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AI nel 2025, sarà bene o male? Due opposte visioni



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Per alcuni, nel 2025, vedremo il vero potenziale dell’Intelligenza Artificiale (AI) farsi strada in modo dirompete nelle nostre vite quotidiane, a partire dal lavoro. Per altri non sarà nulla di diverso da quanto visto finora

Pubblicato il 27 gen 2025

Marco Martorana

avvocato, studio legale Martorana, Presidente Assodata, DPO Certificato UNI 11697:2017



Convenzione del Consiglio d'Europa sull'intelligenza artificiale

L’AI è una tecnologia intelligente, non solo nel nome. Un’intelligenza che idealmente potrebbe migliorare e talvolta superare le capacità umane in aree quali il processo decisionale, l’elaborazione del linguaggio e il riconoscimento di modelli. Addirittura, è già un punto fermo in molte strategie aziendali, così come nel campo della sicurezza, specialmente in alcuni Stati che ne fanno un uso a volte anche discutibile.
Da tempo, però, ci si chiede anche se gli ingenti investimenti fatti nel corso degli anni produrranno mai i frutti sperati. In altri termini, c’è chi dubita che i miliardi spesi puntando sullo sviluppo dell’AI siano effettivamente ben spesi, come se il gioco non valesse la candela.

Le Big Tech guardano con fiducia al nuovo anno, con scenari mai visti prima, che potrebbero impattare notevolmente sulle vite quotidiane di milioni di persone, con benefici e rischi.

Il 2025 è l’anno della svolta per l’AI?

Secondo alcuni esperti della Silicon Valley, il 2025 potrebbe essere un anno cruciale per l’intelligenza artificiale, segnando un periodo di crescita accelerata. Si prevede che, grazie a sviluppi tecnologici più avanzati, l’AI diventi sempre più integrata in vari settori come la sanità, l’industria, l’educazione, il lavoro e la finanza. Le aziende stanno investendo enormemente in ricerca e sviluppo per rendere l’AI più potente, affidabile e accessibile. Questo potrebbe portare a nuove applicazioni e a una maggiore diffusione delle soluzioni basate su AI, rendendo il 2025 un anno di trasformazione significativa per la tecnologia.
Secondo i più ottimisti tra gli esponenti delle Big Tech, ad esempio, i modelli di intelligenza artificiale generativa (come GPT-3, DALL-E e simili) continueranno a evolversi, producendo testi, immagini, musica e persino video di qualità sempre maggiore. Questo potrebbe portare a nuove applicazioni in marketing, intrattenimento e comunicazione.
Ma è in campo lavorativo che gli esperti della Silicon Valley sembrano prevedere i più grossi cambiamenti.

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Software di Intelligenza Artificiale: le migliori soluzioni per le aziende

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Verso l’Agentic Era

Marc Benioff, CEO di Salesforce, è uno dei sostenitori più accesi del potenziale di trasformazione dell’intelligenza artificiale (AI). A suo avviso, stiamo entrando in quella che chiama “Agentic Era”, un periodo in cui i sistemi di intelligenza artificiale autonomi svolgeranno un ruolo essenziale nel rimodellare il lavoro. Secondo Benioff, l’intelligenza artificiale non si limiterà a fornire assistenza nei compiti, ma diventerà “lavoratrice” indipendente, in grado di svolgere funzioni complesse in modo autonomo. Questo cambiamento potrebbe modificare drasticamente le dinamiche delle industrie, creando “capacità enormi” che consentiranno alle aziende di lavorare in modo più efficiente e di innovare in modi prima inimmaginabili.
La prospettiva di Benioff non è quella di una sostituzione, bensì di “lavoratori intelligenti” che lavoreranno in modo indipendente a fianco degli esseri umani, gestendo qualsiasi cosa, dal servizio clienti alla gestione dell’inventario senza intervento umano. A suo avviso, questi lavoratori digitali porteranno a guadagni di produttività e crescita del PIL senza precedenti, creando molti più posti di lavoro di quanti ne sostituiranno.

Troppo ottimismo dalla Silicon Valley?

Come dicevamo in introduzione, non tutti condividono il grande ottimismo degli esponenti delle Big Tech mondiali, vedendo casomai la solita tendenza a presentare enormi prospettive future che poi vengono disattese.

Cosa ne pensa Goldman Sachs

In particolare, Goldman Sachs ha dato un avvertimento sugli investimenti effettuati nelle infrastrutture di intelligenza artificiale, prevedendo che i miliardi di dollari stimati destinati all’IA potrebbero non produrre gli effetti sperati. Gli scettici dei settori finanziario e tecnologico sostengono che, nonostante l’enorme quantità di capitale destinata allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, la tecnologia non è ancora sufficientemente avanzata per risolvere i complessi problemi del mondo reale che giustificherebbero investimenti così enormi.
Le preoccupazioni derivano principalmente dal fatto che l’intelligenza artificiale, pur mostrando notevoli progressi in alcune aree (come l’elaborazione del linguaggio naturale e il riconoscimento delle immagini), è ancora lontana dall’essere in grado di affrontare molte delle sfide profonde e sfaccettate che le aziende si aspettano di affrontare.

Ad esempio, i problemi che richiedono una profonda comprensione del comportamento, della creatività o del giudizio umano, o anche alcune applicazioni industriali come veicoli completamente autonomi o diagnosi mediche complesse, sono ancora in fase sperimentale o di sviluppo.
In altri termini, secondo i più critici, le sfide che molti nella Silicon Valley vedono come alla portata già dal 2025, sarebbero in realtà aggravate dai limiti fondamentali della stessa tecnologia AI, come allucinazioni e risultati incoerenti, per non parlare dei bias discriminatori, diventando ancora più problematici quando agli algoritmi viene dato il potere di agire da soli.
In conclusione, quindi, secondo l’altro lato della medaglia, lo scenario più probabile per il 2025 potrebbe essere quello di miglioramenti incrementali in termini di produttività ed efficienza, piuttosto che di reinvenzione su vasta scala dei processi lavorativo o raggiungimento di risultati rivoluzionari.
Anche da un punto di vista economico e finanziario, c’è chi vorrebbe riportare tutti con i piedi per terra.
Gli analisti di Goldman dipingono infatti un quadro più preoccupante di quello prospettato dalle Big Tech della Silicon Valley. Jim Covello, sostenendo che, a differenza delle tecnologie del passato – come l’e-commerce, che ha immediatamente offerto soluzioni più economiche ai problemi esistenti – l’IA rimane anche proibitivamente costosa, tanto che nel prossimo decennio potrebbe aumentare la produttività degli Stati Uniti solo dello 0,5% e il PIL di meno dell’1%, ben lontano dall’impatto rivoluzionario promesso dai suoi sostenitori.
Questo nonostante un rapporto dell’istituto McKinsey, il quale afferma che l’intelligenza artificiale fornirà un’ulteriore attività economica globale di circa 13 trilioni di dollari nel prossimo futuro ed entro il 2030, ovvero circa il 16% di PIL cumulativo più elevato rispetto a oggi. Ciò equivale a una crescita aggiuntiva del PIL dell’1,2% all’anno. Se realizzato, questo impatto sarebbe paragonabile a quello di altre tecnologie di uso generale nel corso della storia. Potrebbe accadere, ma per Goldman e i fautori del “non ottimismo”, non sarà certo un qualcosa che si realizzerà di recente.

E se avessero ragione gli ottimisti?

Naturalmente, niente può essere dato per scontato, e chi sa che non abbiano ragione i grandi “sponsor” dell’IA, e che siano proprio le loro previsioni a realizzarsi. Qualora fosse il caso, occorre chiaramente affrontare i rischi di una eventuale esplosione dell’AI nel 2025, non solo nell’impatto sul mercato del lavoro, ma anche sulla privacy e sul trattamento dei dati personali.
Quanto al primo aspetto, l’intelligenza artificiale potrebbe sostituire l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, afferma un rapporto della Goldman Sachs. Potrebbe sostituire un quarto delle mansioni lavorative negli Stati Uniti e in Europa, ma potrebbe anche significare nuovi posti di lavoro e un boom della produttività. E potrebbe eventualmente aumentare del 7% il valore totale annuo di beni e servizi prodotti a livello globale. Il rapporto prevede inoltre che due terzi dei posti di lavoro negli Stati Uniti e in Europa sono esposti a un certo grado di automazione dell’intelligenza artificiale e circa un quarto di tutti i lavori potrebbe essere svolto interamente dagli algoritmi.
I ricercatori dell’Università della Pennsylvania e di OpenAI hanno scoperto che alcuni colletti bianchi istruiti che guadagnano fino a 80.000 dollari all’anno sono quelli che hanno maggiori probabilità di essere colpiti dall’automazione della forza lavoro.
Ma se scendiamo di qualche migliaio di dollari, vediamo come anche professioni più “comuni” sono considerate ampiamente sostituibili, come i servizi clienti e i call center, soprattutto perché le domande e i problemi dei clienti sono spesso ripetitivi. Lo stesso valga per i receptionist, si veda il caso di AimeReception, che può vedere, ascoltare, comprendere e parlare con ospiti e clienti.
Naturalmente, ci sono professioni molto difficili da sostituire, come gli psicologi, i medici in generale, o gli insegnanti, dove la ripetitività è ridotta ed il grado di umana sensibilità richiesto è sempre alto.

Gli impatti sulla privacy


Ma al di là degli impatti sul mondo del lavoro, che, come visto, sono un chiaro-scuro di conseguenze, ora positive per la crescita economica di un Paese, ora potenzialmente disastrose per alcune figure professionali, non possiamo trascurare la privacy.  
Come ormai arcinoto, il funzionamento degli algoritmi richiede un addestramento fatto di ingenti quantità di dati; più l’AI è presente nella quotidianità, più dati verranno raccolti.       
Pensiamo ad esempio ai supermercati Amazon Go. Per fare la spesa è sufficiente scaricare l’app di Amazon Go, creare un conto Amazon e utilizzare lo smartphone per identificarsi all’ingresso del negozio, tramite la scansione di un codice. Bene, riflettiamo sulla quantità di dati raccolti e trattati da questi nuovi supermercati rispetto a quelli tradizionali, dove di fatto l’unica vera raccolta si limita alla videosorveglianza del negozio. Viene da sé che un aumento della presenza della tecnologia porta a dover fare sempre di più i conti con la tutela dei dati personali, anche alla luce del fatto che fornire i dati ad un impiegato umano o ad una macchina, magari collegata ai server di qualche Big Tech extra-europea, cambia molto. Anche, naturalmente, in termini di fiducia di chi quei dati fornice.      

 
Ebbene, non volendo condannare l’AI senza processo, specialmente in un momento in cui, come visto, nemmeno gli esperti sono concordi sui suoi sviluppi futuri, esistono dei modi per prepararsi a scoprire chi avrà ragione. Il primo è naturalmente l’uso consapevole delle tecnologie, imparando a saper limitare l’erogazione dei propri dati allo stretto necessario per una specifica attività. Dall’altro lato, spetta ai legislatori produrre regole efficaci ed in modo sufficientemente veloce per poter mitigare i rischi della piena iper-digitalizzazione delle nostre vite, alla quale, presto o tardi, arriveremo.

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