Era entrato nella sede di Twitter portando in mano un lavandino. Poi ha iniziato a licenziare qualche migliaio di dipendenti, a dimostrazione che il nuovo capitalismo digitale è in realtà vecchissimo, che distrugge esso stesso i nuovi lavori altamente qualificati che ha creato e non solo quelli vecchi ormai ritenuti inutili (a proposito di disoccupazione tecnologica…).
È stato imitato poi da altri giganti dell’hi-tech e così smentendo in pochi secondi tutte le loro retoriche manageriali, i loro riferimenti alla valorizzazione del capitale umano e i loro modelli gestionali per lungo tempo presentati come innovativi rispetto al passato (un cambio di paradigma non solo tecnologico ma anche nell’uso delle risorse umane – e invece…).
Da poco – stiamo parlando di Elon Musk – ha proposto una pausa di sei mesi nello sviluppo delle nuove forme di intelligenza artificiale, lanciando l’allarme sui rischi legati a ChatGpt, nome ormai sulla bocca di tutti. Lasciando però dietro di sé una serie di ulteriori domande, ad esempio: perché solo sei mesi? E dopo i sei mesi, che si fa con l’IA? E ancora: è forse successo qualche volta nella sua tri-secolare storia che il capitalismo si sia auto-regolato, se in sé e per sé rifiuta o aggira qualsiasi regolazione – arrivando a negare addirittura, in ogni modo e per mezzo secolo, il riscaldamento climatico che esso stesso produceva? Ma soprattutto: una pausa per fare cosa?
Moratoria per cosa?
A queste domande ne aggiungiamo altre, aggiornando quanto avevamo scritto nel nostro ultimo contributo su queste pagine[i]: perché non sono i liberali – non i liberisti, sottospecie del liberalismo e ultima ideologia distopica e totalizzante del Novecento, assieme al positivismo tecnologico e industrialista, tracimate nel nuovo secolo senza che nessuno abbia il coraggio di gridare che il re è nudo – perché non sono i liberali, se hanno davvero a cuore la libertà e il libero arbitrio degli individui come scritto nella loro inziale filosofia politica a proporre una pausa, ma non solo di sei mesi, nello sviluppo dell’IA?
E perché non sono le sinistre a chiederlo, che un tempo volevano rovesciare il capitalismo in nome del principio, umanissimo e umanistico di “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” e oggi tacciono davanti all’ipercapitalismo digitale e se ne fanno anzi promotrici invece di invocare una nuova Comune di Parigi ribellandosi al potere?
O perché non sono gli illuministi (qualcuno esiste ancora) a porre sul tavolo il problema – appunto sempre più urgente – di come governare democraticamente e in nome della libertà dell’uomo e dei suoi diritti di cittadinanza, l’intelligenza artificiale, fermando e poi rovesciando il deficit crescente di democrazia e di libertà che si sta imponendo come un dato di fatto perché così è richiesto dal tecno-capitale e da imprenditori come Jeff Bezos o come Sam Altman (quello di ChatGpt), uomini singoli ma capaci di cambiare la vita di miliardi di persone, a prescindere dal loro consenso ma solleticando il loro feticismo e così portandoli a rinunciare alla conoscenza, all’intelligenza umana e alla consapevolezza?
E quindi – continuiamo a porre domande – come evitare che il mondo sia governato da un oligopolio di imprese private (questa è la realtà soprattutto odierna e dovrebbe essere evidente a tutti) che fa della incessante disruption di società, biosfera, intelligenza/conoscenza e democrazia la sua way of life e il fine del suo agire – ma in nome solo del profitto privato – e si impone sul mondo intero con la complicità di tutti i governi (pensiamo, su un fronte solo apparentemente diverso, alla riforma francese delle pensioni, approvata in modi antidemocratici contro gli interessi e contro la volontà sovrana della società ma a favore del consolidamento ulteriore dell’ideologia neoliberale; o al progetto di educazione finanziaria – ovviamente capitalistica – del governo Meloni)? E ancora: siamo capaci, noi cittadini digitalizzati di riprenderci la democrazia che abbiamo perduto per indifferenza, insipienza e perché affascinati come bambini dal feticismo per la tecnica? Sappiamo prendere consapevolezza che intelligenza artificiale e democrazia e libertà sono in radicale conflitto tra loro, a meno che…? E soprattutto, siamo ancora capaci di ricordare il significato autentico del termine democrazia (del processo che si chiama democrazia)? Quella demo-crazia che significa appunto potere del demos (demos che non è il popolo passivo del populismo e del tecno-capitalismo), cioè dei cittadini – e non certo potere delle imprese e degli imprenditori e dei tecnocrati sui cittadini, obbligati questi ultimi invece (si chiama human engineering e si traduce con management, marketing, social e oggi IA) ad adattarsi ai loro voleri e alle esigenze del profitto privato, nella nuova versione digitale del rapporto tra servo e padrone non secondo Hegel ma secondo La Boétie, cioè la nostra servitù volontaria al potere oggi del tecno-capitale e dell’industrialismo/positivismo, cioè della irrazionalità strumentale/calcolante-industriale, nichilista per sua essenza, e che sta portando a niente (questo significa nichilismo) anche la libertà e la democrazia.
Siamo capaci – conseguentemente – di rivendicare e imporre davvero alle imprese la loro democratizzazione e la democratizzazione dei processi di innovazione tecnologica e un doveroso e democratico principio di precauzione e di responsabilità ambientale e sociale e tecnologica – come è scritto e prescritto dal nuovo articolo 41 della nostra Costituzione? Oppure siamo ormai così strafatti di tecnologia e di capitalismo (e il digitale è tecno-capitalismo totalizzante all’ennesima potenza), da chiederne sempre di più, alienandoci sempre di più – e volontariamente, ancora La Boétie – da libertà e democrazia – e da noi stessi?
Siamo cioè capaci, come cittadini, di rovesciare il rapporto perverso – antisociale, antidemocratico ed ecocida – oggi dominante per cui è la società a doversi adattare ai voleri del tecno-capitale e non, come invece dovrebbe essere se fossimo davvero in una democrazia, il contrario – con l’impresa quindi (il tecno-capitale) che deve essere subordinata (riprendiamo qui le riflessioni di Luciano Gallino) alle scelte fatte dalla democrazia e dalla politica?
Riusciamo cioè a comprendere che il governo del mondo – della nostra vita – è nelle mani del tecno-capitale (per la gioia dei neoliberisti, dei tecnofili irresponsabili e feticisti, dei transumanisti, degli anarco-capitalisti e degli accelerazionisti, della Silicon Valley e di Wall Street), cioè nelle mani di imprese private che sono le fabbriche dove si ingegnerizza (si manipola) il nostro consenso e si produce/pianifica la trasformazione della società intera secondo il modello della fabbrica, a sua volta sublimazione della razionalità strumentale/calcolante-industriale? Riusciamo a comprendere che quindi non siamo più in una democrazia, neppure formale, perché una democrazia governata da imprese private per profitto privato è una contraddizione in termini – e di queste imprese noi siamo ormai solo forza-lavoro[ii], salariata o meno, però produttiva e consumativa e generatrice di dati a produttività e a pluslavoro crescenti (quel pluslavoro descritto da Marx e che il tecno-capitale chiama oggi capitale umano), ma certamente non siamo cittadini nel senso illuministico del termine?
Se ne siamo incapaci – se siamo ciechi davanti alla realtà – è forse perché siamo esistenzialmente e antropologicamente formattati – dall’inizio della rivoluzione industriale, dall’inizio del tecno-capitalismo, in un crescendo rossiniano – appunto da una (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale che si offre però – e noi crediamo a questa narrazione ideologica – come il massimo della razionalità e dell’efficienza, ma anche della libertà e della democrazia (è falso[iii], ma appunto lo crediamo vero, pronunciando una sorta di atto di fede nella religione tecno-capitalista[iv]), che in realtà è finalizzata alla realizzazione del massimo profitto privato e della massima efficienza tecnica e capitalistica – e di cui era caduto preda anche il marxismo – cioè dell’accrescimento illimitato (e a prescindere da responsabilità, sostenibilità ed democrazia) dei mercati e del sistema tecnico.
D’altra parte, era stato appunto il positivismo ottocentesco (Saint-Simon: per il quale scienza e tecnica vanno intese come i motori e insieme come i necessari organizzatori della società nel suo complesso, la società quindi costruita, organizzata, comandata e sorvegliata come una unità industriale – una industria dove gli uomini “non sono che strumenti del sistema e non possono mutarne il corso”; mentre Comte scriveva: “La meta finale consiste nel giustificare e rinforzare l’ordine sociale[…]favorendo una saggia rassegnazione” – appunto, il nostro adattamento alle esigenze dell’industria e del capitale) era stato il positivismo a sostenere che industria e società sono sinonimi e che a governare il mondo dovessero essere industriali e banchieri come guide dei lavoratori. Mentre la prima fonte della servitù volontaria, secondo La Boétie è l’abitudine, seguita dall’assenza di senso critico e di spazi e tempi di discussione, dalla ricerca del divertimento e del piacere, dalla credulità umana, dalla ricerca del proprio riconoscimento da parte del potere – e sembra la perfetta descrizione e realizzazione, appunto positivistica della realtà odierna, anche o soprattutto digitale, dove l’abitudine (se non la dipendenza) regna sovrana, assieme all’assenza di spirito critico e di veri spazi di discussione (rete e social sono un accatastamento di soliloqui/solipsismi senza dialogo, ma generatori di altissimo plusvalore), tutti noi mossi alla ricerca del piacere e dell’intrattenimento e dove massima è la nostra credulità (le fake news, ma non solo).
La democrazia? Qualcosa del passato
Che noi si sia ormai alienati dalla democrazia e quindi dalla libertà (adattandoci volontariamente alle esigenze del padrone, senza che il padrone lo chieda esplicitamente), lo dimostra anche Larry Elliott, Economics editor di The Guardian, quando scrive giustamente, ragionando di IA e di ChatGpt: “There will be a boost to productivity and growth from the increased use of AI, but as things stand, the gains will be highly concentrated”. Ma dopo la denuncia, aggiunge: “The final conclusion is that policy makers need to use the limited time available to them to respond to the obvious challenges”[v]: dimenticando che i challenges in realtà non sono ovvi, ma appunto pre-determinati dal tecno-capitale per massimizzare in primo luogo i propri profitti; e dire poi che i policy makers devono rispondere /respond to the obvious challenges significa rimanere ancora prigionieri del positivismo, significa contribuire alla riproduzione della narrazione ideologica del tecno-capitale, significa collaborare alla dissoluzione della democrazia e della libertà del demos, significa soprattutto restare prigionieri del determinismo del tecno-capitale (non ci sono alternative, rassegnatevi!). Perché i policy makers – in realtà dovremmo dire che è il demos ad essere l’unico e vero e legittimo policy maker, in una democrazia – non devono “rispondere al” ma piuttosto “guidare il” cambiamento secondo le esigenze della democrazia e della libertà e non quelle del tecno-capitale.
E la narrazione ideologica del tecno-capitale trova appunto ulteriore replica quando Elliott aggiunge che: “AI has the potential to bring great benefits, but also has risks that go beyond economics into the realms of privacy and ethics” – una tesi che si replica dall’inizio della rivoluzione industriale, sempre uguale, senza che si riesca però a dare una risposta nel senso di un uso democratico, responsabile, sostenibile anche della intelligenza artificiale, lasciando invece (la non-risposta serve a questo) che l’IA prosegua la sua strada secondo le logiche, le esigenze e la pianificazione del tecno-capitale.
Le tre R
È allora sufficiente, con Elliott, richiamare le tre R proposte per governare l’intelligenza artificiale? Ovvero: “a system of global regulation that sets common standards for the use and development of AI; retraining to prepare the workforce for the inevitable change; and redistribution to ensure that the economic benefits are spread around. As with the climate crisis, the other existential threat of our time, the clock is ticking”. In realtà – condividendo l’ultima parte della frase di Elliott, quella per cui the clock is ticking e quindi non dobbiamo perdere tempo (ma sempre ricordando che guadagnare tempo[vi] e rinviare/nascondere è una pratica appunto classica del capitale per continuare indisturbato nelle sue contraddizioni/crisi e sopravvivere ad esse) – esprimiamo i nostri dubbi, non per una tecnofobia che non ci appartiene e mai ci è appartenuta, ma per il nostro guardare realisticamente e criticamente ai processi avvenuti fin qui.
Ovvero, prima criticità che solleviamo: è difficile immaginare e poi creare un sistema globale di regolazione, essendo nella logica del sistema quello di frammentare, separare e quindi indebolire tutto ciò che potrebbe opporsi alla sua riproducibilità e alla massimizzazione del profitto privato – e pensiamo alla opposizione, organizzatissima, ricchissima e irresponsabile se non criminale, del tecno-capitale industriale (industrialista/positivista) alla messa al bando dei Pfas, sostanze chimiche altamente inquinanti e praticamente eterne visto che si dissolveranno, forse, tra qualche decina di migliaia di anni); servirebbe un potere politico forte, più forte del tecno-capitale, cosa appunto improbabile, lo stesso potere politico agendo piuttosto (i policy makers, cioè la tecno-crazia) come la sovrastruttura funzionale al tecno-capitalismo.
Seconda criticità: pensare a un retraining della forza-lavoro per adattarla all’inevitabile cambiamento richiesto dall’IA ci rimanda a quanto detto sopra, siamo cioè sempre al rovesciamento di ogni principio di democrazia e di libero arbitrio, siamo in un ideologico determinismo/fatalismo indegno di uomini sapiens e moderni – poiché non vi è nulla di inevitabile e di predestinato, come insegnavano gli illuministi (e i marxisti), ma tutto deve essere pensato, deciso e poi costruito dagli uomini padroni di se stessi, perché sempre c’è una alternativa e quindi si potrebbe/dovrebbe pensare a un diverso cambiamento, diverso da quello richiesto dal sistema industriale/digitale capitalistico per i propri interessi.
Terza criticità: per arrivare a una redistribution dei benefici economici – mentre crescono le polarizzazioni sociali e di benessere/reddito – occorrerebbe uscire non solo dal neoliberismo e dalla sua ideologia darwiniana/thatcheriana (“la società non esiste, esistono solo gli individui”; la vita è una savana dove bisogna correre sempre più velocemente, che si sia preda o cacciatore, in una competizione economica e sociale (anti-sociale) dove ciascuno deve essere homo homini lupus), ma soprattutto dall’ideologia della razionalità strumentale/calcolante-industriale, che è appunto ciò che pre-determina sia il funzionamento del capitalismo, sia del sistema tecnico, che è nichilista ed ecocida per sua natura, tendenza ed essenza.
Servirebbe cioè che il demos rivendicasse il suo potere sovrano su capitale e tecnica (compresa l’intelligenza artificiale). Servirebbe, in premessa, che il demos si de-formattasse dal sistema e dalla sua ideologia e uscisse dalla pedagogia della (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale.
Al momento, purtroppo, sembra qualcosa di ancora molto lontano, oltre la linea dell’orizzonte. Eppure, sempre più necessario – secondo il nostro inattaccabile ottimismo della volontà. Perché, appunto, the clock is ticking…
Bibliografia
[i] L. Demichelis, “La catena di montaggio ieri, oggi ChatGpt: è il capitale che governa il mondo” – https://www.agendadigitale.eu/industry-4-0/ieri-la-catena-di-montaggio-oggi-il-digitale-e-il-capitale-che-governa-il-mondo/
[ii] L. Demichelis, “La società-fabbrica. Digitalizzazione delle masse e human engineering”, Luiss University Press, Roma, 2023
[iii] E rinviamo al sempre più attuale testo del Gruppo Ippolita, “La Rete è libera e democratica. Falso!”, Laterza, Roma-Bari, 2014
[iv] L. Demichelis, “La religione tecno-capitalista. Dalla teologia politica alla teologia tecnica”, Mimesis, Milano-Udine, 2015
[v] https://www.theguardian.com/commentisfree/2023/apr/07/ai-artificial-intelligence-west-weak-productivity-low-growth
[vi] Rinviamo a W. Streeck, “Tempo guadagnato”, Feltrinelli, Milano, 2013