Il concetto di sovranità fa evidentemente parte del programma del governo italiano, visto che c’è un ministero per l’agricoltura e la sovranità alimentare che probabilmente ha l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia a livello europeo nelle aree in cui le politiche comunitarie rischiano di penalizzare il comparto agricolo. Eppure, non c’è né un ministero per l’innovazione – che sarebbe veramente il minimo per i nostri tempi – né un ministero per la sovranità digitale, che sarebbe quello di cui c’è bisogno di fronte alle ingerenze non tanto di un organismo sovranazionale di cui facciamo parte ma di aziende multinazionali le cui strategie commerciali ci stanno trasformando – si, proprio noi, i cittadini – in prodotti da vendere, oltre che in sudditi delle stesse aziende.
Come l’Italia ha bruciato il primato del CAD
Proviamo, per un momento, a far finta che sia possibile proporre l’istituzione di un nuovo ministero che raccolga quanto di buono è stato fatto fino a oggi e aggiunga quel poco – o tanto, a seconda delle opinioni – che manca per fare in modo che l’Italia riconquisti la propria Sovranità Digitale, che oggi è nelle mani di alcune tra le Big Tech, e in assenza di interventi continuerà a esserlo anche in futuro, fino a quando converrà a queste aziende (potrebbe essere anche per l’eternità).
L’Italia, come spesso succede, è stata uno tra i primi Stati in Europa a dotarsi di una legge – il Codice dell’Amministrazione Digitale – che fornisce le norme per l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese. Istituito con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, è stato successivamente modificato e integrato con il decreto legislativo 22 agosto 2016 n. 179 e con il decreto legislativo 13 dicembre 2017 n. 217, per promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale.
Questi sono i principali diritti definiti dal Codice dell’Amministrazione Digitale: ricevere un’alfabetizzazione informatica (di base), avere un’identità e un domicilio digitale, e un’amministrazione digitale trasparente con servizi digitali per comunicare e partecipare alla vita pubblica, che garantiscano la protezione dei dati digitali, l’accessibilità, l’usabilità e l’interoperabilità degli stessi. Ovviamente, ma è addirittura pleonastico, evitando che tutto questo comporti l’utilizzo esclusivo di soluzioni o tecnologie proprietarie.
Sovranità dei dati, strategie politiche e interessi privati: le sfide globali da risolvere
Purtroppo, l’assenza di sanzioni per chi contravviene alle norme del Codice dell’Amministrazione Digitale ha lasciato spazio, nel corso degli anni, proprio a quelle soluzioni e tecnologie proprietarie che avrebbero dovuto essere eliminate, o almeno contenute in quanto sporadica eccezione, dal dettato della norma. E infatti, nessuna delle tre versioni delle linee guida pubblicate da AgID ha scatenato quella corsa all’adozione di soluzioni e tecnologie open source che molti auspicavano, in quanto soluzione logica – e immediatamente disponibile – del problema.
Il risultato è quello che conosciamo fin troppo bene, e da anni: secondo gli indici che prendono in esame il livello di digitalizzazione dei Paesi dell’Unione Europea – da Digital Economy and Society Index 2022 a European Innovation Scoreboard 2022 – l’Italia viaggia nelle ultime 4/5 posizioni della classifica, e non accenna a migliorare. In modo particolare, è arretrata nell’area delle competenze digitali a tutti i livelli, da quello base a quello avanzato.
Cosa dovrebbe fare un ipotetico ministero della Sovranità digitale
Una conseguenza diretta dell’aver affidato alle aziende – e alle loro strategie commerciali, che non hanno certo l’obiettivo di sviluppare le competenze digitali degli utenti, visto che questo potrebbe aumentare il livello di competenza e analisi critica delle tecnologie – l’alfabetizzazione informatica, a partire dalle scuole. Una situazione che è addirittura peggiorata con la pandemia, dove l’impreparazione ha creato il mostro della didattica a distanza gestita su piattaforme sviluppate per la profilazione degli utenti, e non certo per la didattica (nessuna didattica).
Stando alle premesse, il primo compito del Ministero per la Sovranità Digitale dovrebbe essere quello di collaborare con il Ministero dell’Istruzione e del Merito a un programma strutturato di alfabetizzazione informatica e di educazione alle tecnologie digitali, che parta dalle nozioni di base – sistemi operativi, strumenti di produttività individuale desktop, e formati standard dei documenti – per arrivare a una conoscenza della rete e del cloud, e alla consapevolezza delle opportunità e dei rischi di ogni elemento.
I cittadini hanno diritto a un’alfabetizzazione informatica neutrale, dove si torni a parlare delle soluzioni e delle tecnologie senza necessariamente citare i prodotti di questa o quell’azienda o progetto, in modo tale da creare una cultura indipendente che offra gli strumenti necessari – in termini di competenze e consapevolezza – perché ciascuno possa effettuare le proprie scelte in modo autonomo, proteggendo la propria sovranità digitale prima a livello personale, poi a livello di comunità, e poi a livello di sistema Paese.
Naturalmente, la scuola – di ogni ordine e grado, dalle elementari all’università – dovrebbe essere la prima a garantire questa neutralità, attraverso l’uso di soluzioni open source che non obbligano né all’acquisto di un software né alla registrazione dei docenti e degli studenti per l’accesso ai servizi cloud, così com’è avvenuto nel caso della didattica a distanza durante la pandemia, quando la maggioranza degli istituti ha abbracciato – in assenza di una strategia – i programmi proprietari e commerciali di due Big Tech.
Sanzioni per le PA che non rispettano la legge
Una volta superato lo scoglio dell’alfabetizzazione informatica e delle competenze digitali, tutto il resto sarebbe abbastanza facile perché rappresenterebbe la naturale conseguenza dell’applicazione del Codice dell’Amministrazione Digitale, che offre tutte le soluzioni necessarie per l’erogazione degli altri diritti.
Bisognerebbe solamente prevedere delle sanzioni per le strutture della Pubblica Amministrazione che non rispettano la legge. Il Ministero della Sovranità Digitale avrebbe quindi il compito di prendere in mano l’ultima versione delle “linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni“, pubblicate da AgID il 9 maggio del 2019, e completarla con l’aggiunta di quelle sanzioni che, se fossero già state previste dalla legge o dalle stesse linee guida, non avrebbero portato l’Italia all’attuale situazione di sudditanza digitale.
Conclusioni
Quindi, i cittadini digitali italiani potrebbero avere un’identità e un domicilio digitale che non si trasformano automaticamente in strumenti di profilazione che violano la loro privacy, un’amministrazione digitale trasparente con servizi digitali per comunicare e partecipare alla vita pubblica che non obbligano all’uso di un sistema operativo o un’applicazione proprietaria, e non favoriscono il cloud perché elemento portante delle strategie commerciali delle aziende, e anche la protezione dei dati digitali, l’accessibilità, l’usabilità e l’interoperabilità degli stessi che sono conseguenza dell’uso di soluzioni neutrali, e quindi open source, e di standard aperti per i contenuti.
Ovviamente, quella che ho delineato è solo un’ipotesi per un Ministero della Sovranità Digitale, che non considera temi fondamentali come quello dell’accesso alla rete internet per tutte le aziende e tutte le famiglie, anche perché sono i soli di cui si parla nell’ambito della strategia di innovazione, e probabilmente saranno anche gli unici a ricevere le attenzioni dei politici durante questa legislatura. Con il risultato che l’Italia rinuncerà a qualsiasi tipo di Sovranità Digitale.