L’algoritmo regna sovrano nella gig economy: smista lavoro, decide quanto sono pagati i lavoratori, se possono lavorare o devono star fermi, quale strada prendere per ottimizzare i tempi di consegna, misurare la loro velocità, le modalità con cui si interfacciano i clienti ecc. esattamente come un lavoro subordinato. Tuttavia, le logiche che guidano l’algoritmo sono spesso oscure, poco trasparenti, poco chiare.
Ne consegue che la diffusione di algoritmi richiede una gestione politico-economica, una governance internazionale in grado di garantire una tecnologia più trasparente, accessibile e comprensibile, in modo tale che diventi fonte di sviluppo umano e responsabilità aziendale diffusa.
Landini (Cgil): “Contro il caporalato digitale, un’azione collettiva a tutela dei diritti”
La morte del sindacalista Adil Belakhdim
Che sia un’emergenza ce ne siamo stiamo accorgendo da poco e come spesso accade ci sono volute casi eclatanti per smuovere le coscienze.
Lo scorso 18 giugno un tir ha travolto Adil Belakhdim – 37enne sindacalista SiCobas -che stava partecipando a una manifestazione davanti ai cancelli del centro logistico Lidl di Biandrate (Novara). Una manifestazione per denunciare modelli organizzativi che non salvaguardano la salute ed i diritti dei lavoratori e i cui ritmi lavorativi sono sempre più dettati da algoritmi. È doveroso ricordare che la morte del sindacalista non è dovuta alle condizioni sul luogo di lavoro, bensì all’intenzione di un camionista di forzare il picchetto dei sindacati.
L’episodio ha dato adito a polemiche e critiche sul mondo del lavoro, in particolare, sulle condizioni dei dipendenti nel mondo della logistica.
Andrea Orlando, Ministro del Lavoro, di fronte al tragico episodio, ha evidenziato come sia sempre più urgente regolamentare l’algoritmo che regola gli orari nel settore della logistica, sottolineando come i contratti firmati, ad oggi, non recepiscono il fatto che, nella realtà, è un algoritmo digitale che scandisce orari e turni e che si converte a tutti gli effetti in un contratto da rispettare.
Lo scenario attuale
Il settore della logistica nel nostro Paese si è sviluppato considerevolmente negli ultimi anni e rappresenta il 9% del Pil e non si è mai arrestato durante la pandemia. Esso si caratterizza per la logica del just-in-time e del last-mile che ha implicato sia l’adozione di nuovi modelli organizzativi sia la compressione di diritti e salari dei lavoratori. Ovvero: se da un lato abbiamo le piattaforme che rispettano il contratto nazionale, dall’altro lato abbiamo una lunga filiera – costituita da piccole aziende e pseudo cooperative – che applica contratti diversi, maschera forme di sfruttamento, utilizza manodopera in nero (spesso costituita da immigrati ricattati) e su cui sono stati scaricati tutti i costi attraverso il meccanismo degli appalti e dei subappalti.
Pertanto, risulta quanto mai necessario, da parte dei grandi gruppi, una maggiore responsabilizzazione in termini di modalità di lavoro in modo tale da impattare – a cascata – sui gruppi più piccoli a salvaguardia dei lavoratori.
In quest’ottica va interpretata l’azione del Governo, che ha aperto un tavolo con la filiera del settore logistica con l’obiettivo di avere un confronto sulle problematiche del settore e soprattutto capire come fare rispettare i diritti sindacali a un algoritmo basato all’estero e gestire il tema dell’extraterritorialità della giurisdizione (tematiche che saranno oggetto di discussione dell’imminente G20 a Catania).
Si tratta individuare abusi che dovranno essere debitamente sanzionati in modo da indurre sia le imprese sia le cooperative, grandi o piccole, a: non sfruttare il lavoro nero; rispettare le norme sulla sicurezza; pagare salari secondo quanto previsto dai contratti. Sarà altresì urgente svolgere controlli più efficaci, meglio organizzati e mirati oltre a considerare di rimuovere le barriere fiscali e regolatorie che, nel nostro Paese, disincentivano la crescita dimensionale delle imprese dato che, come affermato dal Ministro Orlando, quelle di più grandi dimensioni tendono a essere più responsabili e rispettose delle norme.
Amazon, Cisl: “Le misure che servono ora per tutelare i lavoratori”
Una questione di algoritmo
Il contesto sempre più digitalizzato ed automatizzato in cui stiamo vivendo comporta l’utilizzo degli algoritmi, dei big data e delle analisi predittive che hanno un impatto notevole sulle modalità con cui il lavoro viene regolato e sui modelli di business delle imprese della Gig Economy basata sulle piattaforme digitali. I lavoratori quali freelancer, microworker e rider svolgono, di fatto, un lavoro parcellizzato, con limitate tutele e con il rischio di forme invasive di controllo e sorveglianza.
Ne consegue che il Governo, per garantire loro dignità, tutele e diritti dovrà affrontare le problematiche correlate in termini di: qualità delle condizioni di lavoro; aspetti previdenziali e protezione sociale; sostegno alla contrattazione collettiva e alle politiche di formazione; trasparenza degli algoritmi e giusta governance dei dati dei lavoratori. Ovvero, si tratta di garantire un equilibrato rapporto tra gestione algoritmica e diritto del lavoro, in un’ottica di mercato del lavoro digitale inclusivo e sostenibile promuovendo una governance consapevole di piattaforme, dati e algoritmi per il bene comune, che metta al centro la dignità e la qualità del lavoro. Solo in questo modo si potrà ovviare alle distorsioni della logistica che si avvale di uno strumento di controllo dei lavoratori – tramite l’algoritmo – e che si converte in una sorta di Grande Fratello di orwelliana memoria.
Mosse future
Come si evince da un recente documento dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), sul Sindacato in transizione, molti cambiamenti nei rapporti di lavoro dipendono dallo sviluppo dei mercati delle piattaforme digitali.
È su questa base che il Ministro Orlando ha sottolineato come risulti strategica la posizione comune dei Paesi partecipanti al prossimo G20 in termini di sollecitazione alle grandi aziende, tra cui Amazon, di assumersi la responsabilità delle condizioni di lavoro dei loro fornitori, come parte delle riforme per garantire una giusta e “più” umana gestione degli appaltatori.
Anche a livello europeo ci si sta muovendo nel tentativo di gestire meglio i lavoratori della gig economy: la Comunità europea sta promuovendo la creazione di un quadro normativo entro la fine dell’anno e, al contempo, i tribunali ed autorità di regolamentazione dei vari Paesi si adoperano per affrontare le carenze percepite dell’economia del lavoro temporaneo. I gig worker pur non avendo vincoli di orario, di fatto, attraverso l’uso degli algoritmi vengono costantemente monitorati e valutati fino ad escludere dalle chiamate tutti coloro che per una qualsiasi ragione si sono rifiutati in passato di accettare un mandato. Ciò spinge i lavoratori inseriti nel database aziendale ad accettare richieste anche in orari scomodi o in località non agevoli da raggiungere dalla propria abitazione e/o per cifre irrisorie, pur di non rischiare di essere esclusi in futuro. Di qui la necessità di garantire che l’uso crescente di algoritmi, per la gestione e l’organizzazione delle aziende e del personale, sia incentrato sulla persona, in linea con l’obiettivo di promuovere una società sostenibile e inclusiva in un’ottica di raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030.
Come garantire una maggiore tutela dei lavoratori della gig economy
Il governo dovrà pronunciarsi in modo da definire in modo inequivocabile se il rapporto dei lavoratori della gig economy sia da considerarsi autonomo o subordinato, oltre a considerare una regolamentazione generale per quanto riguarda i termini e le condizioni d’uso delle piattaforme che spesso impongono meccanismi di rating e ranking da parte della piattaforma e/o di clienti e consumatori che possono influire significativamente sulla possibilità del lavoratore di accedere a turni e opportunità di lavoro.
Pertanto, sarebbe auspicabile introdurre una serie di tutele specifiche quali:
- i diritti di informazione sui sistemi di rating e ranking, il diritto di contestarne il funzionamento (anche direttamente in capo ai sindacati);
- i diritti relativi alla protezione dei dati personali;
- la portabilità del rating;
- il diritto di accesso a meccanismi di risoluzione delle controversie in caso di licenziamento/diminuzione improvvisa degli ordini oltre in caso di mancato pagamento del lavoro svolto.
Per quanto attiene alle attività sindacali, le piattaforme dovrebbero essere considerate come unità produttive per garantire il godimento dei diritti sindacali, dal momento che diverse normative – a partire dalle norme per la costituzione di rappresentanze sindacali – sono applicate al raggiungimento di determinate soglie minime di lavoratori per unità produttiva e, pertanto, rischiano di risultare inapplicabili nel momento in cui le piattaforme, pur avvalendosi di lavoratori dipendenti, possano addurre l’assenza di sedi fisiche o considerare come stabilimento i soli uffici dove opera il personale amministrativo e commerciale.
Non resta che garantire le tutele del lavoro universali, auspicabilmente anche a livello europeo. Tutele che siano legate al lavoratore e non al posto di lavoro, in modo tale che nessuna azienda possa aggirarle. La copertura assicurativa e contributiva, il salario minimo devono essere garantiti, altresì, a chi non è coperto dalla contrattazione collettiva. Senza dimenticare una legge sulla rappresentanza che dia una nuova legittimità e forza ai lavoratori della Gig Economy, migliorandone la loro condizione rispetto a un datore di lavoro che può essere globale e interfacciarsi diversamente e che deve necessariamente confrontarsi con quella parte fondamentale della propria azienda che è la forza lavoro.
I lavoratori della gig economy sono la normalità: cambiamo i diritti
Durante la pandemia abbiamo assistito ad un incremento dei lavoratori della Gig Economy che sono diventati essenziali per dare un senso di normalità e mantenere in vita i servizi che altrimenti non sarebbero sopravvissuti alla crisi. Inoltre, abbiamo preso consapevolezza del fatto che il modello di business delle piattaforme si basa su uno squilibrio di potere tra lavoratori e capitale, ovvero: l’azienda che detiene la piattaforma tecnologica, gli algoritmi e i dati, rifugge ogni responsabilità sociale nei confronti dei lavoratori che rendono, di fatto, la piattaforma redditizia.
In Italia, secondo l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), l’economia dei cosiddetti lavoretti impiega il 2,5% della forza lavoro italiana, pari a 590 mila lavoratori con un salario irrisorio. I fattorini del cibo guadagnano in media 4 euro lordi a consegna: un compenso misero se paragonato alla retribuzione oraria dei colleghi in Svezia e in Francia, che risulta pari rispettivamente a 13 e 11 euro l’ora.
Come afferma Antonio Aloisi, Max Weber Fellow all’Istituto Universitario Europeo di Firenze e ricercatore alla Saint Louis University negli Stati Uniti, non è tutta colpa della Gig Economy: “Il lavoro tramite piattaforma è solo uno specchio della qualità del resto del mercato del lavoro… Nei Paesi dove il resto del lavoro è ben protetto e pagato, il lavoro su piattaforma viene meglio tutelato… ed è regolato dalla contrattazione collettiva e protetto sindacalmente… Un dibattito lontano anni luce dall’Italia. Qui sono quasi quarant’anni che ammettiamo lavori autonomi che non hanno nulla di indipendente: finte partite IVA, co.co.co. senza alcuna autonomia, cooperative fraudolente. Le cattive condizioni dei lavoratori su piattaforma italiani sono il risultato di questo processo di precarizzazione e scarsa risposta protettiva generale”.
Pertanto, è ora di comprendere che non possiamo regolare la gig economy contemporanea come se fosse un fenomeno eccezionale, dal momento che la velocità del cambiamento renderebbe presto obsoleto questo sforzo. Si tratta di riscrivere i diritti dei lavoratori in modo tale da poter affrontare le sfide contingenti e future.