“Se parliamo di Professionisti, in realtà, parliamo di Imprese!” è il titolo del convegno tenutosi al Politecnico di Milano lo scorso 4 marzo, in occasione della presentazione dei risultati della Ricerca dell’Osservatorio ICT&Professionisti. L’indagine, che ha coinvolto Avvocati, Commercialisti ed Esperti Contabili e Consulenti del Lavoro, cioè più di 430 mila Professionisti, è stata anche l’occasione per proporre al mondo delle istituzioni una nuova visione di Impresa: non più singolo soggetto giuridico, ma sistema allargato, che comprendealcune figure professionali, che presidiano delicati processi contabili, legali, giuslavoristici e fiscali.
E anche le diverse istituzioni – Camere di Commercio, Associazioni Industriali, Ordini professionali territoriali e nazionali, enti e autorità politiche – dovranno prendere coscienza di questo fatto: il sostegno all’impresa deve coinvolgere anche i Professionisti, che ne sono parte integrante. Il loro non è solo un ruolo di fornitura di competenze specialistiche, perché spesso affiancano l’Imprenditore nelle scelte strategiche più importanti e, non da ultimo, a volte contribuiscono anche alla gestione dei suoi patrimoni privati. Insomma, i Professionisti si propongono come le figure che, più di tutte le altre, conoscono in modo profondo le imprese, facendone parte. Tra i molteplici ruoli che il professionista può “giocare” con le imprese Clienti, c’è anche quello di veicolo culturale per l’ambito gestionale e tecnologico delle Imprese.
Dalla Ricerca emerge chiaramente che circa il 25% dei Clienti si rivolge ai Professionisti per avere consigli, quando deve effettuare investimenti in tecnologia. La percentuale sale, addirittura, al 46% per i Commercialisti e al 51%% nel caso degli Studi Associati. Perché non tener conto del ruolo di influenzatore che il mondo delle professioni ha verso quello aziendale, soprattutto di micro e piccola dimensione? Perché non capire che è necessario sviluppare una visione sistemica dei fenomeni e che l’efficacia di un aiuto diretto a un singolo soggetto – l’azienda – può amplificarsi se coinvolge anche chi, per competenze e fiducia, è soggetto autorevole e ascoltato dall’Imprenditore?
Certo che anche le Professioni devono compiere un salto in avanti, soprattutto nel campo dell’adozione tecnologica, ancora poco diffusa. Eppure, le tecnologie potrebbero dare una mano ai Professionisti, che, quanto le imprese, non sono stati risparmiati dalla crisi. Quel 35% di Studi che nel 2012 ha registrato un calo della redditività superiore al 10%, potrebbe trovare nella tecnologia l’alleato ideale per creare maggiore efficienza nei processi lavorativi interni, comprimendo, per esempio, il tempo dedicato alle attività amministrative, che assorbono tra il 36% e il 48% del tempo lavorativo dello Studio. Ma, soprattutto, le ICT potrebbero aiutare ad aprire a nuove idee di business. I risultati, però, almeno a livello complessivo delle tre Professioni esaminate – Avvocati, Commercialisti e Consulenti del Lavoro – non fanno emergere una tendenza forte in atto, per quanto riguarda la propensione verso le tecnologie informatiche.
Il 18% si dichiara disinteressato a investire in ICT nel prossimo biennio e il 48% si dice disposto a investire fino a 3 mila euro, pensando prevalentemente a PC più potenti nel 46% dei casi. Da questi numeri alcune considerazioni: 1) la difficoltà di riconoscere alle tecnologie informatiche la capacità di creare valore concreto, tangibile e misurabile; 2) la tendenza, ancora prevalente, di privilegiare la performance dello strumento – i PC più potenti – rispetto a quella di processo, vera leva per lo sviluppo.
È, quindi, una guerra persa? No, con decisione. Prima di tutto perché esistono avanguardie eccellenti, che hanno spinto sulla tecnologia per difendere la marginalità, migliorare l’efficienza generale dello Studio e fare l’ingresso in nuovi segmenti di servizio sulla clientela servita o nuova. In secondo luogo perché c’è una crescente, magari lenta, consapevolezza sul ruolo delle ICT nello sviluppo delle Professioni.
Ma qual è lo stato attuale della diffusione tecnologica negli Studi? Complessivamente, sulle tre Professioni esaminate, è abbastanza scarsa. Risultano ampiamente utilizzati i dispositivi indispensabili per esercitare l’attività – la firma digitale (78%), per citarne una, perché senza quella, per esempio, non si possono inviare i dichiarativi all’Agenzia delle Entrate, oppure l’home banking (76%), che consente di gestire dall’ufficio le operazioni con il sistema creditizio. Quando, però, entriamo nel campo delle soluzioni innovative, che potrebbero migliorare la gestione del business tradizionale, i valori calano. Facciamo un esempio. È ormai noto che le attività di queste categorie professionali producono molti documenti cartacei e richiedono, ancora, un apporto manuale significativo, sia per l’archiviazione, sia per lo svolgimento di alcune attività. Le soluzioni per ridurre la carta e la manualità ci sono, ma i numeri ci dicono altro. Il 46% usa i software per la gestione elettronica dei documenti, la GED, il 15% utilizza la conservazione sostitutiva per i documenti prodotti dallo Studio e solo il 10% adopera i portali per la trasmissione dei documenti in formato elettronico e appena il 7% offre la conservazione sostitutiva ai Clienti come servizio.
Se osserviamo il disinteresse per queste stesse tecnologie le percentuali partono, nell’ordine dal 24% per arrivare al 39%, al 55% e al 57%. Tuttavia, la parte “piena del bicchiere” ci dice che nei prossimi due anni la percentuale di coloro che investiranno in questi software oscillerà tra il 20% e il 33%. Le altre tecnologie – CRM, firma grafometrica, workflow documentali, business intelligence, solo per citarne alcune – sono quasi assenti tra gli asset tecnologici di Studio e non destano interesse nemmeno per il futuro. Addirittura tra il 20% e il 30% dei Professionisti nemmeno conosce alcune di queste soluzioni, segno che l’alfabetizzazione digitale è un’area su cui insistere, anche a livello dei singoli ordini professionali. Il business delle Professioni appare ancora tradizionale, nei contenuti e nelle prassi di conduzione.
Minima è ancora la parte di coloro che utilizzano le soluzione tecnologiche per fare “new business”, sia in termini di mercato di sbocco, sia di servizi. Non emerge la volontà concreta di riorientare il business, prevalentemente ancora di natura tradizionale, verso nuove forme di servizio in grado di diversificare i rischi, proteggere la marginalità, sviluppare nuove opportunità. Tecnologia croce e delizia? Amore e odio? Sicuramente attrazione, ma anche diffidenza. Il “sentiment” degli studi professionali verso la tecnologia appare in generale positivo. Alle ICT si riconosce la capacità di creare efficienza e nuovi servizi, con una percentuale di accordo tra i Professionisti dell’85% e 96% rispettivamente. Inoltre, la maggioranza riconosce una correlazione positiva tra tecnologia e redditività. Ma emerge anche una certa difficoltà a dare un valore quantitativo ai benefici, percepiti soprattutto in termini generali.
Ai Professionisti è stato anche chiesto di indicare le difficoltà che condizionano la diffusione delle tecnologie presso gli Studi. In particolare, vengono citate la scarsa alfabetizzazione informatica dei titolari (42%), il livello dei costi dei software (30%) la difficoltà a conoscere realmente l’offerta del mercato (23%). Quest’ultima causa deve essere oggetto di riflessione da parte dei produttori o sviluppatori di soluzioni, per riuscire ad avvicinare maggiormente i Professionisti alle soluzioni informatiche. In dettaglio, sono gli Avvocati a riconoscere più degli altri un valore elevato alla scarsa alfabetizzazione dei titolari di studio (49%), mentre i Consulenti del Lavoro si concentrano di più sulla lentezza di Internet (21%), strizzando un occhio al tema della Banda Larga e Ultralarga, assai caro alla nostra Agenda Digitale.
Per gli studi multidisciplinari, invece, la prima ragione per la scarsa diffusione delle tecnologie informatiche è la lentezza di Internet (32%), seguita dalla scarsa alfabetizzazione dei titolari e del personale dello Studio (30% e 29% rispettivamente) e dai costi dei software (28%). Anche l’attitudine a utilizzare il lavoro in mobilità fornisce interessanti indicazioni sull’immaturità tecnologica degli Studi. Il 42% del totale dei Professionisti, che hanno risposto all’indagine, trascorre almeno il 50% del tempo lavorativo fuori dallo Studio. Questa è la prima misura del mercato potenziale, per ciò che riguarda l’utilizzo delle soluzioni idonee a svolgere attività lavorative durante i trasferimenti, dai Clienti o in altri luoghi esterni agli Studi. Tuttavia, analizzando la natura delle attività svolte dai “mobile worker”, si nota che le attività più “gettonate” sono la lettura delle email (19%), la navigazione in Internet (17%), la lavorazione di documenti (10%) e la consultazione di dati dello Studio (9%).
È evidente la scarsa presenza di attività strettamente legate al lavoro d’ufficio; la lettura della posta elettronica è ormai consolidata da tempo, anche se le percentuali non sono particolarmente elevate. Il mondo delle APP, cioè delle soluzioni professionali per dispositivi mobili – smartphone e tablet – riflettono la lentezza nella diffusione non solo tecnologica, ma anche la scarsa abitudine a lavorare in mobilità. Il 45% delle risposte rivela disinteresse per queste applicazioni, anche perchè lavora poco in mobilità, mentre il 26% le utilizza nelle varie forme disponibili sul mercato.
Qual è, allora, la sintesi del quadro emerso dai dati della Ricerca dell’Osservatorio ICT&Professionisti? Puntare su di loro è corretto per pensare di stimolare anche le Imprese. Anche perché le condizioni di importanza e influenza dei professionisti rimangono assolutamente inalterate. Anzi, attraverso le tecnologie il legame può diventare anche più forte ed efficace. Le ICT potrebbero essere la leva sui cui il Paese potrebbe incidere per stimolare la crescita del Sistema Impresa – Aziende e Professionisti – fondamentale per la competitività italiana. Non bastano, però, “manovrine” sui bonus da poche centinaia di euro per incoraggiare gli investimenti in tecnologie digitali. Bisogna pensare a impegni più consistenti, come, per esempio, la detassazione degli investimenti tecnologici. L’alfabetizzazione digitale diventa, quindi, cruciale per la diffusione di una cultura digitale presso i Professionisti. Solo così, visti anche i risultati della Ricerca, sarà possibile far percepire chiaramente perché una tecnologia può generare valore e, soprattutto, dove lo può creare. Allora, forza, perché “se parliamo di Professionisti, in realtà, parliamo di Imprese!”.