivi che è superata da ogni indirizzo di modernizzazione, sia da quelli giuridici, sia da quelli comunicativi, sia da quelli di supply dei servizi, e a maggior ragione da quelli delle più recenti tecnologie, il cui carattere principale è quello di connettere. Connettere luoghi, servizi, persone, settori, tagliando trasversalmente il vecchio mondo per far cooperare ciò che un tempo nemmeno dialogava.
Questa separatezza, in corpi burocratici caratterizzati da settorialismo e immaturità organizzativa, ha ulteriormente fatto dell’ICT un elemento di rinforzo dello specialismo, invece che di spinta al mainstreaming delle diverse politiche. Ecco quindi gli stupefacenti divari settoriali, con amministrazioni performanti e in certi casi eccellenti, e isole paurose di arretratezza. Ecco, poi, la diffidenza di molte amministrazioni ad agganciare i grandi verticali cui Agid ha di recente lavorato con successo, da Pagopa a Spid.
Infine, nessuna meraviglia che in questa sorta di presunzione di possibile “sviluppo per isole” si sia finito per “lastricare di silicio vecchie strade di campagna”, come diceva un guru americano anni fa; cioè per dare un minimo vestito tecnologico a procedure e prassi tradizionali, senza approfittare per nulla del valore aggiunto delle nuove tecnologie.
Una visione ampia e profonda della PA
Tutte queste considerazioni, su cui mi trovo in sintonia da anni con alcuni degli osservatori e degli accademici più brillanti, mi hanno spinto a credere che una figura di generalista con una visione ampia e profonda dell’azione amministrativa e dell’organizzazione multipolare del settore pubblico, avesse qualcosa da dire e, auspicabilmente, qualche carta diversa dal passato da giocare.
Se però devo dire cosa, alla fine, mi ha davvero spinto, da una posizione prestigiosa e ben remunerata, a tentare una scommessa così difficile, esponendomi pure al rischio di non entrare nella shortlist finale dei dieci ammessi all’orale (cosa da non escludere se prevarrà la ricerca di un profilo specialistico), ecco, devo dire che è stata la spinta e l’incoraggiamento ricevuti da dirigenti, sindaci, amministratori con cui ho tanto interloquito, sin dai tempi in cui ero capo segreteria tecnica del Ministro per la Coesione Fabrizio Barca, e di nuovo nei 4 anni in cui ho portato a compimento il programma ELISA, per l’informatizzazione degli enti locali.
L’Italia è un Paese difficile, con quasi 8.000 Comuni, 20 Regioni in certi casi con pochissimi abitanti, più di 100 province salvate dal referendum costituzionale di due anni fa ma ancora in cerca di un nuovo ruolo; un Paese con quasi l’80% del territorio costituito da montagna e collina, quasi il 25% degli abitanti in condizione di maggiore o minore marginalità territoriale (secondo la Strategia Nazionale Aree Interne).
Questi banali dati di partenza vengono sistematicamente dimenticati quando si apre l’agenda digitale, come se la competenza sulle tecnologie cancellasse le reminiscenze di geografia della prima media.
Ebbene, la mia convinzione è che non si possono lasciare gli abitanti di quasi 6.000 Comuni su 8.000 (oggi privi di vero presidio ella funzione di sviluppo tecnologico), quell’italiano su quattro in luoghi marginali, la montagna, la periferia privi del supporto delle tecnologie; che non sono un onere ma, al contrario, la loro vera occasione per diventare cittadini di serie A, con l’azzeramento (finalmente) delle coordinate di spazio e di tempo che li hanno sacrificati nel secolo del fordismo.
L’Italia è strana e difficile, ma nella nuova era tecnologica entrerà tutta insieme, o per nulla.