l’analisi

Adolescenti sui social, vittime o carnefici? Le molte facce della violenza digitale



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I social media possano trasformare gli adolescenti in vittime e perpetratori di abusi: questi spazi digitali possano facilitare comportamenti violenti come cyberbullismo, molestie online e sfide pericolose, con gravi conseguenze psicologiche

Pubblicato il 10 dic 2024

Giorgia Di Iorio

Dipartimento Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma, UOC Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Umberto I

Dario Esposito

Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma

Sara Romano

Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma, Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Umberto I



giovani e social (1)

L’utilizzo dei social media (SM) ha generato nuove forme di interazione che, pur facilitando la comunicazione, hanno portato anche alla diffusione di comportamenti violenti.

Gli adolescenti sui SM sono esposti a violenza sia subita, sia agita, alternandosi frequentemente nel ruolo di vittima e perpetratore della violenza.

Esaminiamo allora l’impatto psicologico della violenza online (cyberbullismo, pornografia non consensuale, cyberstalking, catfishing, scamming), e il ruolo dei SM nella violenza agita accidentale (es. challenges) e voluta (es. criminalità giovanile, violenza autoinflitta).

Cyberspazio e comportamenti violenti degli utenti più giovani

I social media (SM) «rappresentano la colonizzazione dello spazio tra la comunicazione tradizionale di massa [broadcast] e quella privata diadica, offrendo alle persone una scala di dimensioni gruppali e gradi di privacy definito socialità scalabile [scalable sociality]» (Miller et al., 2016).

Essi hanno contribuito a creare un’esperienza per certi versi unica in cui un utente può rapidamente passare dalla comunicazione privata con una o poche persone a un rapporto con un numero virtualmente infinito di utenti anche sconosciuti.

Tuttavia non sempre, soprattutto per gli utenti più giovani e vulnerabili, è facile navigare e gestire questi luoghi digitali che superano le tradizionali barriere spazio-temporali e permettono agli utenti di sviluppare un “Sé digitale” distinto da quello fisico (Aichner et al., 2021). Il cyberspazio è anche diventato un luogo in cui comportamenti violenti e aggressivi si manifestano in modo nuovo e preoccupante.

Fenomeni come il cyberbullismo, la pornografia non consensuale e il cyberstalking si sono diffusi in parte proprio grazie alla natura pervasiva e, spesso, anonima delle interazioni sui SM. Di seguito verrà proposta un’analisi da un punto di vista primariamente psichico dei diversi fenomeni legati alla violenza sui SM e in particolare agli adolescenti.

Di cosa parliamo quando parliamo di cyberbullismo

Il cyberbullismo, o bullismo online, rappresenta un insieme di comportamenti offensivi e lesivi esercitati tramite piattaforme digitali, inclusi insulti, minacce, diffusione di pettegolezzi, rivelazione non autorizzata di informazioni personali ed esclusione sociale (Perren & Gutzwiller-Helfenfinger, 2012). Nonostante sia un fenomeno molto diffuso e studiato, le stime sulla prevalenza del cyberbullismo variano ampiamente, con un’incidenza compresa tra il 4,8% e il 73,5%, a seconda del contesto e delle metodologie utilizzate (Li et al., 2024).

Il cyberbullismo, come il bullismo tradizionale, si basa sui tre presupposti di intenzionalità (azioni deliberatamente volte a creare disagio nell’altro), persistenza nel tempo e asimmetria nella relazione tra bullo e vittima (Perren & Gutzwiller-Helfenfinger, 2012).

Cyberbullismo e bullismo tradizionale: le differenze

Tuttavia il cyberbullismo ha anche diverse significative differenze rispetto al bullismo tradizionale: da una parte il potere di permanenza e accessibilità dei contenuti online, noti come “impronta digitale” (digital footprint), perpetuano l’umiliazione in modo pubblico e potenzialmente indefinito (lingering effect). A differenza delle forme di bullismo fisico, inoltre l’aggressore spesso resta anonimo e la vittima, accessibile ventiquattr’ore su ventiquattro, ha poche possibilità di “sfuggire” agli attacchi (Perren & Gutzwiller-Helfenfinger, 2012).

D’altra parte il cyberbullismo ridefinisce significativamente il concetto di asimmetria nella relazione tra aggressore e vittima, per cui non è necessario che il primo sia particolarmente più “forte” dal punto di vista fisico, “potente”, carismatico o popolare, come spesso succede invece nel bullismo tradizionale; questo aspetto amplia virtualmente il bacino dei “potenziali aggressori” da una parte e dall’altra crea nuovi ambiti in cui si può manifestare l’asimmetria relazionale (es. competenze digitali, di comunicazione online). 

Cyberbullismo: gli effetti sulla salute mentale

In una recente metanalisi che confronta bullismo tradizionale e cyberbullismo sono emersi alcuni dati rilevanti in particolar modo per gli effetti sulla salute mentale (Li et al., 2024). Il cyberbullismo sembra essere almeno il doppio più frequente del bullismo tradizionale: circa un terzo delle vittime di quest’ultimo avevano sofferto anche di cyberbullismo; viceversa, i due terzi circa di chi aveva subito cyberbullismo aveva subito anche la sua versione “offline”.

La letteratura ha evidenziato però anche che le vittime di cyberbullismo mostrano una maggiore incidenza di pensieri suicidari, tentativi di suicidio e autolesionismo rispetto alle vittime di bullismo tradizionale. Questa incidenza è molto aumentata soprattutto in chi è vittima di entrambe le forme di bullismo (Li et al., 2024). Un’analisi trasversale che ha coinvolto adolescenti e giovani adulti in 42 Paesi ha evidenziato anche che l’uso problematico dei SM (cioè un uso disfunzionale in parte assimilabile a una dipendenza da SM) è fortemente correlato sia all’essere perpetratore di cyberbullismo, sia all’esserne vittima, soprattutto tra le ragazze (Craig et al., 2020); in altri termini sia chi subisce sia chi fa cyberbullismo tende a trascorrere troppo tempo sui SM e in modalità inappropriate, non è tuttavia chiaro quale sia il rapporto di causalità tra questi fenomeni. In parte può esserci un mero effetto esposizione, in altra parte altri autori hanno osservato che l’essere vittima di bullismo da una parte aumenta i tentativi di “fuga” dalla quotidianità, trascorrendo più tempo online (e potenzialmente portando a un uso problematico dei SM), dall’altra parte aumenta l’insicurezza psicologica, che a sua volta è un fattore di rischio di uso problematico dei social media (Feng et al., 2023).

Il ciclo di vittimizzazione nel cyberbullismo

Un aspetto peculiare del cyberbullismo, soprattutto in età adolescenziale, è il ciclo di vittimizzazione, in cui le vittime di abusi online si trasformano a loro volta in aggressori. Le vittime di cyberbullismo mostrano una maggiore propensione a comportamenti aggressivi e violenti, inclusi problemi scolastici e comportamenti di assalto (Jaskulska et al., 2022; Hinduja & Patchin, 2008). Questo fenomeno (detto del “bully-victim” o vittime che diventano bulli) appare inoltre essere più comune nel cyberbullismo rispetto al bullismo tradizionale (Aboujaoude et al., 2015).

Ciò sembra confermato anche da un interessante studio retrospettivo condotto su adolescenti finlandesi in valutazione psichiatrica, che avevano manifestato minacce di violenza scolastica (school massacre) (Lindberg et al., 2012). Tale studio ha rilevato come coloro che avevano espresso minacce di violenza in presenza fisica (ad es. in pubblico) tendevano a mostrare maggiore impulsività e storia di comportamenti antisociali. Al contrario, i ragazzi che avevano effettuato minacce online presentavano tassi elevati di depressione e una frequente storia di vittimizzazione da parte dei pari. Le minacce compiute da quest’ultimo gruppo mostravano inoltre maggiori indicatori di rischio, con atti minatori ben strutturati, accompagnati da preparazioni dettagliate.  Questo dato suggerisce che il cyberbullismo non solo agisce come fattore di stress psicologico, ma può alimentare un circolo vizioso di violenza, con effetti psichici e comportamentali significativi, che necessitano di specifici interventi di prevenzione e supporto psicologico.

La legge italiana a tutela delle vittime di cyberbullismo

In risposta all’aumento dei casi di cyberbullismo progressivamente alla diffusione della presenza dei giovani sulla rete, l’Italia ha adottato la Legge n. 71 del 29 maggio 2017, che mira a tutelare i minori da queste forme di abuso. Questa normativa definisce il cyberbullismo come un insieme di comportamenti offensivi o lesivi condotti telematicamente, includendo aggressioni, diffamazione e furto d’identità (con una definizione che quindi in parte si discosta da quelle della letteratura psicologica e per certi versi è più ampia).

Le misure preventive e protettive introdotte dalla legge italiana

Tra le misure preventive e protettive introdotte dalla legge, i minori (dai 14 anni) possono richiedere la rimozione dei contenuti personali dai gestori di siti o SM entro 48 ore; in caso di mancato intervento, è possibile rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali. All’interno delle scuole, la normativa richiede l’istituzione di linee guida per la prevenzione del cyberbullismo e la formazione di personale scolastico, che include la nomina di un referente contro questo fenomeno. È inoltre prevista anche una procedura di ammonimento: un meccanismo preventivo per minori dai 14 anni, che consente un’azione correttiva e rieducativa senza ricorrere a procedimenti penali. In questo caso il Questore, in seguito a una segnalazione da parte della vittima o del suo tutore, convoca il minore e i suoi genitori, emettendo un ammonimento verbale volto a scoraggiare ulteriori comportamenti lesivi.

Al di là degli aspetti normativi, tuttavia, la letteratura ha mostrato che sono possibili diverse misure protettive contro il cyberbullismo e i suoi effetti negativi, in particolare interventi che riguardino la relazione tra pari in ambito scolastico, il supporto e la supervisione genitoriale, il senso di soddisfazione rispetto alla propria vita e le abilità personali del vivere quotidiano (Dorol-Beauroy-Eustache & Mishara, 2021).

Pornografia non consensuale

La pornografia non consensuale (NCP) rappresenta un fenomeno in forte crescita, in parte collegato al cyberbullismo, che va oltre il solo concetto di revenge porn e abbraccia una gamma più ampia di comportamenti lesivi e abusi basati sull’immagine (Äijälä et al., 2023). Il termine più comune, “revenge porn“, tende a essere riduttivo, poiché richiama un intento di vendetta del perpetratore, spesso un ex partner, ma non coglie la complessità e l’ampiezza delle forme di abuso che si manifestano. La NCP include la diffusione di immagini e video intimi senza il consenso della persona coinvolta (De Vita & Della Bruna, 2019). Questi materiali possono essere stati catturati consensualmente durante momenti privati o possono essere il risultato di atti violenti, come riprese non autorizzate durante un’aggressione sessuale o immagini rubate da dispositivi elettronici. La condivisione non consensuale avviene frequentemente tramite canali digitali, con effetti devastanti sulla salute mentale delle vittime.

Il sextortion ( abuso sessuale basato su immagini)

Il sextortion, noto anche come abuso sessuale basato su immagini o “remote sexual assault“, rappresenta una forma di NCP in cui le vittime sono costrette a fornire ulteriori immagini intime, spesso sotto minaccia (ad es. di divulgazione di contenuti precedenti). Questo circolo vizioso dell’abuso è particolarmente frequente tra i minori, con alcuni studi che mostrano come una vittima su quattro subisca minacce già prima dei 13 anni (De Vita & Della Bruna, 2019). Le pressioni per inviare materiale sessualmente esplicito spesso derivano da rapporti stretti, come documentato dal Massachusetts Aggression Reduction Center, che ha rilevato che il 58% degli adolescenti intervistati è stato spinto a inviare sexts da partner o amici stretti (Englander, 2015).

Il sexting

Il sexting stesso, fenomeno in cui gli utenti inviano contenuti sessuali tramite dispositivi digitali, può agire come precursore di veri e propri atti sessuali, facilitando il legame o l’attrazione in maniera lecita, soprattutto se tra persone adulti e consapevoli. Tuttavia, il sexting può anche generare sentimenti contrastanti, come divertimento e connessione, ma anche vulnerabilità e disagio, a seconda del contesto e della reazione del destinatario. L’atto volontario e consapevole di inviare immagini intime, infatti, può facilmente trasformarsi in un abuso quando queste vengono condivise senza consenso o utilizzate per scopi di manipolazione e coercizione.

Le vittime di NCP spesso sperimentano ansia, depressione e sintomi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD), nonché aumento di pensieri suicidi come conseguenza dell’esperienza di revenge porn (Bates, 2017; Orsolini et al., 2023). Le vittime possono sviluppare problemi di fiducia, rendendo difficile per loro instaurare nuove relazioni (Bates, 2017). Le donne in particolare (che comunque sono le principali vittime di NCP) sembrerebbero riportare un tasso più elevato di sintomi somatici rispetto alle non vittime e agli uomini vittime di NCP (Ruvalcaba & Eaton, 2020).

La risposta giuridica al fenomeno del revenge porn

In Italia, la risposta giuridica al fenomeno è relativamente recente. La Legge Codice Rosso del 2019 (art. 612-ter c.p.) ha introdotto pene severe per chi diffonde immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso del soggetto ritratto. La normativa prevede fino a sei anni di reclusione e pene pecuniarie per chi commette tali atti, con aggravanti specifiche se le immagini sono condivise per danneggiare persone legate da relazioni affettive, se vengono usati mezzi telematici, o se le vittime sono in condizioni di particolare vulnerabilità.

Cyberstalking, scamming e catfishing

Il cyberstalking, termine che indica un’aggressione o sorveglianza digitale continua e intrusiva, è spesso correlato al cyber-dating abuse, una forma di violenza nelle relazioni intime che utilizza le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per intimidire, molestare e controllare il partner (Stevens et al., 2020).

La prevalenza di questo fenomeno è stata oggetto di numerosi studi, che hanno fornito dati variabili a seconda delle metodologie utilizzate e delle popolazioni studiate. Una recente metanalisi di 16 studi internazionali ha indicato una prevalenza globale del cyber-dating abuse del 47% degli individui coinvolti in relazioni online (63% per quanto riguarda nello specifico il cyberstalking e 24% per l’aggressione psicologica diretta) (Martínez-Soto & Ibabe, 2023).

Al contrario di quanto spesso evidenziato, questo studio ha evidenziato che le differenze di genere nella vittimizzazione del cyber-dating abuse sono minime, supportando la simmetria di genere (Martínez-Soto & Ibabe, 2023). Il cyberstalking può emergere a causa di emozioni negative quali ansia, gelosia e rabbia, portando nelle vittime a sintomi ansioso-depressivi e maggiore diffidenza nei confronti della tecnologia (Stevens et al., 2020).

Il catfishing, invece, rappresenta una forma di inganno digitale che comporta la creazione di identità false online con l’intento di intrappolare altre persone in relazioni romantiche o amicali fittizie. Il termine è stato reso popolare da un omonimo programma televisivo, Catfish, ispirato dall’esperienza del produttore Nev Schuman (Äijälä et al., 2023).

Le motivazioni dietro il catfishing possono spaziare dalla solitudine, l’insicurezza e la noia, fino al desiderio di vendetta o alla necessità di trarre profitto economico.

A differenza di altre forme di abuso online, il catfishing può risultare particolarmente difficile da perseguire penalmente a causa della difficoltà di provare l’inganno e le sue motivazioni. Questo fenomeno è potenzialmente strettamente collegato alle truffe online (scamming) (Patton et al., 2021). I romance scam, ossia le truffe romantiche, sono particolarmente diffusi e prevedono che i truffatori, spesso attraverso identità false, costruiscano un rapporto di fiducia con la vittima per poi sfruttarla economicamente. I danni di tali truffe non si limitano a perdite finanziarie: le vittime soffrono anche di conseguenze emotive, come la perdita di fiducia negli altri, il senso di colpa e la vergogna (Patton et al., 2021; Paat & Markham, 2021).

Sociasl media e violenza agita

I SM, specialmente tra adolescenti e giovani adulti, sono stati identificati come strumenti con un ruolo ambivalente e talvolta pericoloso nella diffusione di fenomeni legati alla violenza agita. Uno degli aspetti più preoccupanti è l’uso dei SM da parte di minori autori di reato per creare e rafforzare comunità dissociali, aumentando il senso di appartenenza a gruppi criminali, come le gang giovanili. Savona et al. (2022) sottolineano che i giovani spesso sono attratti da queste gang a causa di problematiche relazionali con la famiglia, difficoltà scolastiche, isolamento sociale o contesti di disagio economico. I social media fungono da amplificatori di identità di gruppo e strumenti per generare emulazione o autoassolvimento (es. episodi di risse, lesioni gravi e rapine orchestrate da gang giovanili che riprendono e condividono i loro atti violenti sui social network).

I SM sono anche vettori per sfide (challenges) virali, che vanno da semplici svaghi socializzanti ad attività pericolose (Asher et al., 2024). Alcune sfide diventano popolari su piattaforme come TikTok e Instagram e possono includere comportamenti rischiosi, come la “Tide Pod Challenge” o la “Benadryl Challenge”, che hanno causato lesioni e, in alcuni casi, decessi. L’attrazione dei giovani verso queste sfide può essere spiegata dalla loro immaturità neurobiologica, che li rende più vulnerabili alla pressione dei pari e a comportamenti impulsivi (Asher et al., 2024).

A fini di completezza classificativa, non possiamo non ricordare che i SM sono anche stati in vario modo collegati alla salute mentale e alla violenza autoinflitta (es. comportamenti autolesivi non suicidari e suicidalità), anche se si è ancora lungi dall’identificare dei chiari rapporti eziopatogenetici o di causa-effetto (Valkenburg et al., 2022; Twenge, 2020).

Conclusioni

L’utilizzo dei social media ha creato un terreno fertile per la diffusione di fenomeni di violenza, specialmente tra gli adolescenti, che si trovano spesso a ricoprire ruoli alternati di vittime e aggressori.

La natura pervasiva, anonima e permanente del cyberspazio può amplificare il rischio di comportamenti come cyberbullismo, pornografia non consensuale e cyberstalking, contribuendo potenzialmente a circoli viziosi di violenza con gravi ripercussioni psicologiche.

Gli interventi normativi e le misure di prevenzione, come leggi specifiche e iniziative educative, rappresentano tentativi di arginare questi fenomeni. Tuttavia, per garantire una tutela efficace dei giovani utenti, è essenziale promuovere un uso consapevole dei social media, sia tra i diretti utilizzatori, sia tra le loro figure di riferimento.

Bibliografia

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