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AI, l’Italia rischia il caos normativo, ecco perché



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L’Europa detta le regole con l’AI Act mentre l’Italia si disperde in 17 proposte di legge, ignorando le competenze esistenti e rischiando sovrapposizioni normative nella governance dell’intelligenza artificiale

Pubblicato il 30 gen 2025

Baldo Meo

Giornalista, già Responsabile del Servizio "Relazioni esterne e Media" del Garante per la Protezione dei Dati Personali



modelli ai sul pc

Quella dell’intelligenza artificiale, nel corso della quale ci troviamo, è una rivoluzione senza precedenti, che sta alterando il rapporto tra uomo e macchina, dove non entrano in gioco solo fattori tecnico-scientifici, ma anche questioni etiche, antropologiche ed economiche legate a nuove forme di sviluppo capitalistico.

IA, la norma insegue la tecnologia

Mai come in questa epoca la norma insegue la tecnologia, considerate la velocità con cui le innovazioni si susseguono e l’altissima competizione globale.

Prova ne è il lancio da parte della startup cinese DeepSeek di una chatbot gratuita, diventata in poco tempo l’app più scaricata da Apple Store, terremotando da una parte il primato Usa e dall’altra ponendosi totalmente al di fuori delle misure occidentali a tutela della privacy e della censura. Tanto che il nostro Garante per la protezione dei dati personali ha immediatamente avviato un’istruttoria.

L’Europa e il regolamento sull’intelligenza artificiale

L’Europa, se è in ritardo sullo sviluppo tecnologico, cerca di essere al passo almeno sulle regole per governarlo. Il Regolamento europeo in materia di intelligenza artificiale (il cosiddetto “AI Act”), entrato in vigore nell’agosto 2024 con l’obiettivo di garantire la sicurezza e il rispetto di valori europei nell’uso delle nuove tecnologie, pur con tutti i suoi limiti rappresenta un traguardo importante.

Il Regolamento, per quanto mediante un approccio classificatorio, nelle norme sui “modelli di AI per finalità generali” contiene previsioni per i sistemi di intelligenza artificiale generativa e i Large Language Models, che stanno dominando il mercato e puntano a traguardi sempre più avanzati. Il Regolamento prevede per i sistemi “a rischio sistemico”, quali appunti quelli di AI generativa, una serie importante e dettagliata di obblighi da rispettare.

Il principio di “rischio sistemico” nell’AI Act

L’introduzione del principio del “rischio sistemico” potrebbe rivelarsi utile anche per gli sviluppi di un’ancora ipotetica Intelligenza Artificiale Generale (AGI), a sistemi cioè in grado di trasferire conoscenze e competenze da un contesto ad un altro, essendo dotati di una flessibilità paragonabile a quella umana, capaci di risolvere casi sempre più complessi e di operare in modo autonomo. Ma potrebbe rivelarsi uno strumento valido anche per ricercare soluzioni riguardo a sperimentazioni come quella, documentata da un recente studio pubblicato dall’Università cinese di Fudan, dei modelli (uno di Meta e uno di Alibaba) autoreplicatisi senza intervento umano.

La necessità di regole rigorose per l’IA

Che ci sia dunque necessità di definire regole via via sempre più rigorose e puntuali per il governo dell’intelligenza artificiale è una priorità assoluta ovunque riconosciuta, anche tenuto conto del fatto che i Big Tech sembrano pensare di poter operare senza freni, aiutati da quanti tacciano di burocrazia gli forzi europei.

La complessità di regolamentazione in italia

Ma se, visto il contesto, è complicato definire regole dinamiche e lungimiranti in ambito sovranazionale, risulta ancora più ambizioso, quando non ridondante, farlo in ambito nazionale. In Italia, secondo un’interessante inchiesta del “Sole24Ore” (26 gennaio), nell’attuale legislatura sono state presentate, da vari partiti, ben 17 proposte di legge, 14 alla Camera e 3 al Senato.

Si va dalla richiesta di maggiore trasparenza sull’uso degli algoritmi (già prevista nell’AI Act), alla creazione di un’ennesima Autorità indipendente “allo scopo di affrontare le regole, le questioni tecniche, etiche, normative e di sicurezza”, oppure di una “Agenzia per l’intelligenza artificiale” con compiti di formazione del personale della Pa, passando per testi di legge “copia e incolla” dell’AI Act sul labelling c annessa richiesta di ulteriori poteri per l’Agcom sull’etichettatura dei contenuti prodotti di intelligenza artificiale, o ancora iniziative legislative per l’attribuzione all’Agid del compito di disciplinare le modalità di rilascio delle certificazioni di qualità per i sistemi o per la creazione di un Comitato interministeriale ad hoc, sul modello di quello del settore spaziale e aerospaziale, a fini di coordinamento e programmazione della politica nazionale in materia di AI.

Tutto un fiorire di progetti di legge che non solo non sembrano tenere conto delle decisioni già assunte dal Governo su chi dovrà occuparsi della governance di questo settore nel nostro Paese, ma che non hanno sentito il bisogno di considerare il lavoro e le competenze di chi sull’intelligenza artificiale ci ha davvero lavorato.

Il ruolo del Garante per la protezione dei dati

E’ stato il Garante per la protezione dei dati il primo a intervenire per porre a livello mondiale la questione delle regole per l’AI e il primo a essersi interrogato sulle questioni etiche determinate dall’uso di questi sistemi tecnologici ben prima dei risonanti interventi che leggiamo e ascoltiamo oggi.

Vale la pena ricordare che, quando tutti si limitavano a esprimere preoccupazione, ma senza poi mettere in atto alcuna azione di contenimento, è stato il Garante italiano a porre per primo la necessità di far rispettare a ChatGPT le regole privacy sancite a Bruxelles. E già allora l’arretratezza del nostro mondo politico ed imprenditoriale aveva dimostrato scarsa attenzione, se non addirittura fastidio, all’azione del Garante.

Nessuna delle proposte di legge ha pensato di spingere il Governo italiano, che con il Ddl attualmente in discussione a Senato attribuisce a due agenzie governative le competenze sull’AI, a cambiare rotta e a prevedere il Garante per la protezione dei dati personali quale autorità di controllo, non già solo perché già ampiamente competente, ma anche perché maggiormente indipendente da Governo e Parlamento. Tutte le proposte di legge presentate sembrano concentrarsi invece su aspetti residuali, quando non superflui, rispetto alle previsioni del Regolamento o, peggio, attente a aumentare i già numerosi attori in campo, assegnando perfino, in un caso, autonomia finanziaria “anche in deroga alle norme di contabilità pubblica.

L‘attivismo inefficace e la corsa delle big tech

C’è insomma una rincorsa a dimostrarsi pronti su un campo che pochi maneggiano, ma che essendo la buzzword del momento si presta all’attivismo di maniera, poco utile però a centrare gli obiettivi, finendo invece per sovrapporre norme e organismi e contribuendo a aumentare confusione, mentre i vari Google, Meta, Open AI, Anthropic, Palantir,Alibaba, ed ora DeepSeek, continuano la loro inarrestabile corsa.

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