Continuano i lavori (segreti) del comitato governativo che studia come portare l’Italia al voto via blockchain. Un’assurdità pericolosa, su cui c’è un silenzio assordante. E adesso è anche un’assurdità con un milione di euro di fondi pubblici. Con la previsione di un decreto attuativo entro giugno per passare all’azione.
Che sappiamo della commissione parlamentare sulla blockchain
Ad oggi sappiamo che questa commissione è stata istituita in silenzio, senza darne comunicazione o evidenza pubblica, e della sua effettiva costituzione se ne è venuti a conoscenza solo a seguito di interrogazione parlamentare della parlamentare di Forza Italia Fucsia Nissoli al Ministro dell’Interno, che ha ricevuto risposta l’11 settembre 2020.
La commissione in oggetto è stata composta a seguito dello sviluppo politico portato avanti da parte del deputato Giuseppe Brescia (M5S) che, in linea con la visione portata avanti da Associazione Rousseau di Davide Casaleggio, ha richiesto l’allocazione di 1 milione di euro per la sperimentazione del voto elettronico per i cittadini residenti all’estero, inserendo tale emendamento in una delle varie leggi milleproroghe
A ottobre 2020 è stato quindi richiesto, con accesso civico generalizzato (FOIA) da parte del sottoscritto Fabio Pietrosanti, di conoscere:
- Quali fossero i membri di una commissione che tratta un tema così delicato, come i processi elettorali di una democrazia avanzata come l’Italia
- Di disporre degli ordini del giorno degli incontri e dei relativi verbali
Sorprendentemente è emerso che, al pari della commissione moro, la commissione sul voto elettronico non ha prodotto alcun verbale, il cui operato rimane quindi ad oggi oscuro. Qui la richiesta FOIA.
Cosa emerge via FOIA sulla commissione per voto elettronico
Stante dai risultati delle richieste FOIA è emersa una singolarità, che la commissione sul voto elettronico si insedia il giorno successivo alla presentazione della tecnologia di voto elettronico di Davide Casaleggio:
- Il 24 agosto Davide Casaleggio, assieme a Vincenzo De Nicola che sarà mesi dopo nominato Responsabile Transizione Digitale dell’INPS, presenta la propria tecnologia di voto online su blockchain chiamata “Terminus”
- Il 25 agosto si insedia Commissione Voto Elettronico Inter-governativa, senza alcuna informazione pubblica (mentre, al contrario, in quella giornata, le testate nazionali richiamavano la proposta di voto su blockchain di Davide Casaleggio e Vincenzo De Nicola).
A fine novembre viene disvelato con approfondimento giornalistico la presenza di detta commissione e dei suoi componenti.
Il milione di euro per la sperimentazione: assurdo senza dibattito
Da allora “silenzio stampa” fino al 20 febbraio in cui, sempre Giuseppe Brescia, riesce a fare inserire nel Milleproroghe un impegno del governo a spendere 1 milione di euro da parte del ministero dell’interno entro giugno allo scopo di sperimentare il voto elettronico.
Come si fa ad insistere così tanto per spendere 1 milione di euro, senza che vi sia stato un dibattito pubblico e specialistico sul tema (o senza che vi sia stata la volontà di farlo, stando alle modalità con cui la commissione è stata istituita e ha operato fino ad oggi) su un tema così sensibile e delicato?
Come potrà mai il Ministero dell’Interno entro giugno emanare un decreto attuativo per spendere un milione di euro per sperimentare il voto elettronico, quando non vi è stato alcun dibattito né politico né specialistico inter-disciplinare (come all’estero, in qualunque democrazia sviluppata) in merito al SE il voto elettronico sia una alternativa da considerare?
Parrebbe che per Brescia non vi siano dubbi sulla fattibilità del voto online e non sia necessario alcun dibattito pubblico o di concertazione in merito alla valutazione di opportunità o meno di realizzazione, valutando il bilanciamento dei rischi rispetto ai benefici.
Perché è tema rilevante
Il tema è di grande rilevanza e attualità in primis per il contesto di problematicità geopolitica della cybersecurity, dove appare evidente per qualunque addetto alla sicurezza nazionale come l’esposizione dei sistemi elettorali su internet rappresenti un amplissima finestra di esposizione.
Ma ben più rilevante è la criticità derivante dall’emendamento introdotto nel milleproroghe che impegnerebbe il Ministero dell’Interno a definire entro giugno (meno di tre mesi) un decreto attuativo per l’adozione del voto online in Italia!
Un argomento così sensibile, così dibattuto, così delicato per la sostenibilità delle garanzie democratiche non può certamente essere affrontato con un decreto attuativo del Ministero dell’Interno sviluppato in seno alla burocrazia.
Oggi l’Italia ha un grande problema di metodo, affidare alla burocrazia la decisione di mettere a repentaglio la garanzia dei sistemi elettorali, mettendo a rischio di conseguenza la fiducia verso le votazioni stesse (Ricordiamo le recenti elezioni USA e cosa significa mettere in dubbio la fiducia verso le elezioni).
In un momento così delicato, e con un modo di fare così opaco, l’Italia non può permettersi di introdurre alcuna forma di sperimentazione di nuove metodologie elettorali, app o siti web per votare, ma al contrario dovrebbe rafforzare il contributo di partecipazione e controllo diffuso ai processi elettivi.
Questa terza legislatura, indirizzata a scelte basate su competenza e buon governo, non può permettersi di introdurre indebolimenti delle garanzie elettorali, facendosi abbagliare dalla velleità di digitalizzazione dei processi della PA.
I processi elettorali, la fase più delicata della transizione democratica, devono garantire ai cittadini la piena partecipazione, verifica, verificabilità e soprattutto fiducia.
Quale dibattito pubblico andrebbe sviluppato su voto e blockchain
Un argomento così sensibile richiede un approccio interdisciplinare che veda coinvolti, in un processo pluriennale di ricerca e dibattito molteplici stakeholders quali:
- Sicurezza Nazionale
- Università e mondo della ricerca (sicurezza informatica e informatica)
- Politica e ricerca nell’ambito delle Scienze Politiche
- Industria della Cybersecurity
E’ evidente come questo sia stato l’approccio seguito dalle principali democrazia evolute, ma che vede invece in Italia una forte criticità di metodo, con la costituzione della Commissione sul Voto Elettronico come organo inter-dipartimentale di diversi ministeri.
L’argomento è complesso, fortemente interdisciplinare e non può essere affidata alla burocrazia la definizione di ciò che deve essere definito dalla società nel suo insieme, seppur a fini di sperimentazione, con la consapevolezza che l’eventuale infrastruttura tecnologica costruita per pochi elettori sarebbe già pronta per una diffusione su larga scala.
Gli studi e le esperienza che ci fanno da guida
Prima di tutto, come in qualunque ambito complesso, è necessario fotografare quanto già accaduto in contesti simili, e cioè grandi democrazie sviluppate.
- In Germania il voto elettronico è stato giudicato incostituzionale dal 2009, impedendo ad un cittadino privo di conoscenze specialistiche di partecipare pienamente ai processi elettivi.
- In Olanda nel 2006 è stato abbandonato il voto elettronico, con ratifica ulteriore del parlamento nel 2017 di abbandono definitivo a causa dei rischi democratici che questo comporta, sopratutto di interferenza estera, misurati i marginali benefici.
- La Norvegia dopo una sperimentazione nel 2011, ha abbandonato il progetto in via definitiva nel 2013 considerando i rischi superiori sia ai benefici che ai costi.
- La Svizzera, che ha visto alcune sperimentazioni cantonali a Zurigo e Ginevra, per altro confermando il mancato aumento di partecipazione elettorale sulla % della popolazione votante, ha abbandonato definitivamente il progetto nel 2019.
- In ultimo l’Estonia, con 1.3 milioni di abitanti, risulta l’unico paese democratico ad impiegare il Voto Elettronico online, seppur anche in questo paese tutti gli studi hanno dimostrato il mancato aumento di partecipazione della cittadinanza alle elezioni e non siano mancate serie problematiche di sicurezza che hanno portato alla ri-emissione di oltre il 50% delle carte d’identità elettroniche per falle nei sistemi di sicurezza crittografici.
Gli studi su voto e blockchain
Se queste sono le esperienze pregresse, le principali indicazioni ci provengono da studi che non si limitano ad esercizi di natura tecnica-tecnologica, ma che affrontano il problema a 360 gradi.
L’ENISA, ente europeo per la sicurezza dell’informazione, nel proprio position paper sulla sicurezza dei sistemi elettorali, ha sottolineato l’elevato livello di rischi di natura geopolitica (pur senza fare riferimenti espliciti a Russia e Cina) delle soluzioni di voto online, ponendole come la soluzione a più alto rischio fra quelle possibili, sottolineando la fondamentale esigenza di un approccio oggettivo ed analitico al tema.
Il recentissimo paper pubblicato sul Journal of cybersecurity con il contributo del MIT IPRI (Internet Policy Research Initiative) dal titolo “Going from bad to worse: from Internet voting to blockchain voting” si è focalizzato su una analisi ad ampio spettro di papers esistenti ha rubricato ogni soluzione basata su blockchain, come peggiorativa delle prerogative e problematicità dell’internet voting.
Non appare ovvio ai non tecnologhi, che si focalizzano spesso solo su problematiche tecnologiche, che il grosso delle problematiche di sicurezza del voto a distanza elettronico non sono crittografiche, e che l’uso delle tecnologie Blockchain addirittura amplifica la problematicità di garanzie democratiche rappresentate dal voto online.
Tale paper scientifico dovrebbe essere considerato da qualunque comitato tecnico o organo di valutazione, giudizio o definizione di metriche relative alla sicurezza dei processi e procedure elettive, soprattutto quando appare chiara l’indicazione politica (e non specialistica) di rivolgersi al voto online con l’impiego di tecnologie blockchain.
Come si comportano le altre democrazie evolute
Negli Stati Uniti il dibattito sulla sicurezza dei sistemi elettorali e l’eventuale opportunità d’introduzione di voto a distanza online è stato oggetto di audizioni pubbliche presso il senato, con il contributo dei massimi esperti dell’accademia, della sicurezza nazionale nonché delle scienze politiche e dell’information technology.
In Italia, seguendo l’emendamento di un singolo parlamentare in una norma “catch-all” si istituisce una commissione inter-dipartimentale fra diversi ministeri che dovrebbe definire le modalità con cui effettuare il voto online in Italia per finalità elettive, politiche.
Negli USA l’esito di anni di dibattito, sviluppato apertamente, ha portato a proposizioni legislative e procedurali rivolte alla rigida reintroduzione della carta, anche nelle macchine di voto elettronico al seggio, escludendo il voto elettronico a distanza.
Questo percorso di rigido ritorno alla carta negli USA si sviluppa già approvando alla Camera il Securing America’s Federal Elections Act nel 2019 (bloccato poi da Trump al Senato) e in seguito riportando nella nuova legislatura Biden il “For the People Act” basato sui medesimi principi.
In Italia, stando agli sviluppi procedurali inter-ministeriali operati a porte chiuse, vorremmo cambiare le procedure elettorali per introdurre il voto online senza dibattito alcuno.
In molti negli USA si sono domandati in quale modo Trump sarebbe potuto intervenire se, nell’ultima tornata elettorale, fosse stato presente un sistema di voto online, con o senza blockchain, potendo intervenire su un numero ristretto di specialisti privilegiati, i programmatori e gli operatori tecnici deputati al funzionamento del sistema.
Appare evidente come il percorso Italiano, soprattutto su un tema così rilevante per il mantenimento delle garanzie democratiche, siamo partiti con il piede sbagliato e stiamo procedendo peggio.
Quali alternative ci sono: il paper
Appurato che ogni forma di voto a distanza, sia esso postale o digitale, rappresenta delle criticità sotto il profilo delle garanzie di integrità del processo elettorale, la risposta più logica è quella di aumentare il voto in presenza, con particolare focus per gli Italiani Residenti all’Estero.
Il paper Un approccio di policy research per la sicurezza del voto degli AIRE basato su analisi dati geo-spaziali dimostra quale sia la possibilità effettiva di offrire voto in presenza all’estero.
Gli autori, Stefano Quintarelli, Fabio Pietrosanti e Maurizio Napolitano, dimostrano con una analisi geo-spaziale della base dati AIRE 2015 (4.1m cittadini) come sia possibile offrire voto in presenza all’84.35% dei cittadini, predisponendo seggi esteri in sole 43 città.
Il 50% di tutti gli AIRE sono in Germania, Svizzera e Argentina e risulta evidente come abbia poco senso inviare 495.000 cartoline postali a Zurigo o 90.000 a Lugano, quando sarebbe possibile predisporre seggi elettorali in queste città con più cittadini italiani della maggioranza dei Comuni italiani.
L’effetto di aggregazione demografica presso le grandi città, in Italia come all’Estero, ha creato la condizione logistica ideale per consentire di pianificare seggi esteri, vuoi usando la Rete Consolare, vuoi con una organizzazione logistica che veda il coinvolgimento e quindi la partecipazione degli stessi concittadini residenti all’estero.
Questo Policy Paper è basato nella logica della oggettiva misurazione dei dati e dovrebbe spingere il Governo e il Parlamento ad una più attenta e approfondita analisi su come aumentare non solo le garanzie elettorali dei concittadini residenti all’estero, ma anche il loro livello di partecipazione e coinvolgimento nei processi elettivi.
Il paper e i risultati di analisi di dettaglio sotto forma di spreadsheet è nel box di seguito.
Voto dei cittadini all’estero, meglio farlo tramite seggi: lo studio