non solo revenge porn

Violenza di genere online, a che punto è la lotta contro gli abusi



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La lotta contro la violenza virtuale richiede un approccio complesso e multidisciplinare che coinvolga attivamente individui, comunità, enti governativi e aziende tecnologiche. Servono anche programmi di istruzione e sensibilizzazione. Il punto sui recenti sviluppi legali e sulle possibili soluzioni per combattere questa crescente minaccia

Pubblicato il 21 nov 2023

Luciano Magaldi

Membro Ufficiale della White House HH



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Nell’odierna era digitale in cui fluiscono le nostre esperienze di vita, l’evoluzione della tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui comunichiamo, interagiamo e accediamo alle informazioni. L’ubiquità di Internet e delle diverse piattaforme digitali ha aperto una vasta gamma di opportunità e vantaggi. Tuttavia, insieme a questi progressi, è emerso un aspetto oscuro e insidioso: la violenza virtuale, in particolare quella rivolta alle donne e alle ragazze, diventata ormai una realtà globale allarmante che ha raggiunto cifre da capogiro.

La violenza virtuale si manifesta attraverso atti e comportamenti dannosi perpetrati tramite mezzi digitali, tra cui piattaforme di social media, forum online, app di messaggistica e ambienti virtuali di gioco. Questa forma di violenza abbraccia una serie di comportamenti preoccupanti, quali il cyberbullismo, lo stalking online, il revenge porn, il doxing, l’incitamento all’odio e la diffusione di contenuti privati o a sfondo sessuale esplicito e/o minaccioso.

Le diverse forme di violenza sessuale

Ricordiamo, a titolo illustrativo, le forme di violenza virtuale e di genere digitale più diffuse a livello globale che colpiscono soprattutto donne e ragazze di qualsiasi estrazione sociale, cultura ed età:

  • Pornografia vendicativa: nota anche come “revenge porn”, riguarda la distribuzione o la condivisione di immagini o video intimi o espliciti senza il consenso della persona coinvolta. Questo atto mira a umiliare, vergognare o danneggiare la vittima e può avere conseguenze psicologiche, emotive e fisiche devastanti.
  • Tratta (elettronica) di esseri umani: Questa forma di violenza virtuale implica l’uso di piattaforme e tecnologie digitali per reclutare, sfruttare o facilitare la tratta di individui per scopi illeciti, come il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale o il traffico di organi. Questo può includere il reclutamento online, la pubblicità o la coordinazione delle attività di tratta.
  • Abusi e molestie di genere: Gli abusi e le molestie di genere si verificano quando individui sono presi di mira e subiscono comportamenti dannosi basati sul genere o sul sesso. Questo può avvenire online attraverso commenti, messaggi o post che specificamente mirano a individui in base al loro genere.
  • Cyberstalking: Questo termine fa riferimento alla persecuzione, alla molestia o alla sorveglianza persistente e indesiderata di individui online. Implica una serie di minacce, intimidazioni o intrusioni nella sfera privata della vittima attraverso varie piattaforme digitali.
  • Stigmatizzazione sessuale: Questo comporta l’etichettatura, la vergogna o la stigmatizzazione di individui in base al loro orientamento sessuale, comportamento o scelte personali. Nel mondo digitale, ciò può assumere la forma di molestie online, commenti denigratori o diffusione di informazioni false o dannose.
  • Minacce di stupro e morte: lo stupro e le minacce di morte rappresentano forme gravi di violenza virtuale che coinvolgono minacce esplicite o l’incitamento all’aggressione sessuale o al danno fisico. Queste minacce sono spesso utilizzate per intimidire, silenziare o controllare la vittima e possono causare notevole disagio psicologico.
  • Doxing: abbreviazione di “abbandono di documenti”, consiste nell’acquisire e divulgare pubblicamente informazioni private o personali su un individuo senza il suo consenso. Questo può includere indirizzi, numeri di telefono, dettagli sul luogo di lavoro o altri dati sensibili. Il doxing è spesso perpetrato con intenzioni dannose e può portare a molestie, stalking o altri danni di varia natura.

Come rovescio della medaglia, l’avvento e la continua diffusione di infrastrutture del mondo digitale ha aperto nuove possibilità per realizzare tali atti nefasti, consentendo ai perpetratori di sfruttare l’anonimato assicurato dalla rete internettiana non indicizzata da Google i motori di ricerca convenzionali. Questa forma di violenza provoca non solo danni immediati, ma lascia anche cicatrici psicologiche, emotive e sociali durature, talvolta irreparabili, sulle vite delle vittime.

Come conferma, purtroppo da diversi anni leggiamo notizie internazionali che hanno messo in luce numerosi casi di donne vittime di abusi digitali, in particolare di pornografia vendicativa, sia negli Stati membri dell’Unione Europea che negli Stati Uniti d’America, molte delle quali non hanno avuto il coraggio di denunciare e/o adire le vie legali, decidendo purtroppo di porre fine alle loro vite, anche a causa delle enormi umiliazioni subite.

D’altro canto, si assistono a crescenti casi giuridici in cui le donne hanno avuto il coraggio di sporgere denuncia, mettendo anche in risalto l’urgente necessità di avere una legislazione internazionale adatta più “solidale”, rigorosa e aggiornata: basti pensare, ad esempio, agli epidemici casi giuridici di revenge porn (porno vendicativo), in cui è stato sovente sottolineata l’impossibilità di proteggere completamente la riservatezza e la dignità delle vittime di abusi digitali.

Il primo caso legale di portata storica

A tal riguardo la giurisprudenza internazionale, in particolare quella di matrice anglo-americana, nell’ultimo decennio è quella che ha maggiormente accelerato il passo adeguandosi, finalmente, al continuo evolversi di simili casi in crescita esponenziale: in particolare ricordiamo il caso giuridico dell’agosto 2023 citato sul New York Times, in cui una donna del Texas vinse una causa civile ottenendo un risarcimento di 1,2 miliardi di dollari dopo aver citato in giudizio il suo ex-fidanzato per le sistematiche violazioni sessuali digitali, molestie gravi, minacce, calunnie, nonché spionaggio e abusi psicologici.

Questo caso, che da subito catturò l’attenzione dei media e del pubblico americano ed internazionale, mise in luce l’importanza crescente di affrontare il diffuso problema del revenge porn. La donna, identificata con le iniziali “D.L.”, intentò una causa contro il suo ex-fidanzato, Marques Jamal Jackson, dopo che quest’ultimo aveva diffuso immagini intime e video sessualmente espliciti di lei senza il suo consenso.

Questo suo comportamento, immediatamente associato al porno vendicativo, costituiva un reato dichiarato illegale dalla legge texana sin dal 2015: infatti, chiunque ne fosse ritenuto colpevole veniva (e viene) condannato ad una pena di almeno un anno di carcere e ad una multa di almeno 4.000 dollari.

In questo caso legale, si appurò che la storia tra D.L e Jackson ebbe inizio nel 2016, quando la coppia iniziò a frequentarsi. Nel 2020, iniziarono a convivere a Chicago, ma la relazione giunse a una “frattura lunga e prolungata”, secondo quanto riportato nei documenti della denunciataria. D.L. si trasferì temporaneamente a casa di sua madre in Texas, e qui iniziò per lei un vero e proprio calvario di abusi digitali.

Jackson cominciò a spiare D.L. in vari modi, violando ripetutamente la sua privacy e il suo libero consenso. Nel 2021, quando la relazione si concluse ufficialmente, la donna vietò a Jackson di accedere a qualsiasi materiale intimo condiviso durante la loro relazione. Tuttavia, quest’ultimo ignorò deliberatamente il divieto e diffuse le immagini su siti web, reti sociali e persino su un sito pornografico. Creò anche falsi account sui social network e indirizzi email per condividere il materiale con la famiglia, gli amici e i colleghi di D.L. .

Ma le azioni di Jackson non si fermarono: utilizzò anche il conto bancario personale di D.L. per pagarsi il suo nuovo affitto post-separazione e la vessò con chiamate e messaggi di testo da numeri anonimizzati in rete. Cercò perfino di estorcere un prestito dalla banca di D.L., minacciandola che avrebbe passato il resto della sua vita non riuscendo mai e poi mai a cancellare quei contenuti intimi, privati, dalla Rete, anche a causa legale avviata.

Una volta costretta ad adire le vie legali, Jackson fu citato in giudizio ma non si presentò in tribunale; nonostante ciò, il giudice di Houston emise una sentenza storica che condannò Jackson a pagare 200 milioni di dollari per il perdurante stress psicofisico, passato e futuro, perpetrato a D.L., oltreché alla sanzione monstre di 1 miliardo di dollari, più sanzioni accessorie.

Brad Gilde, il difensore legale di D.L., dichiarò il suo sbigottimento davanti ad una sentenza di tale portata risarcitoria e, al contempo, espresse la sua speranza che tale cifra diventasse un deterrente morale-pecuniario per la prevenzione di futuri casi simili da parte tali menti malate e digitalmente abusanti.

Ormai il messaggio della sentenza divenne chiaro in tutti gli Stati federali USA e in tutto il mondo giornalistico che seguì quell’incredibile vicenda: chiunque si proponeva di rovinare e abusare digitalmente ed emotivamente la vittima per il resto della sua vita, doveva invece subire un tale giudizio legale che avrebbe rovinato finanziariamente, il perpetratore, per il resto della sua vita.

A che punto è la macchina legislativa in Italia

Rimando attinenti alla tematica precedente, anche nel Belpaese qualcosa sta cambiando negli ultimi anni: il reato di revenge porn è stato introdotto nel Codice Penale italiano all‘articolo 612-ter della Legge n. 69 del 19 luglio 2019, creata per proteggere le vittime di violenza domestica e di genere a seguito di alcuni tragici eventi mediatici, tra cui il suicidio di una delle vittime.

L’articolo 612-ter comprende due commi distinti, entrambi finalizzati a punire la diffusione non autorizzata di contenuti sessualmente espliciti.

  • Il primo comma sanziona chiunque invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. La pena prevista va da 1 a 6 anni di reclusione e da 5.000 a 15.000 euro di multa.

Questa disposizione si applica a coloro che diffondono tali contenuti dopo averli creati o ottenuti, senza il consenso delle persone coinvolte. In questo caso, il reato è intenzionale, richiedendo solo che l’autore agisca con la volontà di commettere l’atto illecito, senza bisogno di un motivo specifico.

  • Il secondo comma prevede la stessa pena anche per coloro che, avendo ricevuto o acquisito le immagini o i video, li diffondono senza il consenso delle persone rappresentate con l’intento doloso di nuocergli. Questa disposizione mira a prevenire il tentativo di circolare immagini sessualmente esplicite affermando di non averle create, ma solo ricevute da terzi.

Queste novità normative del Legislatore italiano sono fondamentali nel nostro quadro normativo nazionale, in quanto nuovo substrato di futuri aggiornamenti e approfondimenti giuridici; inoltre, sta assumendo sempre più un crescente ruolo (con affiancamento) del Garante della Privacy, un ruolo prioritario nel contesto degli abusi digitali, coadiuvando gli inquirenti e le autorità giudiziarie e velocizzando le segnalazioni digitali di violenza virtuale.

Conseguenze del fenomeno e possibili soluzioni

Le conseguenze della violenza virtuale sono estremamente gravi e complesse. Le vittime spesso sperimentano un aumento significativo dei livelli di ansia, depressione e bassa autostima. La loro vita personale e professionale può subire danni irreparabili poiché la paura di ulteriori molestie online e del pregiudizio sulla propria reputazione può portare all’isolamento sociale, alla perdita di opportunità lavorative e alla rinuncia alla socialità sulle piattaforme digitali. Inoltre, la violenza virtuale contribuisce alla perpetuazione di stereotipi di genere dannosi, rafforzando gli squilibri di potere e minando gli sforzi per raggiungere l’uguaglianza di genere.

Per comprendere appieno la diffusione e i fattori di rischio legati alla violenza virtuale nonché per potenziare l’efficacia delle risposte politiche, è primario dare priorità alla creazione di strumenti di misurazione e quantificazione dei dati relativi a tali comportamenti criminali.

La lotta contro la violenza virtuale richiede un approccio complesso e multidisciplinare che coinvolga attivamente individui, comunità, enti governativi e aziende tecnologiche. Programmi di istruzione e sensibilizzazione sono essenziali per promuovere la consapevolezza digitale e per insegnare pratiche online sicure.

Inoltre, è fondamentale rafforzare il quadro legislativo, ad oggi ancora obsoleto nella maggioranza dei Paesi ad alta digitalizzazione, e i meccanismi di applicazione delle leggi al fine di individuare e punire efficacemente i responsabili di tali reati. La creazione di spazi digitali più sicuri tramite avanzate impostazioni di privacy, moderazione dei contenuti e meccanismi di segnalazione contribuisce significativamente a mitigare il rischio di violenza virtuale.

È essenziale condurre studi di livello accademico, sia quantitativi che qualitativi, che esaminino le risposte del sistema dal punto di vista delle vittime. Allo stesso tempo, è cruciale fornire una formazione specifica sulla violenza virtuale contro donne e ragazze con una prospettiva di genere, al fine di garantire risposte tempestive ed efficaci da parte delle forze dell’ordine nel contrasto alla criminalità online.

Da tempo si sottolinea la necessità di avviare campagne strutturali e continue di sensibilizzazione ed educazione per donne e ragazze, soprattutto all’interno delle scuole. Questo per consentire una diffusa educazione sulla violenza virtuale, informare sulla conoscenza dei propri diritti, degli strumenti giuridici a disposizione per la loro tutela e dei servizi sociali di supporto disponibili.

È imprenscindibile lavorare collettivamente come società digitalmente evoluta per accrescere la consapevolezza, promuovere la resilienza digitale e creare un ambiente digitale inclusivo e sicuro, in cui donne, ragazze e tutti i soggetti vulnerabili possano partecipare pienamente senza temere la violenza o la discriminazione.

Conclusioni

È fondamentale che le istituzioni e le agenzie si impegnino livello comunitario ed internazionale nella lotta contro gli abusi digitali e la criminalità online, affrontando specificamente le forme di delinquenza virtuale legate al genere, con particolare attenzione all’adescamento o al “reclutamento” online di donne e ragazze in situazioni dannose, come il traffico di esseri umani.

Solo attraverso uno sforzo collettivo possiamo apportare miglioramenti reali nel contrasto alla violenza virtuale e alla costruzione di un mondo online/offline basato su valori etici che rispettino i diritti fondamentali e inviolabili della persona umana: la violenza virtuale, e in particolare la violenza di genere contro donne e ragazze, rappresenta un problema che non ormai non può più essere ignorato nelle nostre coscienze di esseri umani digitali.

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