media literacy

Alfabetismo, competenze, partecipazione: elementi per una democrazia digitale



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Le competenze digitali, non si possono ridurre a degli insegnamenti funzionali a singoli task, ma necessitano di una costante contestualizzazione culturale, politica e sociale. Occorre perciò considerare la Media Literacy come solo una delle dimensioni che compongono le svariate competenze al centro dei processi educativi mediali

Pubblicato il 22 mag 2023

Marco Giacomazzi

Università di Bologna



La crisi delle competenze cyber e digital: stato dell’arte e sfide future

Il contrasto alle disuguaglianze nella distribuzione delle competenze digitali si può combattere solo attraverso delle azioni di Media Education che superino i limiti della Media Literacy. Come si sosterrà in seguito, questo è dovuto alla natura stessa delle competenze digitali, che non si possono ridurre a degli insegnamenti funzionali a singoli task, ma necessitano di una costante contestualizzazione culturale, politica e sociale.

Questo tipo di intervento educativo è possibile solo se si supera la visione della digitalizzazione come un processo di democratizzazione spontanea dell’accesso delle informazioni: se si adotta una prospettiva semiotica di cooperazione intepretativa (Eco 1979), appare evidente come l’interpretazione sia un processo sociale regolato da competenze enciclopediche che non possono emergere in maniera spontanea dai testi – men che meno da testi digitali che presentano specifiche affordances.

Se quindi da un lato si continua a sostenere che la democrazia – e i processi di democratizzazione – non consista nel presumere un’eguaglianza formale, ma intervenire in maniera sostanziale nella rimozione delle barriere che ci rendono diseguali, si vuole dall’altro ricordare la tesi di Buckingham (2019), per la quale la Media Literacy, in quanto nozione individualista e responsabilizzante, venga utilizzata come spauracchio dalle istituzioni per scaricare sugli individui la responsabilità della propria educazione mediale, senza mettere in atto delle vere iniziative sistematiche di regolazione (Giacomazzi 2022).

Da dove deriva questa interpretazione dell’alfabetizzazione mediale?

Dalla Media Literacy alla partecipazione pubblica: un passaggio obbligato?

Al giorno d’oggi, la Media Literacy è un campo di studio riconosciuto istituzionalmente come riflessione e progettazione del corretto insieme di conoscenze per affrontare le sfide offerte dal panorama dei media: nel contesto nordamericano, ad esempio, la National Association for Media Literacy Education (NAMLE) definisce la Media Literacy come “la capacità di accedere, analizzare, valutare, creare e agire utilizzando tutte le forme di comunicazione”, chiarificando che essa è solo una parte di un più ampio processo educativo: “Media refers to all electronic or digital means and print or artistic visuals used to transmit messages. Literacy is the ability to encode and decode symbols and to synthesize and analyze messages. Media literacy is the ability to encode and decode the symbols transmitted via media and synthesize, analyze and produce mediated messages. Media education is the study of media, including ‘hands-on’ experiences and media production. Media literacy education is the educational field dedicated to teaching the skills associated with media literacy”.

La Media Literacy sembra quindi essere circoscritta a un concetto di stampo funzionalista, che mira a educare le persone a codificare e decodificare messaggi mediali, all’interno di uno studio più ampio dei media, delle produzioni mediali, che può anche essere orientato alla trasmissione delle competenze.

Una versione più sofisticata viene fornita dal report “Media Literacy Versus Fake News. Esperienze e best practice in Italia” (Aroldi et. al. 2022), condotta nel quadro di IDMO – Italian Digital Media Observatory, che riporta la definizione della Media Literacy indicata dalla Commissione Europea nel 2007, orientandola verso la cittadinanza digitale – intesa come “la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuali” – e ponendola come prerequisito fondamentale per contrastare i rischi della disinformazione.

La Commissione Europea definisce ufficialmente, già nel 2007, la Media Literacy (“alfabetizzazione mediatica” nei documenti tradotti in italiano) come «la capacità di accedere ai media, di comprendere e valutare criticamente diversi aspetti dei media e dei loro contenuti e creare comunicazioni in una varietà di contesti». In una parola: cultura. Quella capacità di creare connessioni e sviluppare senso critico, di non essere passivi recettori di informazioni, ma attivi e consapevoli, passa anche per i media. E per il mondo digitale.

In questa definizione emergono già alcune questioni che verranno approfondite in seguito, ossia la consapevolezza – che chi scrive si spinge a considerare squisitamente semiotica – del fatto che non esiste processo informativo (di codifica-decodifica; di simbolizzazione; di interpretazione) che non sia un processo eminentemente culturale ed enciclopedico (Eco 1984), ossia che non consista in un’operazione attiva di selezione di elementi all’interno di una rete di connessioni intertestuali.

Nel contesto italiano, prima della Media Literacy (lett. Alfabetizzazione mediatica) c’era l’alfabetizzazione attraverso i media. Dalla trasmissione televisiva del maestro Manzi “Non è mai troppo tardi”, andata in onda dal 1959 al 1963, al programma televisivo di Umberto Eco e Tullio de Mauro “Le vicende della lingua italiana” del 1973, è stata perseguita un’operazione di democratizzazione culturale attraverso i mezzi di comunicazione massa – in questo caso, programmi televisivi. Per quanto riguarda queste iniziative, l’applicazione del concetto di ‘democrazia’ o ‘democratizzazione dell’informazione’ è adeguato, perché questi sono esempi di operazioni culturali progettate volte a condividere competenze alfabetiche attraverso i media. È un esempio che mostra perché non possiamo considerare la digitalizzazione un’operazione di democratizzazione dell’informazione per se: la diffusione di un mezzo tecnologico è difficilmente un’operazione pedagogica, se non è accompagnata da misure sistemiche per condividere conoscenze o competenze.

Se mai, l’emersione prima dei mass media e in seguito dei media digitali ha creato nuove esigenze educative. Partendo dalla ricostruzione di Falcinelli (2021) sull’emersione dei concetti legati alla Media Education e sull’affermazione recente del concetto di competenza digitale, si può osservare come già negli anni ’70, l’UNESCO e il Conseil international du Cinéma et de la Télévision parlassero chiaramente di Educazione ai media, definendola come lo studio della storia dei media, del loro ruolo nella società e come accedervi. Questo concetto si applicava inizialmente ai mass media, come la televisione, la radio e la stampa. Falcinelli illustra tre diverse dimensioni in cui le pratiche di Media Education sono state intese nel tempo:

  • educazione sui media come educazione alla comprensione dei messaggi mediali e della realtà del sistema delle comunicazioni di massa (orientamento rivolto alle conoscenze);
  • educazione ai media come educazione alla fruizione corretta dei mezzi di comunicazione (orientamento rivolto alle abitudini);
  • educazione con i media come educazione alla produzione di messaggi mediali originali (orientamento rivolto all’abilità) favorendo le esperienze di produzione creativa che consentono di esprimere nei diversi linguaggi le proprie emozioni ma anche i propri pensieri.

Falcinelli procede poi a descrivere il percorso verso l’idea di competenza digitale, passando per l’emersione della New Media Literacy, la cui teorizzazione deriva dal lavoro di Jenkins (et al. 1998) sulla cultura partecipativa degli ambienti mediali digitali. Secondo quest’ultimo, proprio la diffusione del Web 2.0 e dei suoi linguaggi avrebbero portato a mettere in discussione approcci individualistici all’alfabetizzazione mediale, considerandola invece come una pratica orientata alla collaborazione e come una pratica sociale. Secondo Falcinelli in questa prospettiva “la media literacy può essere considerata come il risultato del processo di media education”.

Dalla New Media si è poi passati alla Digital Literacy, intesa come la capacità di comprendere e utilizzare informazioni in diversi formati, provenienti da una varietà di fonti digitali. All’inizio degli anni 2000, il Consiglio europeo[1] l’ha indicata come un prerequisito per la creatività, l’innovazione e l’imprenditorialità. Ed è proprio grazie al Consiglio europeo che si è affermato, negli ultimi quindici anni, il concetto di Competenza digitale: questo è successo all’interno del quadro più ampio delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, che vede la competenza digitale come una delle 8 competenze chiave sia nelle versioni del 2006 che del 2018.

La competenza digitale è centrale nello sviluppo della cittadinanza digitale, o partecipazione mediata alla vita pubblica, ed è ora definita dal quadro europeo DigiComp 2.2, che verrà osservato più nel dettaglio in seguito. La relazione tra l’impegno civico e l’alfabetismo non è affatto nuova: è stato Tullio de Mauro[2] a identificare nell’alfabetismo uno dei prerequisiti fondamentali per la democrazia stessa. Ad oggi, il livello di alfabetismo degli adulti è costantemente monitorato: un esempio è il Programma per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti dell’OCSE (PIAAC), che monitora alfabetismo, numerazione e problem-solving negli adulti nel lungo periodo. Tuttavia, se la corretta comprensione delle informazioni è la condizione necessaria per promuovere l’impegno civico e digitale, alcuni esperti sostengono che non sia abbastanza.

Tra la Media Literacy e la Media Education

Se l’assenza di alfabetismo rappresenta un problema per la democrazia, i Media Educator cercano di rendere consapevoli rispetto ai rischi di limitarsi a questo concetto in ottica educativa. Una di queste è Danah Boyd (2018): la studiosa di social media si concentra sul fatto che la Media Literacy si sia evoluta come risposta alla propaganda perseguita dai mass media durante il XIX secolo e ha sviluppato misure pedagogiche adattate solo a quel contesto. Considerando invece il paesaggio mediatico e informativo odierno, Boyd afferma che per affrontare il disordine informativo sia importante non solo demistificare i messaggi propagandistici, ma anche ricostruire la fiducia nelle istituzioni e nell’educazione. Tuttavia per farlo non dovremmo concentrarci solo sull’insegnare agli studenti a distinguere la verità dalla falsità, o ad aiutarli a valutare le fonti e verificare i fatti. Prima di farlo, è necessario capire da dove provengono la confusione, la rabbia e l’odio alla base della produzione di testi online. In una rete sempre più complessa, le forme di produzione di testi e conoscenze sono la dimostrazione di un tentativo, da parte degli utenti, di cercare di dare un senso al mondo: “The people who posted this meme […] didn’t bother to fact check this claim. They didn’t care. What they wanted to signal loud and clear is that they hated Hillary Clinton. And that message was indeed heard loud and clear. As a result, they are very offended if you tell them that they’ve been duped by Russians into spreading propaganda. They don’t believe you for one second. Misinformation is contextual”.

I ricercatori in Data and Society Bulger e Davison (2018), forniscono un esaustivo rapporto sulle principali iniziative di Media Literacy perseguite nel contesto nordamericano, elaborando un quadro per valutarle e fornendo agli stakeholder raccomandazioni per implementare l’alfabetizzazione mediatica in modo produttivo. La loro ricerca rivela come una delle principali cause del fallimento delle iniziative di Media Literacy sia l’ampio spettro delle sue aspettative: “is it to discern accuracy, evaluate bias, engage with information productively, be an informed voter?” (ibid: 16). Un altro problema è, ancora una volta, il suo anacronismo e il fatto che pone tutta la responsabilità di discernere la qualità delle informazioni sull’utente finale:

“Finally, media literacy research typically focuses on individual responsibility for discerning the truth or accuracy of messages. As platforms such as Facebook, Google, and Twitter increasingly personalize information access, individual responsibility becomes more challenging, especially when methods for serving information are not transparent. One challenge for research moving forward is determining expectations for how an individual can assess the reliability of information when the breadth of the corpus, e.g., what is included and excluded and why (and how it differs from information served to others), is neither visible nor accessible. It is necessary to rethink media literacy in the age of platforms” (ibid: 17).

Una delle voci più autorevoli nel dibattito sulla necessità di superare le limitazioni della Media Literacy è David Buckingham, studioso di Media Education e autore di Un manifesto per la Media Education (2019). Come gli studiosi sopracitati, non mette in dubbio le buone intenzioni della Media Literacy, né la sua necessità in un paesaggio mediatico digitale. Tuttavia, in molteplici occasioni sottolinea come la Media Literacy sia stata spesso utilizzata come una “soluzione rapida” (Buckingham, Farinacci, Manzoli 2021: 22), una soluzione facile a problemi complessi, o, ancora peggio, una soluzione individualizzata a problemi sistemici che dovrebbero essere affrontati attraverso interventi a più livelli. Mentre la sua critica sottolinea come i governi – in particolare quello del Regno Unito – tendano ad usare la Media Literacy come scusa per evitare di regolare l’attività delle grandi piattaforme digitali, Buckingham evidenzia anche come il concetto stesso di Media Literacy costituisca un framework che scarica la responsabilità dei problemi sistemici sugli utenti individuali.

Uno degli esempi in cui questa questione diventa evidente è l’approccio strumentale della Digital Literacy, dove la conoscenza tecnica – come saper programmare – viene presentata come una soluzione a problemi politici e culturali; o quando metodi di fact-checking facili e accessibili vengono consegnati come soluzioni a un disordine informativo sistemico:

It’s sometimes assumed that digital literacy is simply about learning how to use digital tools: learning how to operate hardware, or to use software such as search engines. This is the instrumental approach I was referring to. For me, this is just the beginning of the process. Of course, we need to know how to find information online; and doing that effectively is something we have to learn. But the more difficult questions come when we have to make sense of that information, to process it and to evaluate it. We need to make judgments about what we should trust, and that’s far from easy. This is where media education comes in. Despite all the loose talk about fake news, this isn’t just about telling the difference between what’s true and false. It’s not something we can do with a simple checklist: on the contrary, it involves a much more complex, multi-dimensional process of analysis and evaluation. This isn’t straightforward to learn: but without it, we are lost? (Buckingham, Farinacci, Manzoli 2021: 26, corsivi dell’autore)

Buckingham si fa invece promotore di azioni educative sistemiche, per le quali venga riconosciuto il ruolo sociale del complesso scenario dei media interconnessi in cui siamo inseriti. L’intero sistema educativo dovrebbe riconoscere la nostra condizione mediale e assumersi la responsabilità della preparazione degli studenti, mettendo i programmi di Media Education al centro dei programmi scolastici. Questo significa allenare strumenti come il pensiero critico, che include il problem solving ma non si limita ad esso, e comprende anche la condivisione di informazioni sulla composizione del panorama dei media e il ruolo dei suoi attori.

Certamente il coding è un’abilità che gli studenti dovrebbero avere l’opportunità di acquisire, se lo desiderano; ma affermare che essa li aiuta nel problem solving o che è una formazione essenziale per l’occupazione futura – ragione per cui dovrebbe essere insegnata a tutti gli studenti – è assai discutibile. I ragazzi, è vero, hanno bisogno di sapere come funziona la tecnologia digitale; ma devono anche capire come funzionano i media digitali in quanto industrie e forme culturali di rappresentazione. Se devono diventare utenti attivi della tecnologia, hanno bisogno di apprendere qualcosa di più che mere capacità tecniche: è necessaria una comprensione sociale, politica, economica e culturale. (2019: 82)

Anche il succitato report di IDMO sulla Media Literacy in Italia è molto chiaro nell’indicare i limiti di fermarsi ai concetti costruiti sulla scorta dell’alfabetismo: “ci si è resi conto di un aspetto importante, che emerge anche nei documenti e nei materiali prodotti: lavorare sulla promozione di un profilo di soggetto “media literate” (ovvero alfabetizzato) è solo una parte del processo, la parte più semplice da portare a termine. La costruzione del pensiero critico è sempre importante, ma tocca esclusivamente una porzione della sfida alla Media Education, soprattutto pensando a quattro dimensioni: invisibilità, autorialità, multi-literacy e transmedialità”. (Aroldi et al 2022: 28)

Per quanto riguarda l’invisibilità, si tratta di rendere opache meccaniche trasparenti soggiacenti al nostro abitare ambienti mediali; dalle logiche algoritmiche alle nostre pratiche di navigazione, spesso irriflesse o considerate come spontanee. Per quanto riguarda l’autorialità invece, si tratta di sollevare la dimensione etica ed estetica del prosumerismo oltre ai perfezionamenti tecnici della produzione di contenuti digitali; la multi-literacy spinge a combinare una riflessione sulla molteplicità delle sostanze espressive combinabili nella comunicazione digitale con la molteplicità dei contesti culturali che possono essere potenzialmente coinvolti da essa: “Occorre quindi imparare a negoziare i diversi significati che raccogliamo da ciascun medium e gli sfondi culturali diversificati, attraverso pratiche basate sulla negoziazione e sulla “situazione” (cioè la collocazione del significato in un contesto significativo e concreto)”.

Per quanto invece riguarda l’ultima dimensione, quella della transmedialità, si tratta di educare a logiche di aggiunta e confronto delle informazioni all’interno di un paradigma di overload informativo che comporta non solo il sovraccarico di informazioni, ma anche la loro dispersione in ambienti diversificati.

Verso le competenze digitali

Da dieci anni, il Digital Competence Framework for Citizens offre un linguaggio comune per descrivere una di quelle aree di competenze che il Consiglio Europeo ha indicato come fondamentali per l’apprendimento permanente: la competenza digitale. Come si ricordava in precedenza, è un concetto centrale per l’orientamento al policy-making e alle pratiche educative sin dal 2006. All’interno dell’ultima versione del DigComp, 2.2, da poco disponibile anche in lingua italiana, ritroviamo la definizione di competenza digitale:

“La competenza digitale implica l’uso sicuro, critico e responsabile delle tecnologie digitali e il loro impiego nell’apprendimento, nel lavoro e nella partecipazione alla società. Comprende l’alfabetizzazione all’informazione e ai dati, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione ai media, la creazione di contenuti digitali (compresa la programmazione), la sicurezza (compreso il benessere digitale e le competenze relative alla sicurezza informatica), le questioni relative alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico”. (Raccomandazione del Consiglio sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente).

Il DigComp combina 21 competenze specifiche all’interno di 5 aree:

  1. Alfabetizzazione su informazioni e dati;
  2. Comunicazione e collaborazione;
  3. Creazione di contenuti digitali;
  4. Sicurezza;
  5. Risoluzione di problemi.

Lo strumento è diviso in 5 dimensioni che ne permettono l’applicabilità in diversi contesti educativi o di apprendimento: la prima dimensione è l’Area di competenza, seguita dalla seconda dimensione che è dedicata alle 21 specifiche competenze. Ognuna di queste ventuno risponde poi di successive 3 dimensioni, iniziando con il livello di padronanza – che mira a dare dei parametri di misurabilità dell’autonomia del cittadino rispetto alla singola competenza, così come della sua abilità nel trasmetterla ad altri – seguito poi dalla dimensione degli esempi pratici di articolazione di una specifica competenza e quella dei casi d’uso in cui il cittadino o la cittadina possono esercitarla concretamente.

La quarta dimensione, quella relativa agli esempi, pratici restituisce il modo in cui il Consiglio Europeo definisce il concetto di competenza, organizzando gli esempi in:

  • Conoscenze: “Si intende il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. La conoscenza è l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative a un campo di lavoro o di studio”
  • Abilità: “Sono la capacità di applicare le conoscenze e di utilizzare il know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche (in inglese EQF), le abilità sono descritte come cognitive (quando implicano l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (quando implicano la destrezza manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti e utensili)”
  • Attitudini: “Le attitudini sono concepite come fattori motivanti della prestazione, la base per una prestazione costante e competente. Comprendono valori, aspirazioni e priorità” (DigComp 2.2.: 3)

Non si possono in questa sede presentare le singole competenze specifiche: né i punti di forza di questa categorizzazione, né i suoi limiti nel dettaglio. Ci si vuole tuttavia soffermare, rispetto al percorso presentato in precedenza, sulle differenze tra le concezioni di Literacy ed Education rispetto ai Media e avanzare alcune considerazioni preliminari.

Il concetto di competenza così elaborato tende inevitabilmente, per ragioni di applicabilità e di concretezza, a risentire dei limiti della Media Literacy: di per se, lo strumento del DigComp è pensato per fornire delle competenze pratiche, orientate all’asservimento di funzioni e calibrate su alcuni specifici casi d’uso, rientrando all’interno di quella dimensione individuale e responsabilizzante di cui ci avvisano i critici della Media Literacy.

Allo stesso tempo però, la sua articolazione e ricchezza di collegamenti permette di superare alcuni dei limiti sollevati dai critici succitati. Non solo si cerca di valorizzare il pensiero critico, sottolineando l’importanza del benessere digitale, ma questo viene stimolato attraverso la convocazione di esempi pratici che chiamano in causa gli attori del panorama mediale, situando l’esperienza digitale all’interno di un contesto abitato, promuovendo un uso delle tecnologie digitali consapevole e informato:

Figura 1. descrizione della competenza 1.2 gestire dati, informazioni e contenuti digitali

Un altro punto di forza di DigComp che permette di inserirlo all’interno di un progetto educativo più ampio è il fatto che esso istituisca delle connessioni con altre aree competenze per l’apprendimento permanente come i framework relativi all’area Personal, Social and Learning to Learn, le competenze di cittadinanza, quelle per l’entrepreneurship e per la cultura democratica.

In conclusione, le competenze digitali del DigComp sono competenze situate nella vita sociale e politica dei cittadini, e non si fermano a competenze di codifica e decodifica, non si limitano a delle checklist ma cercano di formare un individuo nella complessità della sua esperienza digitale. Basti pensare all’articolazione della competenza in accezioni di sapere che superano il nozionismo, includendo anche valori, aspirazioni e priorità. Questo non le rende uno strumento esaustivo per l’educazione ai media, ma di certo uno più completo di quello tradizionale all’alfabetizzazione. Un modo per integrare il DigComp alla Media Education sarebbe quello di integrarvi un approccio umanistico del digitale, che ne integri quindi una storia, una critica e una semiotica, e portare avanti la battaglia perché la sua adozione sia parte dell’offerta formativa di quelle istituzioni delegate di tutelare il benessere e la formazione dei cittadini e delle cittadine.

Conclusioni: oltre l’alfabetismo

Se sulla necessità di una Media Literacy vi è un consenso trasversale agli ambienti accademici, educativi ed istituzionali, i diversi modi di intenderla e promuoverla hanno diverse implicazioni.

L’alfabetismo digitale non può essere considerato a stregua di una capacità di codifica e decodifica non complessa, astratta dalla complessità che i processi interpretativi istituiscono. Secondo la lezione semiotica, interpretare è sempre un’operazione complessa e contraddittoria, che chiama in campo facoltà cognitive ma anche esperienziali; competenze, sosteneva Eco, enciclopediche (1984), che fanno riferimento a un modello teorico che registra anche interpretazioni tra loro contradditorie. Insomma le competenze digitali non possono essere intese come la capacità di classificare e distinguere informazioni in maniera binaria, ma vanno intese – nella direzione della Media Education di Buckingham da un lato, e delle competenze di DigComp dall’altro – come competenze pragmatiche e situate che superino una lettura prettamente informazionale e funzionale dell’alfabetismo. Queste considerazioni forse possono aiutare a uscire dalla retorica responsabilizzante dell’analfabetismo funzionale, per il quale la responsabilità dei fenomeni di disinformazione giacerebbe alla base di una incapacità degli utenti di comprendere i messaggi mediali, e iniziare a pensare alle sfumature di stampo comunitario e sociale delle pratiche interpretative online, così come la multidimensionalità delle loro concause.

In questa direzione, ribaltando una delle concezioni di Media Literacy citate da Falcinelli (2021) in precedenza, quest’ultima non dovrebbe essere considerata come il risultato della Media Education, ma solo una delle dimensioni che compongono le svariate competenze al centro dei processi educativi mediali, i quali però non possono e non devono essere ridotti e fermarsi ad esse. L’alfabetismo non è l’obiettivo dei processi media-educativi, ma ne è una premessa fondamentale per il benessere digitale, la cittadinanza digitale e la partecipazione – ormai inevitabilmente mediata – alla vita pubblica di tutti i cittadini.

Resta quindi da effettuare un lavoro di divulgazione, diffusione e advocacy: la critica principale di Buckingham è quello di fare della Media Education una pratica sistemica, e quindi di non ragionare unicamente in termini di competenze da coltivare, ma inserire nei curricola scolastici insegnamenti che educhino al ruolo politico e potere simbolico dei media. Il più volte citato report di IDMO propone una mappatura delle offerte di Media Education consolidate sul territorio nazionale italiano: queste proposte, sia in ambito scolastico che extra-scolastico, non fanno parte di un quadro curricolare unitario, al punto che la ricerca di IDMO parte proprio dalla constatazione della mancanza, nel nostro contesto nazionale, di un luogo deputato istituzionalmente a raccogliere in modo sistematico la documentazione relativa alla realizzazione dei progetti formativi che si iscrivono nell’orizzonte della Media Education, sia in ambito scolastico che extra-scolastico (Aroldi et al. 2022: 63).

Il report fornisce una fotografia diacronica del quadro normativo che promuove le iniziative di Media Education, sia a livello Europeo che nazionale; nel primo caso dall’Agenda Digitale 2020, poi aggiornata al 2030, al Digital Education Action Plan 2021-2027; nel secondo caso, attraversa varie tappe di iniziative istituzionali, dal Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), promosso dal MIUR nel 2008, alla riforma della Buona Scuola dal 2015, che fa del PNSD il pilastro della definizione di Information e Digital Literacy all’interno delle competenze che la scuola deve trasmettere a studenti e studentesse in modo da formare cittadini consapevoli – a cui poi si aggiunge la legge n. 92 del 20 agosto 2019 sulla cittadinanza digitale. Nei curricola di Nuova Educazione Civica, la cittadinanza digitale è il terzo nucleo concettuale: “In tale nucleo, i temi della ricerca e della valutazione delle fonti di informazione e del contrasto alla disinformazione hanno un ruolo di rilievo.” (ivi: 19). Nonostante quindi la centralità del tema, la Media Education ancora fatica a trovare un riconoscimento e una legittimazione a livello curricolare. Nel nostro Paese, come in altri Paesi europei, la situazione presenta un aspetto quasi paradossale: da una parte, come ha giustamente notato tra gli altri David Buckingham, le istituzioni fanno spesso riferimento alla Media Education come alla soluzione di ogni problema, una sorta di panacea che, nel migliore dei casi, rischia di tradursi in qualche forma di apprendimento tecnico all’uso delle tecnologie o alla riduzione dei rischi connessi, nel peggiore, invece, in una formula vuota e retorica che scarica sugli utenti la responsabilità dei sistemi mediali e dei policy maker. Dall’altra parte, mentre si attribuisce all’istituzione scolastica la responsabilità di far fronte all’esigenza di formare le nuove competenze utili alla cittadinanza digitale, si fatica a trovare nella scuola stessa un ruolo e uno spazio specifici per la Media Education. (ivi: 24)

Bibliografia

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https://www.idmo.it/wp-content/uploads/2022/05/Ricerca-Media-Literacy.pdf

Boyd, d., 2018 “You Think You Want Media Literacy… Do You?”, Data & Society: Points, https://points.datasociety.net/you-think-you-want-media-literacy-do-you-7cad6af18ec2

Bulger, M., Davison, P., 2018 The Promises, Challenges and Futures of Media Literacy, Data & Society Research Institute, https://datasociety.net/library/the-promises-challenges-and-futures-of-media-literacy/

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DigComp 2.2: The Digital Competence Framework for Citizens – With new examples of knowledge, skills and attitudes https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC128415
https://repubblicadigitale.innovazione.gov.it/assets/docs/DigComp-2_2-Italiano-marzo.pdf

Intervista a Tullio De Mauro – Alfabetizzazione e democrazia https://damianorama.wordpress.com/2008/11/01/intervista-a-tullio-de-mauro-alfabetizzazione-e-democrazia/

Key Competences for Lifelong Learning
https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/297a33c8-a1f3-11e9-9d01-01aa75ed71a1/language-en

NAMLE – Media Literacy Defined https://namle.net/resources/media-literacy-defined/

The Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC) https://www.oecd.org/skills/piaac/

Reference Framework of Competences for Democratic Culture (RFCDC) https://www.coe.int/en/web/reference-framework-of-competences-for-democratic-culture

Digital Education Action Plan 2021-2027 https://education.ec.europa.eu/focus-topics/digital-education/action-plan

  1. CE (2003) eLearning: Better eLearning for Europe, Publication Office of the European Union, Luxembourg.
  2. Intervista a Tullio De Mauro – Alfabetizzazione e democrazia – parte uno; parte due;

EU Stories - La coesione innova l'Italia

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