È difficile pensare che questo periodo possa passare senza lasciare segni permanenti nella “forma museo” che abbiamo conosciuto finora. Gli effetti si sono fatti sentire e ancora avvertiamo che quanto sta accadendo è solo una fase che ha sconvolto, più che coinvolto, le nostre abitudini.
Analizziamo il rapporto tra museo e digitale in epoca Covid, cercando di disegnare, partendo da alcune domande chiave, uno scenario per il futuro prossimo della cultura digitale.
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Musei e digitale: le domande chiave
Cosa vogliamo fare del digitale? Cosa chiediamo al digitale? Cosa il digitale chiede a noi? Cosa chiedono le comunità ai nostri musei? Risponderemo in ordine sparso, richiamando qua e là le questioni poste dalle domande.
Con tutte le dovute cautele potremmo dire che quanto sta accadendo è l’occasione da cogliere per intraprendere un cambiamento necessario, che tardava ad arrivare ma che ora si presenta come passaggio obbligato: uscire definitivamente dal museo slegato dalle comunità e che non conosce e condivide i suoi linguaggi. A questo riguardo ci sono importanti domande che pongono famiglie e le associazioni alle quali il museo potrebbe rispondere (e in molti casi già lo fa). Come vedremo, la relazione tra digitale e museo non si limita alla sola questione della virtualità, del migrare le immagini della collezione e i contenuti all’interno di tour virtuali. Si tratta invece di dare una diversa forma al proprio museo mantenendo la relazione con lo spazio fisico che abbiamo conosciuto e che riconosciamo come il punto nel quale si elaborano le azioni.
Dopo un primo periodo di lockdown totale siamo entrati in un secondo momento di apertura regolata da dispositivi, presidi sanitari e norme precise di comportamento. Infine siamo tornati alla chiusura senza l’affiancamento di un lockdown generalizzato. Cosa ci attende nel futuro? Molti credono che quanto sta accadendo alla cultura (musei, teatri, cinema…) abbia un senso solo in relazione a un cambiamento sia strutturale che nel rapporto con gli altri enti e istituzioni. La cultura, tra le tante categorie della società, ha sofferto maggiormente in quanto, a differenza di altre, non è percepita come elemento capace di cura. Piuttosto è sempre vista come parte del problema da risolvere. Ma cura e protezione sono due concetti legati tra loro, pilastri della definizione di museo. La cura è anche alla base dei concetti di accessibilità e inclusione.
È anche importante ricordare che qualsiasi intervento digitale o analogico non può scostarsi da una cultura dell’accessibilità che a sua volta conduce all’inclusione. Tra le commissioni tematiche italiane di ICOM, International Council of Museums, le due che sono state coinvolte già nei primi momenti della pandemia sono quella per l’Accessibilità Museale, coordinata da Lucilla Boschi, e quella per le Tecnologie digitali, coordinata da Anna Maria Marras.
Per alcuni musei l’arrivo della pandemia ha comportato un momento di passaggio: l’ingresso all’interno di una cultura digitale, operazione niente affatto intuitiva. Aprirsi al digitale ha innanzitutto significato “uscire” dalle proprie abitudini per entrare in uno spazio non noto, del quali non tutti conoscevano le grammatiche e le metriche. La pandemia, attraverso il digitale, ci ha mostrato nuove fragilità. Una prima di natura biologica e una seconda di natura tecnologica e comunicativa.
Digital transformation per i musei
Molto schematicamente la crisi sanitaria arriva dopo una crisi ambientale che avanza senza precedenti e una crisi sociale che si manifesta nella sua dimensione politica ed economica. Entrambe devono essere declinate, trasformate all’interno del digitale. La competenza in merito alle discipline scientifiche che hanno retto il pensiero museologico sino a qui non sono più sufficienti per affrontare una contemporaneità – che non solo per il COVID – sta minando le nostre abitudini. Molte delle esperienze viste nel primo periodo l’hanno messo in evidenza. Ma quelle stesse competenze hanno dimostrato alla società che la resilienza umana può ripartire proprio dai musei. In quanto luogo di incontro delle comunità, dove si condividono e sviluppano pensieri e visioni e dove poter ricercare nuove forme di partecipazione.
Il processo era già cominciato. Già il Mibact, con il lavoro di Gabriella Cetorelli e l’allora Direttore della Direzione Generale Musei Antonio Lampis, ne è stato testimone. Per questo motivo sono bastati pochi giorni di chiusura degli spazi fisici per vedere apparire e incrementare l’attività social dei musei. Una prima necessità per rimanere in contatto con il proprio pubblico tramite le piattaforme, con prodotti non sempre a livello della comunicazione museale e non sempre con esperienze professionali pregresse, ma sicuramente si deve apprezzare l’impegno, specie in chi poi si è attrezzato e proprio su questo ha lavorato.
Nel bene e nel male le tecnologie digitali, pur mantenendo lontano il pubblico dalle sale, hanno permesso ai musei di rimanere metaforicamente aperti rispettando le direttive che hanno imposto la chiusura fisica delle sale espositive per la sicurezza del personale museale e del pubblico.
Cosa ci ha insegnato la prima reazione alla chiusura? Tutti i musei hanno promosso un’ampia gamma di progetti e attività digitali per continuare a sostenere l’accesso al patrimonio culturale e mantenere un rapporto con il proprio pubblico. È stato fatto in presenza e in assenza di competenze specifiche, con risultati differenti ma è stato fatto. E questo è importante. Anche dagli errori, quando riconosciuti, si cresce. Il pubblico forzatamente casalingo ha risposto partecipando, osservando con la nuova curiosità del primo periodo, il periodo della riscoperta del tempo liberato. I musei hanno raccolto i contenuti dalle risorse dei propri archivi e hanno prodotto contenuti con gli strumenti a disposizione, non sempre all’interno o in continuità con un piano di comunicazione preesistente o comunque presente.
Le risposte digitali dei musei al lockdown
Alcuni musei hanno semplicemente preso un posto all’interno dei social cercando di essere presenti, essere lì dove in quel preciso momento si trovava la propria comunità di riferimento. Hanno fornito nuovi contenuti e dato forma al museo all’interno di mostre virtuali, incontri curatoriali, dialoghi e tour virtuali. La parete piena di volti che parlano e ascoltano e sorridono frontalmente è diventata la nuova misura del nostro stare in rete, il display del nostro museo quotidiano, del nostro museo di casa.
Ma le soluzioni digitali richiedono tempo, formazione, competenze, e integrazione oltre alla volontà di investire parte del budget in comunicazione digitale. Non ci sono alternative. Le domande che si pongono oggi riguardano quali sono gli strumenti che permettono ai musei e al pubblico di incontrarsi in uno spazio che non è quello del museo ma deve parlare la stessa lingua e usare lo stesso tono, deve offrire esperienze in continuità con quelle degli spazi fisici. Quali strumenti digitali possono aiutare i musei a sostenere la comunicazione con la comunità nei tempi difficili a venire, e come possono i musei valutare se e quando adottare queste soluzioni?
L’eredità che possiamo sperare per quello che sta accadendo è che non sia una soluzione transitoria ma che possa aprire e metaforicamente fare uscire i musei dalle proprie stanze. Sarebbe auspicabile che le esperienze interattive che fino a pochi mesi fa si potevano vivere in sicurezza in alcuni musei, possano essere rielaborate per la rete, nelle gallerie e negli spazi pubblici.
Cosa ci aspettiamo dal digitale? A partire dal marzo 2020, durante la prima ondata di chiusure, il Museo è stato capace di creare intorno a sé una rinnovata attenzione. Alcuni musei in particolare sono stati capaci di aumentare i propri follower sui social media anche con ordini di grandezza importanti, diventando virali e andando a coinvolgere alcuni social non propriamente pensati per le attività culturali di un museo come TikTok. È difficile misurare il successo complessivo di questi sforzi perché, in molti casi, i musei sono passati ai contenuti digitali senza chiare aspettative sui risultati. Non so quante siano le ricerche che un museo può utilizzare per fissare obiettivi utili per presentarsi a un pubblico. A posteriori ne abbiamo viste molti ma prima di marzo 2020 un campione così vasto di indagine mancava. A questo proposito definiscono una serie di strategie possibili il libro Musei e media digitali (2019) di Nicoletta Mandarano e Musei e cultura digitale (2020) di Maria Elena Colombo. I due volumi testimoniano l’intensa attività di dialogo che si svolge non nelle sole librerie ma all’interno dei canali digitali.
Musei digitali, il ruolo dei social
I contenuti esposti durante la prima chiusura erano composti da video, immagini e testi pubblicati tramite le piattaforme social come Facebook, Instagram, Twitter. Questi elementi sono stati organizzati per produrre approfondimenti su alcune opere, presentare i temi di ricerca del museo e in alcuni casi sono stati organizzati dei tour virtuali dell’intero percorso. Col tempo sono poi arrivate le conferenze e gli eventi e infine le attività laboratoriali a distanza. Ma per quale pubblico? Non sempre c’è stata consapevolezza a questo proposito.
Del resto il tema dell’inclusione è emerso con forza anche sul fronte scuola, dove la didattica a distanza ha fatto emergere una serie di problematiche su piattaforme ad hoc, accesso per tutti, qualità della trasmissione dei contenuti, sicurezza. Ma anche lo smart working ha aperto una serie di problemi su competenze digitali, disponibilità di tecnologie e capacità delle reti. In particolare poi le persone con disabilità sono state tra tutte quelle con maggiori problemi.
Lucilla Boschi, coordinatrice ICOM Accessibilità museale e educatrice dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza e curatrice del Museo Tolomeo di Bologna, con il Servizio di Consulenza Educativo dello stesso Istituto ha progettato contenuti e laboratori digitali per le famiglie con bambini e ragazzi con disabilità visiva e pluridisabilità in età scolare, per fornire loro supporto nello studio delle materie curricolari pur se a distanza e privi della vicinanza degli insegnanti di sostegno; tale progetto è inserito all’interno della rete nazionale dei Centri di Consulenza Tiflodidattica, coordinati da Linda Legname dell’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) diretta da Mario Barbuto. Ma anche il Museo Omero diretto da Aldo Grassini, coadiuvato sul fronte della comunicazione da Annalisa Trasatti, è stato pronto a offrire contenuti utili e accessibili. Si tratta di attività che potranno dar vita a servizi che il museo potrà continuare anche a seguito della pandemia (ad es. tutorial e corsi online, gallerie virtuali, biglietterie online per la prenotazione degli accessi).
I problemi del post-lockdown
Con la riapertura dei musei la presenza nel digitale è stata per alcuni ambiti necessaria e per altri ha invece rappresentato un problema inverso. Prendiamo il caso delle biglietterie. Averne fatto una migrazione on-line ha permesso ai musei di risolvere molti problemi per la sicurezza legate alle file e alla presenza concentrata del pubblico. L’emissione di biglietti online è stata necessario per la sicurezza delle persone e per il tracciamento degli accessi: in qualsiasi momento i musei sapevano chi ci sarebbe stato, quanto pubblico compresi i nominativi dei presenti, dato riservato ma necessario in caso di contagio. L’apertura di uno sportello online ha aumentato spesso la qualità della comunicazione sugli orari e le modalità di accesso e ha offerto la possibilità di fidelizzare il pubblico al sito che, se ben fatto, può fornire informazioni, anticipare contenuti del museo e potrebbe anche suggerire sperimentazioni intorno ad orari prolungati o accessi speciali a eventi (a pagamento) esclusivi per famiglie o piccoli gruppi.
Ma rimangono in campo alcuni interrogativi: qual è il potenziale impatto sull’accessibilità del pubblico verso le biglietterie on-line? La richiesta di prenotazione o emissione di biglietti online è una barriera in più per le persone con problemi di accessibilità sia fisica, cognitiva, sensoriale, culturale ed economica. Spesso il biglietto è rincarato dal costo della prevendita in quanto è affidato a terzi che applicano rincari per la prevendita. Inoltre, ancora troppi siti web non si sono adeguati alle normative in termini di accessibilità e continuano a essere poco o per nulla usabili dalle persone con disabilità.
Non possiamo ignorare che in molti musei il digitale è già presente e che viene normalmente utilizzato. Cosa è successo a questi dispositivi durante la prima riapertura? Molte strutture hanno dovuto sostituire i dispositivi in uso nei locali dei musei con altri dispositivi come le APP che si possono installare negli smartphone di proprietà dei visitatori. Questo va incontro solo a chi già possiede uno smartphone o uno smartwatch. Chi usa un vecchio telefonino o non lo possiede affatto resta escluso dalla comunicazione che aumenta o è centrale nell’esperienza.
Inoltre, gli schermi touchscreen disponibili normalmente nei percorsi di vista e buona parte delle audioguide non hanno potuto essere più usate. Rese inaccessibili anche le mappe tattili e qualsiasi altro strumento per la disabilità visiva dove la tattilità è supporto per l’informazione.
Il museo del futuro
Museo e digitale sono quindi due facce di una stessa medaglia che rappresenta la nostra contemporaneità. In questo terzo momento di chiusura la cultura è nuovamente stata allontanata dalla fisicità delle sue comunità. Ma è cambiata la reazione dei singoli musei. Oggi assistiamo alla generale domanda da parte dei musei di conoscere e di scambiare esperienze online anche in diretta all’interno di incontri pubblici: vanno in questo senso molti progetti di allestimenti virtuali in ambienti metaforici, ambienti imitativi e cioè copia della realtà, con e senza avatar in presenza. Come sempre i migliori progetti sono quelli che sanno ascoltare con competenza e professionalità il proprio contesto fatto di territori, politiche, comunità, bisogni speciali, fragilità, includendo all’interno di qualsiasi linguaggio o forma le istanze raccolte attraverso le domande rivolte al pubblico e le domande ricevute dal pubblico.
Quindi non stiamo assistendo alla fine del museo. Basta rivolgere lo sguardo al passato per vedere quante volte il museo ha cambiato forma per adattarsi al contesto e alla domanda di cultura della comunità. Perché le collezioni, il loro studio e la loro valorizzazione sono e restano elementi centrali. È la molecola che cura. Ma servono i veicoli e il digitale è il migliore veicolo che abbiamo oggi per veicolare la cura che il museo può offrire alla nostra società.
Oggi il museo ha un compito molto ambizioso: contribuire allo sviluppo di una consapevolezza ambientale, stimolando un’economia più sostenibile e mettendo al centro accessibilità e inclusione. Le collezioni del futuro sono già “in costruzione”.