AI

Accesso ai dati della PA, l’utilità dell’intelligenza artificiale

La ricerca di una modalità di accesso in grado di valorizzare l’enorme patrimonio di conoscenze della PA è in corso dagli anni ’90, ma ancora non si è giunti a nulla di veramente risolutivo, sia sul fronte del back end che del front end. Ecco perché, invece, l’intelligenza artificiale potrebbe essere una svolta

Pubblicato il 10 Ott 2018

Guido Vetere

Università degli Studi Guglielmo Marconi

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Tecnologie e metodologie di Intelligenza Artificiale, opportunamente combinate, possono senza dubbio favorire l’accesso ai giacimenti di conoscenze della PA (ancora poco sfruttate). Giacimenti di conoscenze di grande interesse, sia per la cittadinanza, sia per la stessa amministrazione. Ma queste conoscenze vanno predisposte con cura, e i sistemi di ricerca intelligente vanno disegnati tenendo in debito conto il “contratto psicologico” con l’utente.

Accesso ai dati, alla ricerca di una soluzione

L’accesso ai giacimenti di conoscenze della PA da parte di tutti gli stakeholder è ancora oggi a dir poco problematico. Le difficoltà sorgono su due fronti. Sul versante del back-end (le basi di dati e di documenti) non è facile organizzare il materiale informativo, cioè estrapolarne e integrarne i contenuti con piena consapevolezza semantica. Sul versante del front-end (gli strumenti di accesso per amministratori e cittadini) non è parimenti agevole ricercare qualcosa che non si sa bene cosa sia, dove sia e come si chiami. La soluzione a questi problemi si ricerca fin dai tempi dell’AIPA (anni ‘90), ma per lo più attraverso forme di soluzionismo magico (sostanziate poi in corposi appalti) piuttosto che mettendo in campo organici progetti di trasformazione. Troppe volte s’è pensato che nuovi standard (ad esempio i web services) o nuovi paradigmi (ad esempio il cloud) recassero l’agognata soluzione nel palmo della mano; troppe volte il barbaglio della tecnologia s’è dissolto nei tenebrosi meandri della Pubblica Amministrazione.

E se la soluzione fosse l’intelligenza artificiale?

Ora è di turno l’Intelligenza Artificiale (IA). Proprio per il fatto di presentarsi già come una magia, l’IA potrebbe, paradossalmente, prestarsi meno facilmente al soluzionismo che ha afflitto e inficiato molti progetti nel passato anche recente. È vero che l’IA viene spesso pensata come una tecnologia (in realtà è uno scopo perseguito in modi assai vari) ma proprio la sua esoterica facciata impone ai decisori di andare a vedere dietro le quinte, a fare un minimo di reality check. Può l’IA facilitare l’accesso ai giacimenti di conoscenze della PA? Forse sì, ma non senza fatica.

Sul fronte del back-end l’impresa di integrare le conoscenze della PA somiglia per certi versi a ciò in cui Google si cimenta già da qualche anno, cioè costruire quello che chiamano un Knowledge Graph (KG). Tuttavia, mentre Google può attingere a piene mani dal calderone globale dei dati pubblici (ad esempio quelli di Wikipedia), nella PA esiste una forte nozione di titolarità del dato, e mancano quei requisiti di totale e incondizionata disponibilità alla base delle ricerche generaliste nell’infosfera. I dati in possesso delle singole amministrazioni devono sì essere forniti (tranne alcuni casi specifici), ma solo su motivata richiesta di chi deve farne uso. Insomma, un KG inteso come integrale del patrimonio informativo pubblico sembra escluso by design dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD). Nella normativa e nelle consuetudini attuali, si potrebbe al più pensare a un sistema di KG federati, il cui disegno tuttavia richiederebbe un impegno concettuale e tecnico non da poco.

Sul fronte del front-end (si scusi il bisticcio), molte attese vengono riposte nei sistemi di question answering (QA), eventualmente dotati di capacità conversazionali (Interactive QA), basati sul trattamento del linguaggio naturale (NLP). Per dare l’idea, si pensi a un chatbot capace di IA (quelli attuali, per lo più, non lo sono) che sia in grado di guidare l’utente nel formulare correttamente e completamente la propria domanda e successivamente a soddisfarla con una adeguata interrogazione (query) sul back-end (ad esempio, appunto, un KG). Per ottenere un chatbot del genere c’è bisogno anzitutto di lavorare col linguaggio, cosa che per quanto concerne l’italiano può non essere banale, vista anche la carenza di risorse NLP per la nostra lingua. Inoltre, bisogna (con buona pace dei data scientist empiristi) modellare i concetti e le relazioni salienti del dominio di riferimento (l’amministrazione), perché senza modelli (cioè ontologie) non sarebbe neanche possibile sapere di che conoscenza si sta parlando.

Le differenze tra search e QA

In generale, un sistema di interrogazione in linguaggio naturale della pubblica amministrazione dovrebbe tener conto della grande differenza epistemica (relativa alla conoscenza) che esiste tra cercare un documento (search) e cercare la risposta a una domanda (question answering). Un sistema di search (ad es. Google) non si impegna sul fatto che i documenti reperiti contengano la risposta a quello che l’utente sta chiedendo, e l’utente è cognitivamente pronto a seguire i link indicati dal motore di ricerca per cercare egli stesso quella risposta, assumendosi la responsabilità della propria interpretazione. Un sistema di QA al contrario si impegna a fornire la risposta in modo puntuale, avendo ben compreso il nesso con la domanda, col rischio però di sbagliare. Dal momento in cui lo stato dell’arte dei sistemi di QA è lungi dal garantire il 100% di accuratezza, una caratteristica cruciale di questi sistemi dovrà dunque essere quella di rappresentare all’utente il grado di confidenza nella loro risposta.

Nessuna magia, dunque, ma molto e duro lavoro.

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